Dottrina sociale
Dio è Amore

di Rosario Amico Roxas

Anonymous Scrive " Il concetto di carità nell’enciclica di Benedetto XVI e nella cultura islamica.
Dio è amore anche per l’Islam; ma che Amore è se esclude qualcuno o non propone la piena solidarietà fra gli uomini ?


L’enciclica di Benedetto XVI , pur appartenendo già alla storia della Chiesa non è destinata a "fare" la storia della Chiesa. E’ teologica e, conseguentemente, non-popolare; destinata ai teologi e ai dotti non certo ai credenti. Da credente che rifiuta la sua stessa cultura conquistata in anni di studio, quando si deve trattare di argomenti che coinvolgono il soprannaturale, ho l’impressione che il Pontefice abbia perso una eccellente occasione per rivolgersi al popolo della fede, indirizzando la prima enciclica all’indirizzo sbagliato. Alcune parti, quelle dedicate alla carità offrono un panorama vecchio; sembra di tornare indietro al paternalismo medioevale la cui ultima espressione fu di Leone XIII, quando, due anni prima di promulgare la Rerum Novarum in una udienza ai pellegrini francesi (in realtà ricchi possidenti e industriali) ebbe a chiedere loro di avere per gli operai

"cuore e viscere di padre per coloro che si guadagnano il pane con il sudore della fronte";

questo paternalismo subì una inversione di rotta con la Rerum Novarum. Criticare, però, il marxismo sul problema della carità, mi pare proprio un tornare indietro alle soglie del Medio Evo. Dice il Pontefice che il marxismo critica il concetto di carità ritenendolo

"come parte del sistema del mantenimento dello status quo",

e questo concetto non merita certamente critiche, perché è necessario e indispensabile modificare strutturalmente il concetto di carità, che può restare inalterato nel cuore dei singoli (e allora diventa elemosina), ma non può essere intesa come metodo per cercare di risolvere i problemi dell’impoverimento. Rischiamo di cadere nel concetto aberrante di elemosina misconoscendo che dal paternalismo si è passati all’affermazione di un dovere delle nazioni di sostenere le nazioni più povere e, con Paolo VI e con Giovanni Paolo II al riconoscimento

del diritto dei poveri....

altro che promozione caritatevole. Paolo VI addirittura condannò l’egoismo dei popoli ricchi come

"peccato sociale".

Per approfondire l’argomento, che ritengo essere di prioritaria importanza in questo momento storico nel quale gli italiani siamo chiamato a scegliere tra due metodi di vita opposti (capitalismo neo liberista da un lato e programma di sviluppo economico equilibrato su base sociale), necessita trattare singoli punti, magari a breve scadenza, in modo da formare un discorso unitario e completo. Navarro Valls ha commentato l’enciclica dicendo di trovarla sulle orme del predecessore; perfettamente d’accordo sulla prima parte che è quella teologica dove il capo della Chiesa ha il diritto/dovere di dire la sua; così non è nella seconda parte inerente il rapporto Chiesa/Stato. Per completezza di discorso necessita fare delle premesse, prima di entrare nel vivo dell’argomento; bisogna spazzare via i luoghi comuni che confondono le idee, perché il concetto di "carità" merita un approccio diverso, come diverso deve essere l’approccio alla realtà delle classi più deboli e bisognose.

Vedremo in seguito cosa dice la religione musulmana a proposito della "carità", considerata uno dei cinque pilastri della fede, dove viene si anticipa di 14 secoli il concetto di "dovere" nel trattare l’equa distribuzione dei beni.

Riproponendo la centralità dell’uomo nel farsi della storia, l’enciclica Centesimus Annus identificò ben precise tematiche che formarono l’indice generale del messaggio pontificio. Ritengo opportuno trattare, brevemente, ciascun argomento in maniera separata, l’unità dell’intero discorso si ricava dalla coerenza della trattazione che è, prevalentemente, stimolante in ordine alla spiritualità, ma invita ad una LETTURA LAICA, in quanto non esclusivamente confessionale, bensì cattolica nella pienezza del termine, cioè universale. Laicità non significa anti-clericalismo, ma la laicità non deve mai trascurare una radice etica, altrimenti finirebbe con il prevalere l’assurda logica del più forte. L’etica non è confessionale, è, piuttosto, la guida dell’azione volontaria dell’uomo, in quanto soggetta alla legge assoluta del dovere.

