Teologia protestante e fondamentalismo

Una riflessione approfondita sui fattori di connivenza e quelli di resistenza


di Isabelle Grellier

Il protestantesimo, come tutte le altre confessioni cristiane e la maggior parte delle religioni, sviluppa certe forme radicali di intolleranza ritenute il solo modo possibile di capire e di praticare la religione in questione.
Questi radicalismi protestanti assumono, il più delle volte, la forma di una ridefinizione dottrinale di alcuni punti della fede considerati non negoziabili; sono designati con il termine fondamentalismo, in riferimento a dodici piccoli trattati apparsi agli inizi del secolo, intitolati The Fundamentals: a testimony to the Truth, che enunciavano i seguenti punti fondamentali: la nascita verginale del Cristo, la sua resurrezione corporea, la sua divinità, il sacrificio espiatorio della croce, la corruzione di tutta l’umanità a causa del peccato di Adamo, la seconda venuta imminente del Cristo, l’ispirazione verbale e l’inerranza della Scrittura.

Una reazione teologica, morale, culturale politica
Il fondamentalismo proviene dagli USA, in cui si è sviluppato agli inizi del secolo come una duplice reazione: contro il liberalismo teologico che i sostenitori di questa corrente giudicavano infedele al messaggio biblico, e contro la secolarizzazione della società americana che, per loro, minacciava le fondamenta stessa dell’America.
Il fondamentalismo può quindi essere inteso come una reazione alla paura.
Oltre alla dimensione teologica, che resta centrale, si manifesta come una reazione morale: di fronte alla depravazione della società è necessario tornare alla Bibbia, fondamento morale eterno dell’America; omosessualità e aborto sono condannati con virulenza.
Il fondamentalismo comporta pure una dimensione culturale: è stato, per lo meno, agli inizi, una protesta culturale contro la modernità; si è fatto notare in maniera particolare - ed è ancora il caso di oggi - per una violenta opposizione alle teorie evoluzioniste, incompatibili con la lettera del messaggio biblico. In certi periodi ha assunto una dimensione politica, fra l’altro attraverso il movimento della "Moral Majority", che si è fortemente impegnato per sostenere la candidatura di Reagan.
In Francia il fondamentalismo ha avuto un incremento nel corso degli anni ’70, mentre si profilava la crisi economica e le ideologie del progresso erano meno dinamiche. Esso appare come una reazione alle "teorie del mondo", molto presenti nel protestantesimo del dopoguerra, in cui è possibile ravvisare una rilettura teologica del profondo cambiamento sociale che la Francia ha conosciuto durante le "trente glorieuses".

Ortodossia dottrinale e esperienza religiosa
Teologicamente il fondamentalismo è innanzitutto una ortodossia dottrinale che rifiuta qualsiasi accomodamento del messaggio religioso con la cultura moderna. Ma insiste anche sull’esperienza religiosa personale: un "vero" cristiano deve essere passato attraverso la conversione e "aver accettato il Signore nella sua vita".
Il fondamentalismo mantiene, di conseguenza, una relazione complessa, fatta di prossimità e di rifiuto, con i movimenti neo pentecostali che attribuiscono un posto centrale all’esperienza religiosa, quella del parlare in lingue o dei doni di guarigione in particolare.
Ciò che queste due aree hanno in comune è una certa difficoltà nel considerare la dimensione storica di qualsiasi processo di fede e la convinzione che Dio sia a noi accessibile direttamente. Preconizzare una interpretazione letterale dei testi biblici significa dimenticare la loro iscrizione in una cultura e in un’epoca precise e pretendere che, nella lettura, si possano mettere da parte i secoli che ci separano da essi. Parimenti, nell’esperienza spirituale, il credente pretende di inserirsi in un rapporto diretto con Dio.

