Il rapporto tra i protestanti e la nostra terra  

Gli evangelici irpini negli anni di Scelba

del prof. Fiorenzo Iannino

Le Chiese Evangeliche in Irpinia Documenti Il Dialogo Home Page Scrivici

   

"Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarnebin privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buoncostume."
Articolo 19 della Costituzione Italiana, approvata il 27dicembre 1947.

In Irpinia - come ci ricorda il professore Francesco Barra ( "Chiesa, emigrazione e minoranze evangeliche") - i primi nuclei di presenza evangelica si formarono tra la fine dell'Ottocento e il primo decennio del Novecento, prevalentemente su impulso di emigrati rientrati in patria dagli Stati Uniti. Le zone più interessate al fenomeno furono l'Alta Irpinia e l'Arianese, tra le più depresse della provincia sul piano economico e sociale, dove peraltro operava un clero particolarmente "indolente, inerte e neghittoso".

Nell'età giolittiana si crearono anche i primi legami tra gli evangelici e i movimenti politici radical-socialisti (ad esempio sperimentati nel 1909, in occasione delle dure lotte contadine di Orsara). Il vincolo si rafforzò con l'avvento del regime fascista, alleatosi alla chiesa cattolica in seguito al concordato del 1929: di conseguenza, vari evangelici irpini furono perseguitati e schedati come sovversivi (la stessa sorte toccò anche ai Testimoni di Geova, che pure erano meno pericolosi sul piano politico).
Tra le figure più significative del movimento evangelico irpino di quegli anni si possono ricordare il prof. Agostino Biagi (segnalato come "coltissimo, dalle tendenze socialiste"), e il pastore di Bisaccia Donato Castelluccio, che fu anche segretario della sezione comunista all'indomani della liberazione.

Le persecuzioni di Scelba
Il crollo del fascismo non pose fine agli atteggiamenti oppreSsivi nei confronti degli evangelici. Anzi, l'avvento della guerra fredda favorì l'integralismo di ampi settori democristiani e della chiesa cattolica, che premevano sul governo affinché attuasse severi strumenti di controllo sulle chiese protestanti, considerate eversive al pari dei Comunisti. Efficace ed eloquente, a questo proposito, fu la denuncia di Piero Calamadrei: "le libertà civili e politiche non hanno più uno stesso significato per tutti i cittadini: la libertà di associazione, di riunione di circolazione, di stampa ha un contenuto diverso secondo ché chi lo invoca appartenga al partito degli eletti o a quello dei reprobi: la discriminazione contro i comunisti si è pian piano allargata contro tutti i 'malpensanti', contro tutti i 'sovversivi'. La libertà di culto non esiste per i protestanti nella stessa misura in cui esiste per i cattolici"

Evangelici e comunisti nell'Alta Irpinia
La prove dell'accanimento contro le chiese protestanti dell'Alta Irpinia sono conservate nell'Archivio di Stato di Roma, dove sono depositati numerosi fascicoli dedicati ai cosiddetti "culti acattolici'. In uno di essi si trovano anche alcune corrispondenze del prefetto di Avellino, inviate il ministro degli interni tra il 1948 e il 1952, durante gli inni più caldi delle lotte contadine culminate con le occupazioni delle terre (non a caso, gli evangelici simpatizzarono per il movimento contadino ed i partiti che lo ispiravano).
Ne offriamo una sintesi, riproponendole nel loro ordine crono1ogico.

In un articolo del primo settembre del 1948, "l'Unità" denunciò "un attentato alla libertà di culto"avvenuto a Caposele. Il locale maresciallo dei carabinieri aveva ordinato un'irruzione in casa di tal Cetrulo Antonio per vietare l'esercizio del proprio culto ai circa duecento "evangelici" uniti in preghiera. Il giornale comunista, nel denunciare il reato di violazione di domicilio, definì l'azione dell'arma "provocatoria ed offensiva della dignità e della libertà di tutti gli uomini onesti e democratici". Il prefetto, relazionando riservatamente sull'accaduto, giudicò opportuna l'azione dell'Arma: il gruppo religioso (nel rapporto se ne riduceva l'entità a trentasette elementi), non era costituito da "evangelici" ma da "pentecostali", associazione a suo dire non riconosciuta e "particolarmente pregiudizievole" dell'ordine e della pubblica moralità
Con una successiva corrispondenza del 22 settembre, il funzionario puntualizzò che la setta pentecostale era "nociva tanto per l'ordinamento sociale tanto per la sanità spirituale degli stessi seguaci, i quali non di rado cedono in un vero squilibrio mentale".
Non mancava, nel rapporto, l'annotazione politica: Rugero Gallico, segretario provinciale del PCI, si era apertamente schierato in difesa dei diritti dei pentecostali . Tutti questi elementi giustificavano, agli occhi del prefetto, le altre operazioni di polizia che nel frattempo si erano verificate a Bagnoli, Montella, Caposele, Lioni, Nusco (a Teora e Sant'Andrea di Conza, dove pure erano insediati nuclei pentecostali, non si verificarono atti intimidatori di alcun genere). Di questi episodi si occupò anche il "Corriere dell'Irpinia", che il 13 settembre pubblicò un articolo straordinariamente coincidente con le tesi prefettizie e naturalmente polemico nei confronti della direzione provinciale del PCI ("La libertà di culto e i comunisti"): "trattasi di associazione di fatto non riconosciuta dalla legge 2 del 24/6/1929" e fondata su "morbose esaltazioni psiche allucinatorie".