In natura tutto accade seguendo l’eterna legge naturale; soltanto l’uomo, fornito di ragione autonoma, agisce nella rappresentazione della legge. Di fronte alla ragione la legge avrebbe carattere oggettivo, obbligatorio e universale; ma così non è. Se l’uomo fosse solamente ragione, obbedirebbe alla legge, la quale acquisirebbe anche un carattere soggettivo, in quanto la ragione coinciderebbe con la volontà individuale.

Ma l’uomo non è solamente ragione, valutazione che bloccherebbe l’intera umanità dentro gli angusti confini di un illuminismo statico, l’uomo ha passioni, inclinazioni, esigenze, bisogni, impulsi, a volte, contrari alla ragione; per questo motivo l’esigenza oggettiva della legge razionale deve imporsi sulla volontà in forma imperativa, con un comando.

E’ l’IMPERATIVO MORALE che rappresenta le azioni come oggettivamente necessarie, tali da realizzare il proprio fine in se stessi senza alcune subordinazione ad altri fini. L’imperativo morale postula la libertà del volere umano come capacità di obbedire (o disobbedire) consapevolmente alla legge. Definito l’aspetto del dovere, necessita determinare in cosa consiste il bene morale. Bene è ciò in cui si acquieta la volontà non trovando contraddizioni alle aspirazioni, ma per diventare oggettivo tale Bene deve risultare in grado di soddisfare la volontà di tutti. La universalità del Bene contrasta con gli individualismi, e ciò è valido sia a livello di singole persone che di gruppi, di nazioni, di popoli, di culture.

L’etica si concretizza nella specificazione dei doveri che contrastano i diritti richiesti dalla volontà individuale. L’equilibrio tra diritti e doveri alla luce della legge della ragione diventa il cardine sul quale ruota l’etica, il principio ispiratore delle attività dell’uomo, che è, in natura, di pertinenza solamente dell’uomo, perchè dotato di ragione, volontà, e di tutte quelle attività cerebrali che lo differenziano da tutti gli altri esseri viventi.

Attraverso l’etica l’uomo codifica le sue leggi, che non possono essere discriminanti tra i vari esseri umani, tutti egualmente dotati di ragione e volontà, ma sempre rapportati al giusto equilibrio tra diritti e doveri. Il concetto di legge inteso come rapporto diritti-doveri, fu particolarmente sentito alla fine della 1° guerra mondiale, quando l’umanità si sentì investita da una crisi generale che culminò con il crollo di Wall Stett nel 1929; si cercò, allora, di dare una risposta a quelle crisi in termini economici, socio-politici e anche individuali.

Il problema si pose nella sua duplice interpretazione che parte da due aspetti interdipendenti fra di loro: l’aspetto economico e l’aspetto politico. Il dibattito si animò intorno alle due principali tendenze economico-sociali, quella ad indirizzo liberale e quella ad indirizzo socialista, da non confondersi con il marxismo. Si parlò anche di socialismo cristiano e, certamente, sotto questo nome si può collocare una dottrina compatibile con il magistero sociale della Chiesa. Sotto il profilo economico possiamo accettare la definizione di Elie Halévy, secondo il quale

"il socialismo consiste nel sostituire la libera iniziativa dei singoli individui con l’azione concertata della collettività nella produzione e nella ripartizione della ricchezza".

Così inteso il socialismo è direttamente opposto al liberalismo economico e certe soluzioni ispirate dal socialismo sono talvolta utili, come la nazionalizzazione di talune industrie e le attività proiettate a lungo termine per la promozione di uno sviluppo economico equilibrato in grado di programmare il miglioramento della qualità della vita in maniera omogenea a tutta la popolazione senza privilegi per le classi più abbienti.

