Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani

DIRETTORIO PER L’APPLICAZIONE

DEI PRINCIPI E DELLE NORME SULL’ECUMENISMO

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PRESENTAZIONE

La pubblicazione del Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo, da parte del pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, costituisce un avvenimento di grande importanza ecclesiale. Nume­rosi sono stati, dopo il concilio Vaticano Il, gli interven­ti in ambito ecumenico, a livello sia di Chiesa universa­le sia di Chiese particolari; essi trovano ora in questo te­sto uno strumento che, in maniera sintetica e chiara, riordina un vasto e ricco materiale. Il nuovo Direttorio viene a prendere il posto del precedente documento, pubblicato in due parti nel 1967 e poi nel 1970, e si pro­pone come autorevole, sicuro e doveroso punto di riferi­mento per tutta l’azione ecumenica nella Chiesa.

Nel pubblicare la traduzione italiana del Direttorio, possiamo chiederci cosa esso significhi per noi, qui in Italia. Le Chiese particolari in Italia, come in qualsiasi altra regione del mondo, non possono pensarsi come realtà a sé stanti; al contrario devono sentirsi parte dell’unica Chiesa di Cristo, impegnate a realizzare, in un determinato luogo, l’aspirazione di tutta la Chiesa all’unità. Anche se nel territorio di una Chiesa partico­lare dovessero vivere tutti cattolici, non verrebbe meno per essa il dovere di partecipare all’impegno di tutta la Chiesa per l’unità dei cristiani: l’azione ecumenica èazione dell’unica Chiesa di Cristo in ogni Chiesa parti­colare, «porzione del popolo di Dio» in cui essa «è vera­mente presente ed agisce» (Christus Dominus, n. 11). Questo impegno trova ulteriore motivazione per le Chie­se particolari in Italia nel fatto che esse hanno come proprio Primate il Papa, il Vescovo di Roma, cui è affi­dato in modo tutto particolare il ministero dell’unità.

In Italia, poi, vivono varie Chiese e comunità eccle­siali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica. Con questi fratelli cristiani abbiamo il dovere del dialogo e della ricerca della verità, da sviluppare nel­la riconciliazione, nella carità, nel riconoscimento del patrimonio comune e nella eliminazione delle divisioni. I fedeli di queste Chiese e comunità ecclesiali non sono numerosi; proprio questa situazione accresce la respon­sabilità dei cattolici nel fare i passi più decisi e coerenti e nel perseverare nell’impegno ecumenico, cercando di superare ogni chiusura e atteggiamenti di parte.

Il cammino verso l’unità si arricchisce oggi di ulterio­ri motivazioni, di fronte al comune pericolo che sfida ogni credente in Cristo: il diffondersi dell’apatia e dell’indifferenza religiosa, il disorientamento morale e lo smarrimento di tanti fratelli che cercano Dio e non lo trovano o lo trovano in vie sbagliate, perché non c’è chi sappia loro indicano con sicurezza nella verità. E dolo­roso che in questa situazione i cristiani perdano parte della loro spinta missionaria ed evangelizzatrice a causa delle divisioni che minano la loro vita interna e riduco­no la loro credibilità apostolica.

I grandi cambiamenti che caratterizzano la storia dell’umanità nei nostri tempi spingono, inoltre, la Chie­sa a farsi pedagoga di riconciliazione e di fraternità. Le accresciute possibilità di comunicazione a tutti i livelli, ma soprattutto l’esplosione del fenomeno migratorio, anche nel nostro paese, conducono al mescolarsi di po­poli, culture e religioni. Di fronte a questo fenomeno, or­mai irriversibile, diventa sempre più necessario saper coniugare l’identità con la diversità. In questo processo la religione ha un ruolo importante da svolgere. I cre­denti, in nome di un Dio padre di tutti, e i cristiani, in nome di Cristo Salvatore dell’umanità, sono chiamati ad assumere con carità e verità questo cambiamento e a favorirne l’ordinato sviluppo. L’ecumenismo, mentre ri­cerca l’unità tra i credenti in Cristo, diventa anche scuo­la di fraternità nella verità tra tutti gli uomini; un inse­gnamento per tutti, perché favorisce il mutuo rispetto, promuove la concordia e la solidarietà, orienta l’incon­tro fruttuoso tra i popoli e tra le culture.

Tutte queste ragioni rendono particolarmente signifi­cativo il dono che la Santa Sede fa alle nostre Chiese con questo documento. Esso ci invita ad avere una più pre­cisa e profonda comprensione dell’unità della Chiesa, alla luce della ecclesiologia di comunione, nelle sue ra­dici trinitarie, promossa dal concilio Vaticano Il. Di particolare importanza sono poi i principi e le norme che vengono dati sulla formazione dei fedeli e sul cara t­tere ecumenico da imprimere a tutta l’attività pastorale. Nel Direttorio troviamo precise direttive su come realiz­zare un’autentica formazione ecumenica, sia come di­sciplina specifica sia come dimensione presente in ogni azione ecclesiale, dalla catechesi di base fino agli inse­gnamenti teologici superiori.

Da una reale ricezione di questo testo, e dalla sua sollecitazione a considerare il compito ecumenico come compito ineludibile di ogni Chiesa particolare, è lecito attendersi anche un nuovo impulso nella promozione delle strutture diocesane e nazionali per l’esercizio dell’ecumenismo. Proprio la centralità della dimensio­ne locale dell’azione ecumenica e l’esigenza di una col­laborazione comunionale ai diversi livelli della Chiesa universale costituiscono elementi che caratterizzano il nuovo Direttorio. In esso troveremo anche un partico­lare incitamento a sviluppare tutte le varie modalità con cui il dialogo ecumenico può e deve attuarsi, e i di­versi livelli in cui esso si esprime, coinvolgendo tutti i cristiani.

Il cammino verso l’unità dei cristiani è lungo e fatico­so. Pregare con Gesù «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21) è fondamento di ogni vero ecumenismo; questa preghiera è anche certezza che la nostra aspira­zione all’unità corrisponde al disegno stesso del Padre, che non potrà negare ai suoi figli questo dono. A noi sta il dovere di saperlo accogliere, lavorando, ciascuno per la sua parte, nel ricostruire nella verità di Cristo l’unità del suo Corpo.

SERGIO GORETTI

Vescovo di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino

Presidente del Segretariato per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza Episcopale Italiana


PREMESSA

1. La ricerca dell’unità dei cristiani è stata uno degli obiettivi principali del concilio Vaticano 11. Il Direttorio ecumenico, richiesto durante il Concilio e pubblicato in due parti, l’una nel 1967 e l’altra nel 19701, «si è rivela­to strumento prezioso per orientare, coordinare e svi­luppare lo sforzo ecumenico»2.

Motivi della presente revisione

2. Oltre la pubblicazione del Direttorio, numerosi altri documenti che si riferiscono all’ecumenismo sono stati pubblicati dalle competenti autorità3.

La promulgazione del nuovo Codice di Diritto cano­nico per la Chiesa latina (1983) e quella del Codice dei Canoni delle Chiese orientali (1990) hanno creato, in materia ecumenica, una situazione disciplinare in parte nuova per i fedeli della Chiesa cattolica.