Principio protestante e sostanza cattolica
Nelle posizioni fondamentaliste si riconoscono certamente alcune affermazioni teologiche tradizionali del protestantesimo. Il sociologo J.P. Willaime si spinge fino ad affermare:
"Se il fondamentalismo rappresenta una sensibilità particolare nel protestantesimo, si può anche dire, attribuendo al termine fondamentalismo una accezione più vasta e non storica, che il protestantesimo, con la sua affermazione della Sola Scriptura, è un fondamentalismo, nel senso che vuole affermare il fondamento scritturale della fede cristiana e attenersi a questo fondamento contro qualsiasi affermazione che appaia divergente. Ma bisogna allora aggiungere, nello stesso ordine di idee, che il protestantesimo è comunque un liberismo (libero esame e relativizzazione dei magisteri ecclesiastici, teologici e morali). Quindi è la tensione fra un certo "fondamentalismo" e un liberismo che è costitutiva del protestantesimo".
Sarà sicuramente necessario esaminare alcune delle grandi affermazioni della Riforma per tentare di comprendere in che cosa possano favorire il fondamentalismo e in che cosa, al contrario, vi oppongano resistenza.
Stando a Tillich, il protestantesimo non è caratterizzato in primo luogo da un corpo dottrinario; è piuttosto un processo, un "principio" che Tillich definisce opponendolo alla "sostanza" cattolica. Se il cattolicesimo ha la tendenza a localizzare la presenza di Dio, a materializzarla in "luoghi" sacri (il pane dell’eucarestia, la presenza del sacerdote o del papa, l’istituzione ecclesiale), il protestantesimo, al contrario, tende a desacralizzare qualunque cosa per meglio sottolineare la trascendenza di Dio e ricordare che Egli non è legato neanche a ciò attraverso cui vuole manifestare la sua presenza. In tale prospettiva, ci si può chiedere se il fondamentalismo, che fa della lettera della Bibbia la Parola stessa di Dio, non costituisca una certa "materializzazione" di Dio che lo avvicinerebbe al cattolicesimo.
Ma bisogna anche interrogarsi: questo protestantesimo in cui l’uomo non ha mai alcun dominio su Dio, nessuna garanzia di poter entrare in rapporto con Lui, non è troppo difficile da vivere? D’altronde Tillich pensava che in ogni religione fosse necessario un equilibrio tra sostanza e principio. Il modo di procedere fondamentalista che consente all’uomo una via d’accesso a Dio sempre disponibile appare più rassicurante!

Sola Scriptura
Per i Riformatori affermare la Sola Scriptura era affermare la priorità accordata ai testi biblici su qualsiasi altra autorità, particolarmente su quella del magistero che pretendeva di controllare la lettura e l’interpretazione della Bibbia: Significava anche porre la Bibbia "in posizione di origine e di referenza fondatrice", che sola permette di accedere alla Parola di Dio. E’ possibile per questo identificarla pienamente con la Parola di Dio?
I riformatori, ognuno a proprio modo, hanno preso le distanze da una simile concezione: la verità alla quale questi testi rendono omaggio non è comprensibile per l’intelligenza umana.
Per Lutero, la Scrittura diventa parola di Dio solo quando, per opera dello Spirito, conduce a Gesù Cristo. Egli ne è il centro e ne resta la chiave e il giudice. In un dibattito sulla giustificazione mediante la fede, Lutero si è spinto fino a sostenere: "Il Cristo è il Signore della Scrittura e di tutte le opere (...) Tu fai forza sullo schiavo, cioè sulla Scrittura. Quello schiavo io te lo cedo. Io scelgo il Signore che è re". Eppure è nella Scrittura che si può cogliere la testimonianza pura e originale dell’Evangelo, è per suo tramite che possiamo scoprire Gesù Cristo come una realtà salvifica che ci giustifica mediante la fede.
Quanto a Calvino, egli insiste sul ruolo dello Spirito che solo può trasformare la Scrittura in Parola di Dio. Non può esserci Parola di Dio senza il supporto della Bibbia, ma neppure senza lo Spirito che fa parlare la Scrittura per noi. D’altronde Calvino e Lutero sono coscienti che i testi biblici, segnati storicamente, possono essere compresi solo attraverso un lavoro di interpretazione rigoroso. Per questo lavoro hanno utilizzato tutti i metodi che la scienza dell’epoca metteva loro a disposizione, precorrendo l’esegesi moderna. Pare quindi difficile avvalersi della loro autorità per esaltare una interpretazione letterale dei testi biblici.