Ma l’umanesimo socialista non è un umanesimo totalmente umano, manandogli il riferimento spirituale, pur riconoscendogli di essere stato una valida protesta delle coscienze contro i mali che gridavano vendetta al cospetto delle stesse coscienze. Il socialismo ebbe il grande merito di avere risvegliato il senso della giustizia e della dignità del lavoratore contro la prepotenza del denaro che non perdona.

Il socialismo non è ateo per sua natura e sarebbe errato assimilarlo con il marxismo; ma esso misconosce la vera personalità umana, in quanto affida la priorità alla produzione e al lavoro, incapace di comprendere altri valori più spirituali trovandosi centralizzato sull’uomo e chiuso ad orizzonti più ampi e più alti.

L’affermazione di Giovanni Paolo II .

"Com’è possibile vivere una qualsiasi vita religiosa se non si è in grado di vivere"

pur accettando le esigenze di una elevazione della vita materiale come valore innegabile a tutti gli esseri umani, interpreta tale elevazione come viatico per migliorare la vita spirituale. La grande attenzione del pensiero sociale della Chiesa verso le esigenze dei popoli più disperati ha trasformato il magistero della Chiesa in scienza sociologica, tralasciando anche la missione di proselitismo a vantaggio dell’ecumenismo globale.

Il cristiano del III millennio non può restare ancorato alla lettera dei dettami religiosi, deve reinterpretarli alla luce di una diversa dinamica conoscitiva che spazia oltre l’uomo nella sua individualità per comprendere l’intero umanesimo, che non muta con il mutare delle culture, dei costumi, del colore della pelle o anche delle religioni.

La Constitutio Conciliaris Gaudium et Spes è esplicita nell’affermare l’esigenza di equilibrata uguaglianza di diritti e doveri fra tutti gli uomini, privilegiando così la centralità dell’uomo. Ma l’uomo non è un’idea, è un essere esistente, un animale ragionevole, politico, economico e anche religioso; l’uomo è qualcuno, non qualche cosa, è una persona.

Non è la natura umana nella sua astrattezza, ma sostanza reale, immagine concreta e visibile del solo Dio che lo ha creato, pur restando, questo Dio, unico, indivisibile, invisibile e unico. E’ un ritornare al tema dell’elemento terreno-celeste, cioè dell’uomo mortale il cui valore è eterno. L’autonomia e la indipendenza dell’uomo non sono assimilabili a quelle di altre specie viventi; si tratta della indipendenza propria dell’essere spirituale e intelligente, che sa decidere del suo destino.

Per questo l’uomo nella sua singola identità sente l’esigenza di assimilarsi agli altri uomini, di civilizzarsi; questa esigenza non è qualcosa di aggiunto alla natura umana, ma è qualcosa di insito in ogni uomo, con la stessa intensità per tutti gli uomini; è una esigenza naturale ed essenziale che non può essere oggetto di discriminazioni. Ma l’uomo ha un polo di grandezza insita nella sua natura e un polo di miseria data dalla sua vulnerabilità alle ansie del quotidiano, dall’egoismo del possesso, dall’arroganza della forza, dalla volontà di imporsi sui suoi simili, al punto che periodicamente viene sconfitto dal desiderio di sopprimere una parte della stessa umanità alla quale appartiene, dimenticando che la vera natura dell’uomo è quella aperta e generosa, che reclama una comunità nella quale vivere e perfezionarsi integralmente.

L’egoismo e l’avidità dei popoli ricchi, sempre protesi verso un maggior arricchimento a danno delle popolazioni più povere è l’elemento di contrasto che annulla ogni altro valore che identifica l’uomo, rendendolo privo di quella coscienza umana che lo caratterizza e finisce con l’assimilarlo alle altre specie viventi che vivono solo obbedendo alle leggi della natura. (continua) Una doverosa e rispettosa critica va fatta al concetto di carità, così come viene esposta nell’enciclica. L’ipotesi di condannare il concetto marxista di carità come valore atto a mantenere lo status quo è una ipotesi limitativa, perchè non bisogna contenere il concetto di carità al modo, comodo ed economico, di tacitare le coscienza. La religione islamica ci insegna molto in merito, anche se per comodità essa viene intesa "culturalmente inferiore" alla cultura neo-liberista e pragmatica di questo Occidente, chiuso nell’alveo del proprio egoismo. L’elemosina che non è, limitatamente, il gesto di elargire un modesto contributo per la sopravvivenza a chi non dispone di nulla. L’elemosina islamica è molto simile al concetto di carità cristiana, in quanto contiene in sé la solidarietà che si deve avere verso i propri simili più deboli e più bisognosi.