Allo stesso modo il Catechismo della Chiesa Cattoli­ca, pubblicato nel 1992, ha posto la dimensione ecume­nica nell’insegnamento di base per tutti i fedeli della Chiesa.

 

3. Inoltre, dopo il Concilio si sono intensificati rap­porti fraterni con le Chiese e le comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica; si sono avviati e moltiplicati i dialoghi teologici. Nel suo discorso in occasione di un’assemblea plenaria del Se­gretariato (1988), che si occupava della revisione del Di­rettorio, il Santo Padre fece rilevare che «l’estensione del movimento ecumenico, la moltiplicazione dei documen­ti di dialogo, l’urgenza avvertita di una maggior parteci­pazione di tutto il popolo di Dio a tale movimento e, conseguentemente, la necessità di una informazione dot­trinale esatta in vista di un giusto impegno, tutto ciò esi­ge che, senza indugio, si diano direttive aggiornate»4. E in questo spirito ed alla luce ditali sviluppi che si è pro­ceduto alla revisione del Direttorio.

Destinatari del Direttorio

4. Il Direttorio ha come primi destinatari i Pastori del­la Chiesa cattolica, ma riguarda anche tutti i fedeli, chia­mati a pregare e ad agire per l’unità dei cristiani sotto la guida dei loro vescovi. Costoro, individualmente per la propria diocesi e collegialmente per tutta la Chiesa, sono responsabili, sotto l’autorità della Santa Sede, dell’indi­rizzo e delle iniziative in materia di ecumenismo5.

5. Ma c’è anche da augurarsi che il Direttorio sia utile ai membri delle Chiese e delle comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica. Con i cattolici, essi condividono la sollecitudine per la qualità dell’impegno ecumenico. Sarà vantaggioso per loro conoscere la direzione nella quale i responsabili del movimento ecumenico nella Chiesa cattolica intendono promuovere l’azione ecumenica ed i criteri ufficialmen­te approvati nella Chiesa. Ciò consentirà loro di valuta­re le iniziative prese dai cattolici, ad ogni livello, sì da corrispondervi in modo adeguato e meglio comprendere le risposte dei cattolici alle proprie iniziative. Va preci­sato che il Direttorio non intende trattare dei rapporti della Chiesa cattolica con le sètte o i nuovi movimenti religiosi6.

Finalità del Direttorio

6. La nuova edizione del Direttorio è destinata ad es­sere uno strumento al servizio di tutta la Chiesa e spe­cialmente di coloro che nella Chiesa cattolica sono diret­tamente impegnati in un’attività ecumenica. Il Diretto­rio intende motivarla, illuminarla, guidarla e, in alcuni casi particolari, dare anche direttive obbligatorie, secon­do la competenza propria del pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani7. Alla luce dell’espe­rienza della Chiesa dopo il Concilio e tenendo conto dell’attuale situazione ecumenica, il Direttorio raccoglie tutte le norme già fissate per applicare e sviluppare le de­cisioni del Concilio e, quand’è necessario, le adatta alla realtà attuale. Esso rafforza le strutture che sono state realizzate per sostenere e guidare l’attività ecumenica ad ogni livello della Chiesa. Nel pieno rispetto della compe­tenza delle autorità a tali vari livelli, il Direttorio dà orientamenti e norme d’applicazione universali, per in­dirizzare la partecipazione cattolica all’azione ecumeni­ca. La loro applicazione darà consistenza e coerenza al­le differenti maniere di praticare l’ecumenismo, median­te le quali Chiese particolari8 e gruppi di Chiese partico­lari rispondono alle diverse situazioni locali. Esso garan­tirà che l’attività ecumenica nella Chiesa cattolica sia conforme all’unità di fede e di disciplina che unisce i cat­tolici fra di loro.

Nel nostro tempo c’è, qua o là, una certa tendenza al­la confusione dottrinale. Perciò è molto importante che, nel campo dell’ecumenismo come in altri, si evitino abu­si che potrebbero contribuirvi o portare all’indifferenti­smo dottrinale. Se le direttive della Chiesa in questo ar­gomento venissero disattese, sarebbe ostacolato il pro­gresso dell’autentica ricerca della piena unità tra i cri­stiani. Spetta all’Ordinario del luogo, alle Conferenze episcopali o ai Sinodi delle Chiese orientali cattoliche fa­re in modo che i principi e le norme contenuti nel Diret­torio ecumenico siano fedelmente applicati e vigilare con cura pastorale perché sia evitata ogni possibile de­viazione.

Piano del Direttorio

7. Il Direttorio si apre con una esposizione dell’impe­gno ecumenico della Chiesa cattolica (capitolo I). Segue una elencazione dei mezzi usati dalla Chiesa cattolica per tradurre in pratica tale impegno. Essa lo realizza at­traverso l’organizzazione (capitolo Il) e la formazione dei suoi membri (capitolo III). A coloro che sono in tal modo organizzati e formati sono destinate le disposizio­ni dei capitoli IV e V sull’attività ecumenica.

I. La ricerca dell’unità dei cristiani

L’impegno ecumenico della Chiesa cattolica fondato sui principi dottrinali enunciati dal concilio Vaticano II.

II. L’organizzazione nella Chiesa Cattolica del servizio dell’unità dei cristiani

Le persone e le strutture destinate a promuovere l’ecumenismo a tutti i livelli, e le norme che regolano la loro attività.

III. La formazione all’ecumenismo nella Chiesa cattolica Le categorie di persone da formare; finalità, ambito e

metodi della formazione nei suoi aspetti dottrinali e pratici.

IV. La comunione di vita e di attività spirituale tra i bat­tezzati

La comunione che esiste con gli altri cristiani sulla ba­se del legame sacramentale del battesimo e le norme per la condivisione della preghiera e di altre attività spirituali, ivi compresi, in casi particolari, alcuni beni sacramentali.

V. Collaborazione ecumenica, dialogo e testimonianza comune

I principi, le diverse forme e le norme della collabora­zione tra cristiani in vista del dialogo e della comune te­stimonianza nel mondo.

8. Così, in un’epoca caratterizzata da una crescente se­colarizzazione, che chiama i cristiani ad un’azione co­mune nella speranza del Regno di Dio, le norme che re­golano le relazioni tra cattolici e altri cristiani, e le di­verse forme di collaborazione da essi attuate, sono stabi­lite in modo tale che la promozione dell’unità desiderata da Cristo possa essere perseguita in maniera equilibrata e coerente, nella linea e secondo i principi fissati dal con­cilio Vaticano II.