Il 2 febbraio del 1950, in contrada San Liberatore di Ariano, si tenne un pubblico contraddittorio tra un sacerdote di Benevento ed un pastore di Troia, chiamato a difendere alcune famiglie del posto che avevano aderito al protestantesimo. La discussione, ben presto accesa e degenerata in rissa, fu chiusa dal deciso intervento dei carabinieri.

Il 19 aprile del 1951 il nunzio apostolico in Italia, informato e sollecitato dalla preoccupata curia di Nusco, inviò a Scelba una lettera riservata per invitarlo ad intraprendere iniziative contro i pentecostali di quel paese, intenzionati ad aprire una propria casa di culto. Interpellata in merito, la questura di Avellino confermò che una richiesta era stata effettivamente inoltrata da due pentecostali di Nusco. Il permesso fu quindi negato con la solita motivazione: la setta non rientrava tra quelle tollerate ed elencate in una circolare del 9 aprile1935, scritta cioè in pieno regime fascista. Naturalmente, il ministro si premurò di informare il nunzio sul buon esito della sua richiesta.

Nel gennaio 1951 giunse a Mario Solazzo, simpatizzante comunista di Bisaccia, un pacco inviatogli dal padre residente in America, segnalato anch'esso come comunista. Il prefetto, nell' informare il ministro che il pacco conteneva materiale propagandistico evangelico nonché una modesta offerta per la chiesa di Bisaccia, annotò: "sono state adottate le necessarie misure onde impedire la indebita diffusione dello stampato".

Le ultime note risalgono al 1952, quando si segnalava al ministro che gli evangelici della "Assemblea di Dio in Italia" erano in gran parte simpatizzanti e militanti dei partiti estremisti. L'evento più significativo risale al 17 ottobre: con tre sentenze, il pretore di Castel Baronia assolse alcuni pentecostali per aver tenuto riunioni a scopo di culto. Le decisioni del magistrato smentirono clamorosamente e definitivamente le precedenti attività repressive: la famigerata circolare fascista del 1935 venne (giustamente) considerata in palese contrasto con l'articolo 19 della Costituzione repubblicana.

Queste sentenze indicavano che anche in Irpinia la stagione politica dell'integralismo stava volgendo al termine, naturalmente anche per l'impegno e la volontà dei tanti cattolici che non avevano mai chiuso le porte del dialogo. Ma, naturalmente, un merito particolare va ascritto alla straordinaria capacità di lotta e resistenza messa in campo dagli "eretici", comunisti compresi.

Il vescovo e i protestanti
Nel 1949 il vescovo di Sant'Angelo e Lacedonia, mons. Cristoforo Carullo, già molto attivo sul fronte anticomunista (si legga in proposito la lettera pastorale "Ottimismo ed orientamento cristiano"), assecondò la pubblicazione di un libello di mons. Giuseppe Chiusano, dal titolo significativo: "Prontuario antiprotestante", molto utile per comprendere le idee che in quegli anni animavano la diocesi altirpina. Il testo si apriva con un "monito paterno" dello stesso arcivescovo, che dava valore ai tanti luoghi comuni circolanti sull'argomento, facendo riferimento anche al mai interrotto legame con il mondo dell'emigrazione d'oltreoceano: "non potrà certo sfuggire a nessuno - scriveva il prelato - quanto stia diventando largo ed intenso il proselitismo protestante...che attinge la sua forza solo dal dollaro, dall'astuzia e dall'inganno". In particolare, Carullo si mostrava preoccupato per i "fedeli delle campagne specialmente, che non hanno una soda formazione cattolica e vendono, perciò, con grande facilità e per poco prezzo, la loro fede, non solo, ma si fanno pure facilmente ingannare da gente che si dichiara cattolica".
L'opuscolo si chiudeva con una nota dell'autore ("I protestanti nostrani nella legge italiana") che richiamava due "ordinanze" emanate dal regime fascista contro i pentecostali nel 1935 e nel 1939, di cui si riportava qualche passaggio e che, come abbiamo già notato, furono effettivamente utilizzate dalle autorità di polizia per inibirne l'esercizio del culto: "il culto dei pentecostali non è ammesso nel regno perché si estrinseca e si concreta in pratiche religiose contrarie all'ordine sociale e nocive all'integrità fisica e psichica della razza"; "la setta porta ad una morbosa esaltazione psichica, allucinazioni, moti convulsi, giudicati esiziali da competenti autorità sanitarie ad un sano equilibrio mentale".
La seconda edizione del libello fu stampata nel novembre del 1954, cioè due anni dopo le sentenze del pretore di Castelbaronia: evidentemente, per la curia santangiolese contava più la forza discriminante delle norme fasciste che lo spirito democratico della nuova Costituzione.

Pubblicato sul quotidiano Il Corriere di Avellino Domenica 25 MARZO 2001


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