La Chiesa
Stabilendo una distinzione fra l’istituzione ecclesiale, chiesa visibile e la chiesa invisibile, corpo del Cristo, la Riforma ha comportato una desacralizzazione e una relativizzazione dell’istituto ecclesiale. Per la teologia protestante è il rapporto del credente con la Parola di Dio che determina il suo rapporto con la chiesa, e non il contrario.
Una tale concezione della chiesa evita le derivate integraliste che può conoscere il cattolicesimo, come pure il dominio di una minoranza sull’interpretazione dei testi biblici.
Può tuttavia presentare due rischi: quello di lasciare il credente solitario di fronte al testo, senza una debita sollecitazione che gli impedisca di assolutizzare la sua lettura; quello di favorire le scissioni che evitano di vivere il difficile ma necessario apprendistato della differenza: perché se la chiesa non è sacra, è sempre possibile fondarne una nuova con un gruppo di simili, quando non si è d’accordo con l’interpretazione dominante. L’esperienza della differenza vissuta nel rispetto è invece così preziosa per volgere uno sguardo nuovo su Dio...

"Sola Gratia, sola fide"
Nel cuore della Riforma c’è l’affermazione della giustificazione per grazia, che è stata così liberatrice per Lutero: la salvezza non dipende da ciò che facciamo, è dono gratuito di Dio che, in Gesù Cristo, ci assicura del suo amore, ci riveste della sua giustizia e ci fa vivere.
Nella fede, l’uomo può rispondere all’appello di Dio e lasciarsi trascinare verso una nuova vita. A Dio spetta l’iniziativa di questo incontro, è Dio che ama per primo; la Grazia è sempre preminente, la fede dell’uomo non è che una risposta alla fede del Cristo. L’attribuire alla fede la priorità, come fa in genere il fondamentalismo, modifica in profondità l’affermazione dei riformatori: questo conduce a valorizzare la rottura fra cristiani e non cristiani, e quindi a una visione manichea del mondo in cui il "non convertito" si trova necessariamente in errore; conduce soprattutto a sottolineare l’azione dell’uomo con il rischio di determinare un nuovo legalismo.
L’inquietudine che, da una parte, è all’origine dei fondamentalismi, trova certo là più di una fonte di alimentazione che non di rassicurazione. Mi sembra che soltanto l’affermazione molto forte della Sola Gratia possa liberare l’essere umano da questa inquietudine.
Sostenendo la tesi che siamo costruiti da Dio, questa realtà ci esime dall’obbligo di costruirci da soli. Proclamando "un Dio che ci è favorevole", siamo invitati a trovare la nostra sicurezza nell’abbandonarci nelle mani di Dio piuttosto che cercare di racchiuderla nella Bibbia per acquisire una sorta di dominio su di Lui.
In ogni radicalismo religioso c’è un bisogno di assoluto, il bisogno che sia disponibile qualcuno o qualcosa che ci faccia uscire dalla relatività che caratterizza tutta la vita umana, specialmente in un mondo così precario come il nostro.
Può darsi che la conversione che ci è richiesta nel processo di fede sia proprio quella di staccarci dall’idea che potremmo avere un accesso immediato a questo assoluto, di rinunciare a qualsiasi dominio su Dio per lasciarci incontrare da Lui quando meno ce lo aspettiamo...
L’affermazione della grazia preminente, più forte delle nostre manchevolezze morali, dottrinali o spirituali, potrebbe costituire un punto fermo che ci consentirebbe di uscire dalla paura e di accettare le incertezze del nostro tempo e delle nostre vite.

Isabelle Grellier
(Faculté de Thèologie Protestante de L’Université des Sciences Humaines de Strasbourg)



Martedì, 19 agosto 2003