La lunga strada del Nuovo Umanesimo, pur con un itinerario ben definito e in piena evoluzione, ha capisaldi remoti, che non
si sono voluti ascoltare e che oggi si preferisce ignorare, nella speranza che possano transitare nelloblio.
Uno di questi capisaldi è certamente la Populorum Progressio di Paolo VI; due sono le chiavi di lettura dellEnciclica di
Paolo VI:
• la prima nella scia del percorso già iniziato con la Rerum Novarum, agganciando e completando le tematiche degli altri
documenti più importanti che seguirono al RN e che precedettero la PP;
• la seconda che si caratterizza per linnovazione degli argomenti che lhanno resa di perenne attualità, essendo rivolta
non più soltanto alle classi disagiate per riconoscere loro diritti precedentemente disconosciuti, ma perché si rivolge a
tutti gli uomini nei loro rapporti interpersonali con tutti i popoli della terra.
I diritti che con le Encicliche sociali venivano riconosciuti alle classi, con la PP vengono dilatati a livello universale,
perché tali diritti o sono universali o non sono più diritti, ma diventano privilegi di pochi, sostenuti e mantenuti solo
con il fragore della forza che soffoca tutte le legittime esigenze, che sono analoghe sotto tutti i cieli del pianeta, con
le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti, perché il popolo dei vinti non tollera più di restare tale per destino
scritto da altri nella loro storia; per questo la PP è anche profetica e, a volte, apocalittica.
La PP si presenta, così, non solamente come una pastorale pietistica, che fa appello alla carità cristiana, ma si trasforma
nella nuova sociologia dellumanesimo integrale (la collaborazione di J. Maritain alla stesura dellenciclica è ormai
informazione accettata), ponendo una pietra miliare nel pensiero sociale della Chiesa, destinato a tutti gli uomini, senza
differenze di censo, cultura, religione o colore della pelle.
Ne scaturisce anche il concetto di un diverso e nuovo peccato: il peccato sociale.
Anche nella sua impostazione la PP si diversifica dalle precedenti lettere Encicliche delle quali ha assimilato
litinerario per portarlo ad un più ampio compimento.
A cominciare dal dossier personale del Pontefice, elaborato fin dai primi giorni di pontificato e, per la prima volta, reso
pubblico per dare agio agli studiosi interessati di ripercorrere la strada seguita per giungere alle affermazioni finali
dellEnciclica.
Altra novità è rappresentata dalle collaborazioni richieste per approfondire le tematiche più urgenti, come quella del
domenicano P. Lebret, esperto nei problemi del terzo mondo e autore del programma di sviluppo del Senegal, quindi le
stesure successive dellEnciclica, ben sette, con le annotazioni personali del Pontefice, che documentano liter
travagliato, perché nessuna parola doveva essere occasionale, ma frutto di meditazione per esprimere quel preciso pensiero. Si è potuto, così, assistere da parte di tutto il mondo alla nascita del documento e disporre di maggiori elementi per
comprenderne lo spirito.
Gli studiosi del pensiero sociale della Chiesa poterono ricavare spunti preziosi per la ricerca delle fonti e
lesplorazione del retroterra culturale, che aveva ispirato lo spirito dellEnciclica.
Poiché vi sono le basi per la nuova sociologia universale, anche nelle citazioni la PP si differenzia dagli altri documenti
pontifici; precedentemente erano citati passi del Vecchio e Nuovo Testamento, affermazioni dei Padri e Dottori della
Chiesa, con la PP si apre al mondo laico, infatti sono citati sacerdoti e laici come P. Lebret, J. Maritain, Colin Clark,
mons. Larrain, Pascal, De Lubac.
Litinerario della PP, anche se rappresenta la dilatazione a universale delle precedenti Encicliche, cosa che ci fornisce
una spiegazione intellettuale dellevoluzione, non può essere compresa nella sua intima essenza se si prescinde
dallitinerario umano del sacerdote Montini, che ci fornisce il chiarimento spirituale. Non potrei non cominciare da quella baracca trasformata in Chiesa dove lArcivescovo di Milano, mons. Montini, celebrò la
Messa di Natale il 25 dicembre del 1955; quel giorno documentò al mondo che la Chiesa è nata tra i poveri ed è destinata ai
poveri, ed è la sola voce che può e deve levarsi forte per sostenere i diritti dei più deboli e dei più fragili, di quelli
che non hanno voce per farsi sentire.