Come la carità cristiana essa include sia "dar da mangiare agli affamati" che "vestire gli ignudi, dar da bere agli assetati, ospitare i pellegrini (che si intreccia con il viaggio rituale alla Mecca), confortare gli infermi, sostenere i più deboli".

Fin dai primi versetti del Corano l’elemosina viene indicata come uno dei pilastri dell’Islam; era chiamata "decima" (zakat) ed era una elemosina obbligatoria, che veniva prelevata sul capitale, non sul reddito, veniva usato anche il termine "sadaqat", ma in questo caso si faceva riferimento più alle entrate pubbliche, che alle elemosine.

Il radicale del termine zakat (zkt, semantema puro), di origine aramaica, è assimilato al concetto di purificazione, infatti la decima, pagata nelle mani dei percettori incaricati a tal fine, rappresenta la purificazione dei beni, serve per aiutare otto ben identificate categorie di persone:

"Le elemosine sono per i bisognosi, per i poveri, per quelli incaricati di raccoglierle, per quelli di cui bisogna conquistarsi i cuori, per il riscatto degli schiavi, per quelli pesantemente indebitati, per la lotta sul sentiero di Dio, per i viandanti. (Corano, IX, 60)

Alcune di queste categorie meritano un commento, per chiarire meglio di chi si tratta, come "..quelli incaricati di raccoglierle", si tratta, chiaramente dello stipendio da elargire ai funzionari addetti alla riscossione delle imposte, per cui siamo più nel campo delle entrate pubbliche (sadaqat), che non della elemosina. "Quelli di cui bisogna conquistarsi i cuori" sono i neo convertiti, ai quali bisogna far sentire la solidarietà umana dell’Islam. C’è poi la distinzione tra "poveri" e "bisognosi", che non è casuale, infatti per bisognosi si intendono i musulmani, mentre i poveri sono i cittadini non musulmani. Il riscatto degli schiavi è un punto fermo dell’Islam, che, pur non condannando la schiavitù che esisteva da secoli tra i popoli pre-islamici, tende alla loro progressiva liberazione e all’eliminazione di questa condizione, destinando una parte delle entrate dello Stato musulmano per la loro liberazione.

L’Occidente americanizzato dovrà attendere la guerra civile americana tra Nord e Sud, cioè oltre 1.000 anni, per vedere abolita questa ignominia. Nel termine zakah c’è, letteralmente, l’idea di purificazione.

E’ una tassa, un’imposta che ha una funzione sociale, poiché essa è prima di tutto destinata direttamente al sostentamento dei poveri, dei bisognosi, dei viaggiatori. Ha anche una funzione spirituale, quella di purificare i beni, gli averi, come la preghiera purifica lo spirito ed il digiuno purifica il corpo. La zakah è quindi una tassa sociale purificatrice attraverso la quale si purifica ciò che si possiede, proprio come si deve purificare se stessi attraverso un intenso lavoro spirituale.

Che cosa esprime questa tassa? Da una parte che, anche quando si è con Dio, si deve restare coscienti di quello che Egli ci dona e non dimenticare mai la relazione che abbiamo con l’Altissimo nella gestione del nostro patrimonio. Non c’è una frattura tra le due sfere. E’ il senso di purificazione del quale parliamo. Esiste, certamente, anche una dimensione orizzontale, comunitaria. E’ questa una prospettiva sempre presente nell’islam. Io sono solo con Dio sapendo che Egli mi dà, ma sono con la comunità sapendo che anch’io devo dare.