LA RICERCA DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI

9. Il movimento ecumenico intende essere una rispo­sta al dono della grazia di Dio, chiamando tutti i cristia­ni alla fede nel mistero della Chiesa, secondo il disegno di Dio che vuole condurre l’umanità alla salvezza e all’unità in Cristo mediante lo Spirito santo. Questo mo­vimento chiama i cristiani alla speranza che si realizzi pienamente la preghiera di Gesù «perché tutti siano una sola cosa»9. Li chiama a quella carità che è il comanda-mento nuovo di Cristo e il dono per mezzo del quale lo Spirito santo unisce tutti i fedeli. Il concilio Vaticano Il ha esplicitamente chiesto ai cattolici di abbracciare nel loro amore tutti i cristiani con una carità che anela a su­perare, nella verità, ciò che li divide e attivamente si im­pegna a farlo; essi devono operare sperando e pregando per la promozione dell’unità dei cristiani; la loro fede nel mistero della Chiesa li stimola e li illumina in maniera ta­le che la loro azione ecumenica possa essere ispirata e guidata da una vera comprensione della Chiesa che è in Cristo come «sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano»10

10. L’insegnamento della Chiesa sull’ecumenismo, co­sì come l’incoraggiamento a sperare e l’invito ad amare, trovano un’espressione ufficiale nei documenti del con­cilio Vaticano Il e in particolare nella Lumen gentium e nell’Unitatis redintegratio. I documenti successivi che hanno per oggetto l’attività ecumenica nella Chiesa, ivi compreso il Direttorio ecumenico (1967 e 1970), si ba­sano sui principi dottrinali, spirituali e pastorali enun­ciati nei documenti del Concilio. Essi hanno approfondi­to alcuni argomenti cui si fa cenno nei documenti conci­liari, hanno sviluppato una terminologia teologica ed hanno impartito norme d’azione più dettagliate, pur sempre interamente basate sull’insegnamento del Conci­lio stesso. Tutto ciò offre un insieme di insegnamenti le cui grandi linee saranno esposte in questo capitolo. Tali insegnamenti costituiscono il fondamento del presente Direttorio.

La Chiesa e la sua unità nel piano di Dio

11. Il Conciliocolloca il mistero della Chiesa nel mi­stero della sapienza e della bontà di Dio, il quale attira tutta la famiglia umana ed anche l’intera creazione all’unità in lui”. A tal fine, Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio Unigenito, che, innalzato sulla croce e poi en­trato nella gloria, effuse lo Spirito santo, per mezzo del quale convoca e riunisce nell’unità della fede, della spe­ranza e della carità il popolo della Nuova Alleanza che èla Chiesa. Per fondare in ogni luogo la Chiesa santa fino alla fine dei secoli, Cristo affidò il compito di insegnare, governare e santificare al collegio dei Dodici, al quale diede Pietro come capo. «Gesù Cristo per mezzo della fedele predicazione del Vangelo, dell’amministrazione dei sacramenti e del governo esercitato nell’amore da parte degli apostoli e dei loro successori [...I1~ sotto l’azione dello Spirito santo, vuole che il suo popolo cre­sca e sia perfezionata la sua comunione nell’unità»’2. Il Concilio presenta la Chiesa come il nuovo popolo di Dio, che in sé riunisce, con tutte le ricchezze della loro diversità, uomini e donne di ogni nazione e di ogni cul­tura, dotati di multiformi doni di natura e di grazia, po­sti a servizio gli uni degli altri, e consapevoli d’essere mandati nel mondo per la sua salvezza’3. Essi accolgono nella fede la Parola di Dio, sono battezzati in Cristo, confermati nello Spirito della Pentecoste e celebrano in­sieme il sacramento del corpo e del sangue di Cristo nell’Eucaristia:

«Lo Spirito santo, che abita nei credenti e riempie e regge tutta la Chiesa, produce la meravigliosa comu­nione dei fedeli e tanto intimamente tutti unisce in Cristo, da essere il principio dell’unità della Chiesa. Egli opera la varietà delle grazie e dei servizi e arric­chisce con vari doni la Chiesa di Gesù Cristo, “orga­nizzando i santi per compiere l’opera del servizio e per la edificazione del Corpo di Cristo”»’4.

12. A servizio del popolo di Dio, per la sua comune vi­ta di fede e sacramentale, sono posti i ministri ordinati:

vescovi, presbiteri e diaconi’5. In tal modo, unito dal tri­plice legame della fede, della vita sacramentale e del mi­nistero gerarchico, tutto il popolo di Dio realizza ciò che la tradizione di fede dal Nuovo Testamento in poi’6 ha sempre chiamato la koinonia/comunione. E, questo, il concetto chiave che ha ispirato l’ecclesiologia del conci­lio Vaticano II’~ ed al quale il recente insegnamento del Magistero ha dato una grande importanza.

La Chiesa come comunione

13. La comunione nella quale i cristiani credono e spe­rano è, nella sua realtà più profonda, la loro unità con il Padre per Cristo nello Spirito santo. Dopo la Pentecoste essa è donata e ricevuta nella Chiesa, comunione dei santi. Ha il suo pieno compimento nella gloria del cielo, ma si realizza già nella Chiesa sulla terra mentre cammi­na verso quella pienezza. Coloro che vivono uniti nella fede, nella speranza e nella carità, nel servizio vicende­vole, nell’insegnamento comune e nei sacramenti, sotto la guida dei loro Pastori’8, hanno parte alla comunione che costituisce la Chiesa di Dio. Tale comunione concre­tamente si realizza nelle Chiese particolari, ognuna delle quali è riunita attorno al proprio Vescovo. In ciascuna di esse «è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica ed apostolica»’9. Tale comunione, per sua stessa natura, è perciò universale.

14. La comunione tra le Chiese si conserva e si espri­me specialmente attraverso la comunione tra i loro ve­scovi. Insieme essi formano un collegio, che succede al collegio apostolico e ha come suo capo il Vescovo di Ro­ma, quale successore di Pietro20. Così i vescovi garanti­scono che le Chiese di cui sono i ministri continuano l’unica Chiesa di Cristo, fondata sulla fede e sul ministe­ro degli apostoli. Essi coordinano le energie spirituali e i doni dei fedeli e delle loro associazioni, in vista dell’edi­ficazione della Chiesa e del pieno esercizio della sua mis­sione.

15. Ogni Chiesa particolare, unita in se stessa e nella comunione della Chiesa una, santa, cattolica ed aposto­lica, è mandata in nome di Cristo e per la potenza dello Spirito a portare il Vangelo del Regno ad un sempre maggior numero di persone, offrendo loro la comunione con Dio. Accogliendola, tali persone entrano anche in comunione con tutti coloro che già l’hanno ricevuta e, con essi, sono costituiti in un’autentica famiglia di Dio. Con la sua unità, questa famiglia testimonia la comunio­ne con Dio. Proprio in questa missione della Chiesa si realizza la preghiera di Gesù; egli infatti ha pregato «per­ché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato»2’.

16. La comunione all’interno delle Chiese particolari e tra loro è un dono di Dio. La si deve accogliere con gioia

e gratitudine, e coltivare con cura. Essa è custodita par­ticolarmente da coloro che sono chiamati a esercitare nella Chiesa il ministero di pastore. L’unità della Chiesa si realizza nel contesto di una ricca diversità. La diver­sità è una dimensione della cattolicità della Chiesa. La ricchezza stessa ditale diversità può, tuttavia, generare tensioni nella comunione. Ma, nonostante queste tensio­ni, lo Spirito continua ad agire nella Chiesa chiamando i cristiani, nella loro diversità, ad una sempre più profon­da unità.