Come Arcivescovo mons. Montini visitò lAmerica Latina e lAfrica, ma non si fermò ad ammirare i superbi reperti
archeologici dei conquistadores, ma guardò la realtà dellindio e del negro, come realtà di uomini sofferenti in mezzo ad
altri uomini opulenti ed egoisti; lì dovette maturare la convinzione del nuovo peccato commesso ogni giorno da quanti non
vedono nel prossimo bisognoso la presenza di quellUomo che porta una Croce non Sua in giro per il mondo, appesantita
dallegoismo di tanti uomini, in una nuova Via Crucis dove si rinnova, stazione dopo stazione, il peccato sociale. Ricordando la pastorale del Natale 1955, in quel gelido tugurio dove il Cristo era presente nei derelitti di una Milano
occupatissima a celebrare non il rinnovarsi del mistero della Natività, ma il rito del cenone, e la lettera Enciclica PP,
ritroviamo tutto litinerario delluomo Montini e la dilatazione degli orizzonti operata dallassunzione della paternità
universale.
Lesigenza di toccare con mano la miseria che affligge una grande parte del mondo, condusse Paolo VI, , eletto al
Pontificato, a visitare la Chiesa dei poveri in un pellegrinaggio che lo portò, innanzitutto, in Palestina nel 1964, in
quella terra travagliata e contesa; era solo il 1964, ancora lesercito israeliano non aveva scatenato quella che la storia
ricorderà come la guerra dei sei giorni, quando con unazione aggressiva quanto fulminea occupò i territori che lONU
aveva assegnato ai palestinesi, dalla striscia di Gaza a Sud, alla Cisgiordania a Nord, alle alture del Golan, insediando i
coloni e schierando lesercito a difesa dei territori occupati. Furono oltre 2 milioni i palestinesi costretti a fuggire
dalle loro case, dai loro villaggi, dalle loro cittadine, riparando nelle nazioni arabe vicine, come profughi non sempre
ben tollerati.
Un ulteriore viaggio fra i poveri portò Paolo VI fra gli orgogliosi grattacieli di New York, illuminati quotidianamente a
festa, simboli tangibili di unopulenza che mortifica tutta quella larga parte del mondo dei vinti, utilizzando la
illusorietà del benessere, destinato, però, solo a pochi privilegiati. A New York il Santo Padre non si soffermò a
compiacersi della esibizione di ricchezza, andò a cercare i più deboli in quei ghetti dove il colore della pelle marchia,
ancora oggi, escludendoli dal consorzio del benessere, gli emarginati di Harlem; leccezione di Condoleeza Rice ne è la
riprova, in quanto, giunta ai massimi vertici del potere si è schierata con il più forte dimenticando la storia che la
riguarda personalmente.
Queste esperienze ci indicano le profonde motivazioni che portarono Paolo VI a inserire nella Sua PP gli esempi di uomini
che nel silenzio della propria coscienza si erano adoperati con gli altri e per gli altri, come Charles de Foucauld, il
martire della donazione al Terzo Mondo, padre Chenu, il grande teologo sostenitore dei preti-operai, che si fracassarono
le reni nei miserabili sobborghi fra algerini e italiani sfruttati dalla grande industria, e ancora padre Lebret, che
consacrò il suo genio al servizio dei popoli del Vietnam, del Senegal e del Nord-Est del Brasile.
Venne citato più volte il profetico e terribile documento del Concilio Gaudium et Spes, Gioia e Speranza, lì dove
assicura gioia e speranza a chi riconosce nel povero limmagine di Cristo, escludendo coloro i quali, nazioni, popoli o
singole persone, hanno privilegiato laccaparramento delle ricchezze in contrapposizione alla distribuzione della
solidarietà; fu una citazione profetica e apocalittica, con una promessa e una condanna.
Mercoledì, 12 settembre 2007
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