Due cose si devono mettere in evidenza. La zakah è un incoraggiamento all’investimento economico perché riguarda l’intero patrimonio di ciascuno. Bisogna dunque produrre ricchezza. Bisogna aggiungere inoltre che la zakah fa nascere e radica nell’uomo la coscienza di essere un membro molto solidale della società. Questa concezione, ben conosciuta in Europa, è un elemento fondatore dello spazio sociale islamico: è il diritto del povero.

E’ scritto nel Corano che i credenti sono coloro che sono coscienti del:

" diritto per il povero ed il bisognoso"

che c’è nei loro beni. La formula è chiara ed attribuisce: a colui che possiede, l’esigenza di dare; al povero, la dignità di ricevere e di rivendicare il suo diritto, e non di restare in attesa solo dell’inclinazione caritatevole dei suoi simili. Alla luce della trascendenza, la solidarietà si traduce in responsabilità e diritto, non nel valore della sola bontà, commossa dalla mendicità di un suo simile. Questo può accadere ma rappresenta il margine della solidarietà e non il principio.

Ritroviamo qui le dimensioni della verticalità esigente e dell’orizzontalità rigorosa e sempre fraterna. Inizialmente i concetti di elemosina e di entrate dello Stato si confondevano; man mano che la forma giuridica dello Stato prendeva forma e ordine, i due aspetti tendevano a differenziarsi. Oggi l’elemosina è un cardine della religione che nulla ha a che vedere con le imposte, anche se i fruitori privilegiati delle entrate dello Stato sono sempre le fasce più deboli della popolazione, stante il fatto che, nella programmazione dello sviluppo economico, gli stati arabo-islamici tendono sempre verso uno sviluppo equilibrato, del quale possono fruire indistintamente tutti i cittadini. La stessa logica viene seguita nella importazione di talune merci; malgrado il progressivo abbattimento dei dazi doganali, a seguito degli accordi GATT, gli Stati arabi che maggiormente commerciano con l’Occidente si sono riservati il diritto di applicare una "tassa di consumo" che mira, prevalentemente, a impedire l’uso indiscriminato del superfluo; i superalcoolici sono tassati del 750%, e non solamente per motivi religiosi, le pellicce e le auto di lusso del 100/150%, in questo modo coloro i quali hanno la possibilità economica di utilizzare beni di lusso contribuiscono fortemente ad incrementare le entrate dello Stato, che provvede a pianificare, verso l’alto, il livello della qualità della vita dei suoi cittadini senza alcuna distinzione. Negli Stati arabo-musulmani i redditi più elevati sono tassati in maniera progressiva (tasse dirette), mentre le tasse indirette sono le più basse del mondo, perché si ritiene ingiusto che un ricco sia ugualmente tassato di un povero nell’acquisto dei beni indispensabili per i consumi di primo livello, quelli destinati alla sopravvivenza ed a un minimo di qualità della vita.

A stimolare il legislatore verso queste scelte è il contenuto del Corano, ispirato alla solidarietà, specialmente rivolta verso i meno fortunati. La decima, che è un’entrata dello Stato, serve anche per il consolidamento della difesa dello Stato stesso. Analizzando bene il contenuto di questo cardine della religione islamica, che coinvolge le strutture stesse dello Stato, possiamo affermare che l’Islam ha molto contribuito alla formazione di uno Stato sociale, dove la soddisfazione dei bisogni primari è ritenuta come un diritto paritario di tutti i cittadini. L’Occidente arriverà a riconoscere queste esigenze solo dopo la rivoluzione francese (libertà, uguaglianza, fraternità), ma, più concretamente, solo dopo la divulgazione, alla fine del 1800, dell’Enciclica sociale di Leone XIII "Rerum Novarum", che trasferì le occasionali elargizioni o generosità dal paternalismo medioevale alla categoria dei diritti inalienabili di tutti gli uomini. L’elemosina nell’Islam rappresenta, quindi, non solamente un atto di sostegno ai più bisognosi, ma acquista un significato più ampio, è la solidarietà che ogni musulmano deve manifestare concretamente verso la propria umma.





Mercoledì, 03 ottobre 2007