17. I cattolici conservano la ferma convinzione che l’unica Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica, «governata dal successore di Pietro e dai vescovi in co­munione con lui»22. Essi confessano che la totalità della verità rivelata, dei sacramenti e del ministero, dati da Cristo per l’edificazione della sua Chiesa e per il compi­mento della missione che le è propria, si trova nella co­munione cattolica della Chiesa. Certo, i cattolici sono consapevoli di non aver vissuto e di non vivere personal­mente in pienezza dei mezzi di grazia di cui la Chiesa èdotata. Malgrado tutto, la loro fiducia nella Chiesa non viene mai meno. La fede dà loro la certezza che essa per­mane «degna sposa del suo Signore» e non cessa, «sotto l’azione dello Spirito santo, di rinnovare se stessa, finché attraverso la croce giunga alla luce che non conosce tra­monto»23. Quando perciò i cattolici usano le parole «Chiese», «altre Chiese», «altre Chiese e comunità eccle­siali», ecc., per designare coloro che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica, si deve sempre tener conto di questa ferma convinzione e confessione di fede.

Le divisioni tra i cristiani e la ricomposizione dell’unità

18. L’insensatezza e il peccato degli uomini, tuttavia, lungo la storia hanno opposto resistenza alla volontà unificante dello Spirito santo e indebolito la forza dell’amore che supera le tensioni che si creano nella vita ecclesiale. Fin dagli inizi della Chiesa avvennero scissio­ni. Successivamente si manifestarono dissensi più gravi e alcune Chiese in Oriente non si trovarono più in piena comunione con la Sede di Roma e con la Chiesa d’Occi­dente24. Più tardi, in Occidente, divisioni più profonde causarono il formarsi di altre comunità ecclesiali. Tali scissioni avevano alla loro origine questioni dottrinali o disciplinari e perfino divergenze sulla natura della Chie­sa25. Il decreto del concilio Vaticano Il sull’ecumenismo riconosce che dissensi sono nati «talora non senza colpa di uomini d’entrambe le parti»26. Tuttavia, per quanto la colpevolezza umana abbia potuto nuocere gravemente alla comunione, questa non è mai stata distrutta. In ef­fetti, la pienezza dell’unità della Chiesa di Cristo si è conservata nella Chiesa cattolica, mentre altre Chiese e comunità ecclesiali, pur non essendo in piena comunio­ne con la Chiesa cattolica, in realtà mantengono con es­sa una certa comunione. Il Concilio così si esprime:

«Quell’unità Il...] crediamo sussistere, senza possibilità d’essere perduta, nella Chiesa cattolica e speriamo che crescerà ogni giorno più fino alla fine dei secoli»27. Alcu­ni testi conciliari indicano gli elementi che sono condivi­si dalla Chiesa cattolica e dalle Chiese orientali28 da una parte, e dalla Chiesa cattolica e dalle altre Chiese e co­munità ecclesiali dall’altra29. «Lo Spirito di Cristo non ri­cusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza»30.

19. Tuttavia nessun cristiano o cristiana può essere pa­go ditali forme imperfette di comunione, che non corri­spondono alla volontà di Cristo e indeboliscono la sua Chiesa nell’esercizio della missione che le è propria. La grazia di Dio, soprattutto nel nostro secolo, ha spinto al­cuni membri di parecchie Chiese e comunità ecclesiali a cercare con decisione di superare le divisioni ereditate dal passato e di ricostruire una comunione d’amore mediante la preghiera, il pentimento, la reciproca richiesta di per­dono per i peccati di divisione del passato e del presente, e attraverso incontri per iniziative di collaborazione e di dialogo teologico. Tali sono gli obiettivi e le attività di quello che è stato chiamato movimento ecumenico3’.

20. Durante il concilio Vaticano Il la Chiesa cattolica ha preso solennemente l’impegno di operare per l’unità dei cristiani. Il decreto Unitatis redintegratio precisa che l’unità voluta da Cristo per la sua Chiesa si realizza «per mezzo della fedele predicazione del Vangelo, dell’ammi­nistrazione dei sacramenti e del governo esercitato nell’amore da parte degli apostoli e dei loro successori, cioè i vescovi con a capo il successore di Pietro». Il de­creto afferma che questa unità consiste «nella confessio­ne di una sola fede, nella comune celebrazione del culto divino e nella fraterna concordia della famiglia di Dio»32. Tale unità, che per sua stessa natura esige una piena co­munione visibile di tutti i cristiani, è il fine ultimo del movimento ecumenico. Il Concilio dichiara che essa non richiede affatto che venga sacrificata la ricca diversità di spiritualità, di disciplina, di riti liturgici e di elaborazio­ne della verità rivelata che sono andati sviluppandosi tra i cristiani33, nella misura in cui tale diversità rimane fe­dele alla tradizione apostolica.

21. Dopo il concilio Vaticano Il l’attività ecumenica, in tutta la Chiesa cattolica, è stata ispirata e guidata da diversi documenti e iniziative della Santa Sede e, nelle Chiese particolari, da documenti e iniziative dei vescovi, dei Sinodi delle Chiese orientali cattoliche e delle Confe­renze episcopali. Si devono anche ricordare i progressi realizzati in molteplici forme di dialogo ecumenico e in diversi tipi di collaborazione ecumenica. Secondo la stessa espressione del Sinodo dei vescovi del 1985, l’ecumenismo «si è profondamente e indelebilmente im­presso nella coscienza della Chiesa»34.

L’ecumenismo nella vita dei cristiani

22. Il movimento ecumenico è una grazia di Dio, con­cessa dal Padre in risposta alla preghiera di Gesù35 e alle suppliche della Chiesa ispirata dallo Spirito santo36. Pur collocandosi nell’ambito della missione generale della Chiesa, che è di unire l’umanità in Cristo, il suo compito specifico è la ricomposizione dell’unità tra i cristiani37. Coloro che sono battezzati nel nome di Cristo sono, per ciò stesso, chiamati ad impegnarsi nella ricerca dell’unità38. La comunione nel battesimo è ordinata alla piena comunione ecclesiale. Vivere il proprio battesimo significa essere coinvolti nella missione di Cristo, la qua­le consiste appunto nel raccogliere tutto nell’unità.

23. I cattolici sono invitati a rispondere, secondo le in­dicazioni dei loro Pastori, con solidarietà e gratitudine agli sforzi che si compiono per ristabilire l’unità dei cri­stiani in molte Chiese e comunità ecclesiali e nelle varie organizzazioni alle quali danno la loro collaborazione. Là dove non si realizza nessuna attività ecumenica, al­meno praticamente, i cattolici cercheranno di promuo­verla. Là dove l’impegno ecumenico incontra opposizio­ni o ostacoli, a causa di tendenze settarie o di attività che portano a divisioni ancora più profonde tra coloro che confessano il nome di Cristo, i cattolici siano pazienti e perseveranti. Gli Ordinari del luogo39, i Sinodi delle Chiese orientali cattoliche40 e le Conferenze episcopali si troveranno talvolta nella necessità di prendere speciali misure per superare il pericolo di indifferentismo o di proselitismo4t. Ciò potrebbe riguardare particolarmente le giovani Chiese. I cattolici, in tutti i loro rapporti con membri di altre Chiese e comunità ecclesiali, agiranno con rettitudine, prudenza e competenza. Il criterio di procedere con gradualità e precauzione, senza eludere le difficoltà, è anche una garanzia per non cedere alla ten­tazione dell’indifferentismo o del proselitismo, che sa­rebbe la rovina del vero spirito ecumenico.

24. Qualunque sia la situazione locale, i cattolici, per essere in grado di assumere le loro responsabilità ecu­meniche, devono agire insieme e in accordo con i loro vescovi. Innanzi tutto devono conoscere a fondo la natu­ra della Chiesa cattolica ed essere capaci di render conto del suo insegnamento, della sua disciplina e dei suoi principi ecumenici. Quanto meglio conoscono tutto que­sto, tanto meglio lo possono esporre nelle discussioni con gli altri cristiani e convenientemente spiegarlo moti­vandolo. Devono anche avere una corretta conoscenza delle altre Chiese e comunità ecclesiali con le quali sono in rapporto. E necessario prendere in attenta considera­zione le varie condizioni preliminari all’impegno ecume­nico, che sono enunciate nel decreto del concilio Vatica­no Il sull’ecumenismo42.

25. L’ecumenismo, con tutte le sue esigenze umane e morali, è talmente radicato nell’azione misteriosa della Provvidenza del Padre, per il Figlio e nello Spirito, da toccare le profondità della spiritualità cristiana. Esso ri­chiede quella «conversione del cuore e quella santità della vita, insieme con le preghiere private e pubbliche per l’unità dei cristiani», che il decreto del concilio Vati­cano Il sull’ecumenismo chiama «ecumenismo spiritua­le» e ritiene essere «l’anima di tutto il movimento ecu­menico»43. Coloro che si immedesimano profondamente a Cristo devono conformarsi alla sua preghiera, in parti­colare alla sua preghiera per l’unità; coloro che vivono nello Spirito devono lasciarsi trasformare dall’amore, che, per la causa dell’unità, «tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta»44 coloro che vivono in spiri­to di pentimento saranno particolarmente sensibili al peccato delle divisioni e pregheranno per il perdono e la conversione. Coloro che tendono alla santità saranno ca­paci di riconoscere i suoi frutti anche al di fuori dei con­fini visibili della loro Chiesa45. Arriveranno a conoscere veramente Dio come colui che solo è capace di racco­gliere tutti nell’unità, essendo il Padre di tutti.

I diversi livelli dell’azione ecumenica

26. Le possibilità e le esigenze dell’azione ecumenica

non si presentano nello stesso modo in una parrocchia, in una diocesi, a livello di un’organizzazione regionale o nazionale delle diocesi, a livello della Chiesa universale. L’ecumenismo richiede un impegno del popolo di Dio nelle strutture ecclesiastiche e secondo la disciplina pro­pria di ciascuno ditali livelli.

27. Nella diocesi, raccolta attorno al suo Vescovo, nel­le parrocchie e nei diversi gruppi e comunità, l’unità dei cristiani si costruisce e si evidenzia giorno per giorno46:

uomini e donne ascoltano nella fede la Parola di Dio, pregano, celebrano i sacramenti, si mettono al servizio gli uni degli altri e testimoniano il Vangelo della salvez­za a coloro che ancora non credono.

Tuttavia, quando membri di una stessa famiglia ap­partengono a Chiese e comunità ecclesiali diverse, quan­do dei cristiani non possono ricevere la comunione con il coniuge o i figli o gli amici, la sofferenza per la divi­sione si fa acutamente sentire e dovrebbe più fortemen­te stimolare alla preghiera e all’attività ecumenica.

28. Il fatto di riunire, all’interno della comunione cat­tolica, le Chiese particolari in istituzioni affini, quali i Si­nodi delle Chiese orientali e le Conferenze episcopali, manifesta la comunione esistente tra queste Chiese. Tali assemblee possono sensibilmente facilitare lo sviluppo di efficaci relazioni ecumeniche con le Chiese e le comu­nità ecclesiali di una stessa regione che non sono in pie­na comunione con noi. Oltre la loro tradizione culturale e civica, esse condividono una comune eredità ecclesia­le, ~che risale all’epoca anteriore alle divisioni. Avendo maggiori possibilità che non una Chiesa particolare di trattare in maniera rappresentativa i fattori regionali e nazionali dell’attività ecumenica, i Sinodi delle Chiese orientali cattoliche e le Conferenze episcopali possono dar vita a organizzazioni destinate a valorizzare e coor­dinare le risorse e gli sforzi del loro territorio, in modo tale da sostenere le attività delle Chiese particolari e con­sentire loro di seguire, nelle loro iniziative ecumeniche, un cammino cattolico omogeneo.

29. Spetta al Collegio dei vescovi e alla Sede apostoli­ca il giudizio in ultima istanza sul modo in cui si deve ri­spondere alle esigenze della piena comunione47. A que­sto livello si raccoglie e si valuta l’esperienza ecumenica di tutte le Chiese particolari; si riuniscono i mezzi neces­sari al servizio della comunione a livello universale e tra tutte le Chiese particolari che fanno parte di questa co­munione e per essa si adoperano; si danno le direttive che servono a orientare e dirigere le attività ecumeniche ovunque si svolgano nella Chiesa. Spesso è a questo li­vello della Chiesa che le altre Chiese e comunità eccle­siali si rivolgono quando desiderano essere in rapporto ecumenico con la Chiesa cattolica. Ed è a questo livello che possono essere prese le decisioni ultime concernenti la ricomposizione della comunione.

Complessità e diversità della situazione ecumenica

30. Il movimento ecumenico vuole essere obbediente alla Parola di Dio, alle ispirazioni dello Spirito santo e all’autorità di coloro ai quali è affidato il ministero di as­sicurare che la Chiesa rimanga fedele a quella tradizione apostolica in cui vengono accolti la Parola di Dio e i do­ni dello Spirito. Ciò che si ricerca è la comunione, che è il cuore del mistero della Chiesa, ed è per questo che il ministero apostolico dei vescovi è particolarmente ne­cessario nell’ambito dell’attività ecumenica. Le situazio­ni di cui l’ecumenismo si occupa molto spesso sono sen­za precedenti, variano da luogo a luogo e di epoca in epoca. Vanno incoraggiate anche le iniziative dei fedeli nel campo dell’ecumenismo. E però indispensabile un attento e continuo discernimento, che compete a coloro che hanno la responsabilità ultima della dottrina e della disciplina della Chiesa48. A costoro spetta incoraggiare iniziative serie ed assicurare che siano attuate secondo i principi cattolici dell’ecumenismo. Essi devono ridare fi­ducia a coloro che si lasciano scoraggiare dalle difficoltà e moderare la generosità imprudente di coloro che non soppesano debitamente le reali difficoltà disseminate sulla via della ricomposizione dell’unità. Il pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, il cui ruolo e la cui responsabilità consistono nel dare diretti­ve e suggerimenti per l’attività ecumenica, offre lo stes­so servizio all’intera Chiesa.

31. La natura dell’azione ecumenica intrapresa in una

regione particolare subirà sempre l’influsso del carattere particolare della situazione ecumenica del luogo. La scelta dell’impegno ecumenico appropriato spetta pri­mariamente al Vescovo, il quale deve tener conto delle specifiche responsabilità e delle esigenze tipiche della sua diocesi. E impossibile passare in rassegna la varietà delle situazioni; si possono nondimeno fare alcune os­servazioni abbastanza generali.

32. Il compito ecumenico si presenterà in modo diver­so in un paese in prevalenza cattolico e in un paese in cui cristiani orientali o anglicani o protestanti sono in gran numero o maggioranza. Il compito assumerà aspetti an­cora diversi in paesi nei quali c’è una maggioranza di non cristiani. La partecipazione della Chiesa cattolica al movimento ecumenico in paesi in cui essa è largamente maggioritaria è cruciale perché l’ecumenismo sia un mo­vimento che coinvolga tutta la Chiesa.

33. Allo stesso modo, il compito ecumenico varierà notevolmente a seconda che la maggioranza dei nostri interlocutori cristiani appartenga parte a una o a più Chiese orientali anziché a comunità della Riforma. Ogni caso ha una propria dinamica e sue peculiari possibilità. Molti altri fattori, politici, sociali, culturali, geografici ed etnici, possono dare un’impronta specifica al compito ecumenico.

34. Le diverse caratteristiche del compito ecumenico dipenderanno sempre dal particolare contesto locale. L’importante è che, nello sforzo comune, i cattolici, ovunque nel mondo, si sostengano vicendevolmente con la preghiera e il reciproco incoraggiamento, in modo che si possa perseguire la ricerca dell’unità dei cristiani, nei suoi molteplici aspetti, nell’obbedienza al comandamen­to del Signore.

Le sètte e i nuovi movimenti religiosi

35. Il panorama religioso del nostro mondo, negli ulti­mi decenni, è andato notevolmente evolvendosi e in al­cune parti del mondo il cambiamento di maggior rilievo è stato il proliferare di sètte e di nuovi movimenti reli­giosi, la cui aspirazione a relazioni pacifiche con la Chie­sa cattolica può talvolta essere debole o non esistere af­fatto. Nel 1986, quattro dicasteri della Curia romana hanno pubblicato congiuntamente un rapporto49, che ri­chiama l’attenzione sulla fondamentale distinzione da farsi tra le sètte e i nuovi movimenti religiosi da una par­te e le Chiese e comunità ecclesiali dall’altra. In questo campo sono in corso ulteriori studi.

36. Per quel che riguarda le sètte e i nuovi movimenti religiosi, la situazione è assai complessa e si presenta in modo differente secondo il contesto culturale. In alcuni paesi le sètte si sviluppano in un ambiente culturale fon­damentalmente religioso. In altri luoghi si diffondono in società sempre più secolarizzate, ma che, al tempo stes­so, conservano credenze e superstizioni. Certe sètte sono e si dicono di origine non cristiana; altre sono eclettiche; altre ancora si dichiarano cristiane, ma possono sia aver rotto con comunità cristiane, sia conservare ancora lega­mi con il cristianesimo. E chiaro che spetta primaria-mente al Vescovo, alla Conferenza episcopale o al Sino­do delle Chiese orientali cattoliche discernere il miglior modo di rispondere alla sfida rappresentata dalle sètte in una determinata regione. Bisogna però insistere sul fatto che i principi della condivisione spirituale o della coope­razione pratica indicati in questo Direttorio si applicano esclusivamente alle Chiese e alle comunità ecclesiali con le quali la Chiesa cattolica ha instaurato relazione ecu­meniche. Al lettore di questo Direttorio apparirà con chiarezza che l’unico fondamento per tale condivisione e per tale cooperazione sta nel riconoscere da una parte e dall’altra una certa comunione già esistente, anche se imperfetta, congiunta all’apertura e al rispetto reciproco generati da un simile riconoscimento.

II

L’ORGANIZZAZIONE NELLA CHIESA CATTOLICA

DEL SERVIZIO DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI

Introduzione

37. Attraverso le Chiese particolari, la Chiesa cattolica è presente in molti luoghi e regioni in cui affianca altre Chiese e comunità ecclesiali. Queste regioni hanno ca­ratteristiche loro proprie d’ordine spirituale, etnico, po­litico e culturale. In molti casi, in tali regioni risiede la suprema autorità religiosa di altre Chiese e comunità ecclesiale; queste regioni spesso corrispondono al territorio di un Sinodo delle Chiese orientali cattoliche o di una Conferenza episcopale.

38. Di conseguenza, una Chiesa cattolica particolare,

o parecchie Chiese particolari che hanno tra loro stretti rapporti di collaborazione, possono trovarsi in posizione molto favorevole per entrare in contatto, a questo livel­lo, con altre Chiese o comunità ecclesiali. Possono stabi­lire con esse relazioni ecumeniche fruttuose, giovando al movimento ecumenico nel suo insieme50.

39. Il concilio Vaticano Il ha raccomandato l’azione ecumenica in modo speciale «ai vescovi d’ogni parte del­la terra, perché sia promossa con sollecitudine e sia con prudenza da loro diretta»5’. Questa direttiva, che spesso è già stata tradotta in pratica da singoli vescovi, da Sino­di delle Chiese orientali cattoliche o da Conferenze epi­scopali, è stata introdotta nei Codici di diritto canonico.

Per la Chiesa latina il CIC, can. 755, afferma:

« § 1. Spetta in primo luogo a tutto il Collegio dei ve­scovi e alla Sede apostolica sostenere e dirigere pres­so i cattolici il movimento ecumenico, il cui fine è il ri­stabilimento dell’unità tra tutti i cristiani, che la Chie­sa è tenuta a promuovere per volontà di Cristo».

«§ 2. Spetta parimenti ai vescovi, e, a norma del dirit­to, alle Conferenze episcopali, promuovere la medesi­ma unità e, secondo che le diverse circostanze lo esi­gano o lo consiglino, impartire norme pratiche, tenu­te presenti le disposizioni emanate dalla suprema au­torità della Chiesa».

Per le Chiese orientali cattoliche il CCEO, cann. 902-904, § 1, afferma:

Canone 902: «Poiché la sollecitudine di ristabilire l’unità di tutti quanti i cristiani spetta all’intera Chie­sa, tutti i fedeli cristiani, ma specialmente i Pastori della Chiesa, devono pregare il Signore per questa de­siderata pienezza di unità della Chiesa e darsi da fare partecipando ingegnosamente all’attività ecumenica suscitata dalla grazia dello Spirito santo.».

Canone 903: «Spetta alle Chiese orientali cattoliche il compito speciale di promuovere l’unità fra tutte le Chiese orientali anzitutto con la preghiera, con l’esempio della vita, con la religiosa fedeltà verso le antiche tradizioni delle Chiese orientali, con una mi­gliore conoscenza vicendevole, con la collaborazione e la fraterna stima delle cose e dei cuori».

Canone 904, § 1: «Siano promosse assiduamente le iniziative del movimento ecumenico in ciascuna Chie­sa sui iuris con norme speciali di diritto particolare sotto la guida dello stesso movimento da parte della Sede apostolica romana per la Chiesa universale».

40. Alla luce di questa competenza particolare per promuovere e guidare l’attività ecumenica, è proprio della responsabilità dei singoli vescovi diocesani, dei Si­nodi delle Chiese orientali cattoliche, o delle Conferen­ze episcopali stabilire le norme secondo cui le persone o le commissioni sotto indicate svolgeranno le attività lo­ro demandate e vigilare sull’applicazione ditali norme. Inoltre, si dovrà aver cura che coloro ai quali verranno affidate queste responsabilità ecumeniche abbiano un’adeguata conoscenza dei principi cattolici dell’ecu­menismo e siano seriamente preparati per il loro com­pito.

Il delegato diocesano per l’ecumenismo

41. Nelle diocesi il Vescovo nomini una persona com­petente come delegato diocesano per le questioni ecu­meniche. Costui potrà essere incaricato di animare la commissione ecumenica diocesana e di coordinarne le attività, come è indicato al n. 44 (oppure di svolgere tali attività, in mancanza della suddetta commissione). In quanto stretta collaboratrice del Vescovo e con l’aiuto conveniente, questa persona incoraggerà, nella diocesi, svariate iniziative di preghiere per l’unità dei cristiani, avrà cura che le esigenze ecumeniche influenzino le atti­vità della diocesi, identificherà i bisogni particolari della diocesi e su di essi la terrà informata. Tale delegato è an­che il responsabile che rappresenta la comunità cattolica nei suoi rapporti con le altre Chiese e comunità ecclesia­li e i loro dirigenti, di cui facilita le relazioni con il Ve­scovo del luogo, il clero e il laicato a diversi livelli. Egli sarà il consigliere del Vescovo e delle altre istanze della diocesi in materia ecumenica e faciliterà la condivisione di esperienze di iniziative ecumeniche tra i pastori e le organizzazioni diocesane. Avrà cura di mantenere con­tatti con i delegati o le commissioni di altre diocesi. An­che là dove i cattolici sono in maggioranza, oppure nelle diocesi che hanno limitato personale e limitate risorse, si raccomanda che venga nominato un delegato diocesano (o una delegata diocesana) per attuare le attività predet­te, nella misura in cui ciò sia possibile e conveniente.

La commissione o il segretariato ecumenico di una diocesi

42. Il Vescovo della diocesi, oltre a nominare un dele­gato diocesano per le questioni ecumeniche, istituirà un consiglio, una commissione o un segretariato con l’inca­rico di attuare le direttive o gli orientamenti che egli po­trà dare, e, più generalmente, di promuovere l’attività ecumenica nella diocesi52. Laddove le circostanze lo ri­chiedano, più diocesi possono riunirsi per costituire una commissione o un segretariato del genere.

43. La commissione o il segretariato sia rappresentati­vo dell’intera diocesi e, in linea di massima, comprenda membri del clero, dei religiosi, delle religiose e del laica­to, con varie competenze, e specialmente persone che abbiano una specifica competenza ecumenica. E auspi­cabile che rappresentanti del consiglio presbiterale, del consiglio pastorale e dei seminari diocesani o regionali siano annoverati tra i membri della commissione o del segretariato.

Tale commissione dovrà cooperare con le istituzioni o organizzazioni ecumeniche già esistenti o che saranno istituite, avvalendosi del loro apporto quando se ne pre­senti l’occasione. Essa dovrà essere pronta ad aiutare il delegato diocesano per l’ecumenismo e a mettersi a di­sposizione di altre organizzazioni diocesane o di iniziati­ve private per il reciproco scambio di informazioni e di idee. Sarebbe particolarmente importante che esistesse­ro rapporti con le parrocchie e le organizzazioni parroc­chiali, con le iniziative apostoliche dei membri di istituti di vita consacrata e di società di vita apostolica, e con movimenti e associazioni di laici.

44. Oltre alle funzioni che già le sono state assegnate, è compito di questa commissione:

a)      tradurre in pratica le decisioni del Vescovo dioce­sano concernenti l’applicazione dell’insegnamento e del­le norme del concilio Vaticano Il sull’ecumenismo come pure i documenti postconciliari che vengono emanati dalla Santa Sede, dai Sinodi delle Chiese orientali catto­liche e dalle Conferenze episcopali;

b)      mantenere rapporti con la commissione ecumenica territoriale (cfr. infra) e adattare i suoi consigli e i suoi suggerimenti alle condizioni locali. Quando la situazione lo richiede, è raccomandabile che si trasmettano al pon­tificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristia­ni informazioni su determinate esperienze e sui loro ri­sultati, o altre informazioni utili;

c)      favorire l’ecumenismo spirituale secondo i principi indicati dal decreto conciliare sull’ecumenismo e in altri punti di questo Direttorio riguardo alla preghiera, pub­blica e privata, per l’unità dei cristiani;

d)      offrire aiuto e appoggio, con mezzi quali sessioni di lavoro e seminari per la formazione ecumenica del clero e dei laici, per un’adeguata applicazione della dimensio­ne ecumenica a tutti gli aspetti della vita, prestando una speciale attenzione al modo in cui i seminaristi vengono preparati a dare la dovuta dimensione ecumenica alla predicazione, alla catechesi e ad altre forme di insegna­mento, nonché per le attività pastorali (per esempio, per la pastorale dei matrimoni misti), ecc.;

e)      coltivare la cordialità e la carità tra i cattolici e gli altri cristiani con i quali ancora manca la piena comu­nione ecclesiale, seguendo i suggerimenti e le direttive che si daranno più sotto (in particolare ai nn. 205-2 18);

f)       proporre e guidare conversazioni e consultazioni con loro, tenendo ben presente che è opportuno adattar­le alla diversità dei partecipanti e dei soggetti del dialo­go53

g)      indicare esperti da incaricare, a livello diocesano, per il dialogo con le altre Chiese e comunità ecclesiali;

h)      promuovere, in collaborazione con altre organizza­zioni diocesane e con gli altri cristiani, nella misura del possibile, una testimonianza comune di fede cristiana e, allo stesso modo, un’azione comune in ambiti quali l’educazione, la moralità pubblica e privata, la giustizia sociale, le questioni connesse con la cultura, la scienza e le arti54

i)        proporre ai vescovi scambi di osservatori e invitati in occasione di importanti conferenze, di sinodi, dell’in­sediamento di autorità religiose e in altre circostanze si­mili.

45. Nelle diocesi, le parrocchie dovrebbero essere in­coraggiate a prender parte ad iniziative ecumeniche a li­vello parrocchiale e, quand’è possibile, a costituire grup­pi incaricati di realizzare tali attività (cfr. infra, n. 67). Le parrocchie dovrebbero rimanere in stretto rapporto con le autorità diocesane e scambiare informazioni ed espe­rienze con esse, con le altre parrocchie e altri gruppi.

La commissione ecumenica dei Sinodi delle Chiese orientali cattoliche e delle Conferenze episcopali

46. Ogni Sinodo delle Chiese orientali cattoliche e ogni Conferenza episcopale, secondo le procedure loro proprie, costituiranno una commissione episcopale per l’ecumenismo, assistita da esperti, uomini e donne, scel­ti tra il clero, tra religiosi e religiose e tra laici. Per quan­to è possibile, tale commissione sarà affiancata da una segreteria permanente. Questa commissione, il cui me­todo di lavoro sarà determinato dagli statuti del Sinodo o della Conferenza, avrà il compito di proporre orienta­menti in materia ecumenica e concreti modi d’azione, in conformità con la legislazione, le direttive, le legittime consuetudini ecclesiali in vigore e tenendo presenti le reali possibilità di una determinata regione. E necessario che vengano prese in considerazione tutte le circostanze di luoghi e di persone del territorio di competenza, ma che si tenga anche conto della Chiesa universale. Nel ca­so in cui il piccolo numero dei membri della Conferenza episcopale non consentisse di costituire una commissio­ne di vescovi, si dovrebbe almeno nominare un Vescovo responsabile dei compiti ecumenici indicati qui sotto al n. 47.

47. Le funzioni di questa commissione comprenderan­no quelle enumerate al n. 44, nella misura in cui esse tro­vano riscontro nella competenza dei Sinodi delle Chiese orientali o delle Conferenze episcopali. Ma essa deve an­che assumersi altri compiti, di cui ecco alcuni esempi:

a)      mettere in pratica le norme e le istruzioni della Santa Sede in materia;

b)      consigliare e assistere i vescovi che istituiscono una commissione ecumenica nella loro diocesi, e stimolare la collaborazione tra i responsabili diocesani dell’ecumeni­smo e tra le commissioni stesse, organizzando, per esem­pio, incontri periodici di delegati e di rappresentanti del­le commissioni diocesane;

c)      incoraggiare e, quando se ne ravvisi l’opportunità, aiutare le altre commissioni della Conferenza episcopale e dei Sinodi delle Chiese orientali cattoliche a tener con­to della dimensione ecumenica dell’attività di detta Con­ferenza, delle sue dichiarazioni ufficiali, ecc.;

d)      promuovere la collaborazione tra i cristiani, arre­cando, per esempio, un aiuto spirituale e materiale, ove ciò sia possibile, tanto alle organizzazioni ecumeniche esistenti quanto alle iniziative ecumeniche da promuo­vere nell’ambito dell’insegnamento e della ricerca, oppu­re in quello della pastorale e dell’approfondimento della vita cristiana, secondo i principi del decreto conciliare sull’ecumenismo, ai nn. 9-12;

e)      avviare consultazioni e un dialogo con i responsa­bili di Chiesa e con i consigli di Chiese esistenti a livello nazionale o territoriale (distinti, però, dalla diocesi) e creare strutture adatte per tali dialoghi;

f)       designare esperti che, col mandato ufficiale della Chiesa, partecipino alle consultazioni e al dialogo con gli esperti delle Chiese, delle comunità ecclesiali e delle or­ganizzazioni sopra menzionate;

g)      intrattenere rapporti e un’attiva collaborazione con le strutture ecumeniche realizzate da istituti di vita con­sacrata e da società di vita apostolica e con quelle di al­tre organizzazioni cattoliche, all’interno del territorio;

h)      organizzare lo scambio di osservatori e di invitati in occasione di importanti assemblee ecclesiali e di altri avvenimenti analoghi di livello nazionale o territoriale;

i)        informare i vescovi della Conferenza e dei Sinodi sugli sviluppi dei dialoghi che si svolgono nell’ambito del territorio; rendere partecipe ditali informazioni il pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cri­stiani, a Roma, in modo tale che il vicendevole scambio di opinioni e di esperienze e i risultati del dialogo possa­no promuovere altri dialoghi a differenti livelli della vita della Chiesa;

j)       in generale, mantenere rapporti, in ordine alle que­stioni ecumeniche, tra i Sinodi delle Chiese orientali cattoliche o le Conferenze episcopali e il pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, a Roma, come pure con le commissioni ecumeniche di altre Conferenze ter­ritoriali.

Strutture ecumeniche in altri contesti ecclesiali

48. Organismi sopranazionali, variamente configurati, che assicurano cooperazione e sostegno tra le Conferen­ze episcopali avranno anch’essi strutture che possano dare una dimensione ecumenica al loro lavoro. L’esten­sione e la forma delle loro attività siano determinate da­gli statuti e regolamenti di ciascuno ditali organismi e in base alle concrete possibilità del territorio.

49. Nella Chiesa cattolica esistono comunità e orga­nizzazioni che hanno un posto specifico nell’attuazione della vita apostolica della Chiesa. Pur non facendo parte direttamente delle strutture ecumeniche predette, la loro attività molto spesso ha un’importante dimensione ecu­menica e dovrebbe essere organizzata in strutture ade­guate, in armonia con le finalità dell’organizzazione. Tra queste comunità e organizzazioni, ci sono gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica e diverse organizzazioni di fedeli cattolici.

Istituti di vita consacrata e società di vita apostolica

50. Poiché la cura di ristabilire l’unità dei cristiani ri­guarda tutta la Chiesa, tanto i ministri sacri quanto i lai­ci55, gli ordini religiosi, le congregazioni religiose e le so­cietà di vita apostolica, per la natura stessa dei loro com­piti nella Chiesa e per il loro contesto di vita, hanno oc­casioni specifiche di favorire l’ideale e l’azione ecumeni­ca. In conformità ai propri carismi e alle proprie costitu­zioni — di cui alcune sono anteriori alle divisioni dei cri­stiani — e alla luce dello spirito e delle finalità di ciascu­no, tali istituti e tali società sono incoraggiati ad attuare, secondo le loro concrete possibilità e nei limiti delle loro regole di vita, le seguenti prospettive e attività:

a)      favorire la consapevolezza dell’importanza ecume­nica delle loro particolari forme di vita, poiché la con­versione del cuore, la santità personale, la preghiera, pubblica e privata, e il servizio disinteressato alla Chiesa e al mondo sono il cuore del movimento ecumenico;

b)      aiutare a far comprendere la dimensione ecumeni­ca della vocazione di tutti i cristiani alla santità della vi­ta, offrendo occasioni per far progredire la formazione spirituale, la contemplazione, l’adorazione e la lode di Dio, il servizio del prossimo;

c)      tenendo conto della natura e delle esigenze dei luo­ghi e delle persone, organizzare incontri con cristiani di diverse Chiese e comunità ecclesiali per preghiere litur­giche, riflessioni, esercizi spirituali e per una compren­sione più profonda delle tradizioni spirituali cristiane;

d)      mantenere rapporti con monasteri o comunità ce­nobitiche di altre Comunioni cristiane per lo scambio di ricchezze spirituali e intellettuali, e di esperienze di vita apostolica, poiché lo sviluppo dei carismi religiosi dita­li Comunioni può costituire un reale apporto per l’intero movimento ecumenico. Potrebbe in tal modo essere su­scitata una feconda emulazione spirituale;

e)      nel dare indirizzi alle proprie istituzioni educative, numerose e varie, tener presente l’attività ecumenica se­condo i principi sotto indicati in questo Direttorio;

f)       collaborare con altri cristiani in un’azione comune per la giustizia sociale, lo sviluppo economico, il miglio­ramento delle condizioni sanitarie e dell’educazione, la tutela del creato, e per la pace e la riconciliazione tra le nazioni e le comunità;

g)      «Per quanto lo permettano le condizioni religiose, va promossa un’azione ecumenica tale ~he i cattolici, esclusa ogni forma sia di indifferentismo e di confusio­nismo, sia di sconsiderata concorrenza, attraverso una comune, per quanto è possibile, professione di fede in Dio e in Gesù Cristo di fronte alle genti, attraverso lacooperazione nel campo tecnico e sociale come in quel­lo religioso e culturale, collaborino fraternamente con i fratelli separati, secondo le norme del decreto sull’ecu­menismo. Collaborino soprattutto per la causa di Cristo, loro comune Signore: il suo Nome li unisca!»56.

Nel compiere tali attività osserveranno le norme che il Vescovo diocesano, i Sinodi delle Chiese orientali catto­liche o le Conferenze episcopali avranno stabilite per l’opera ecumenica, considerata come un elemento della loro cooperazione all’insieme dell’apostolato in un de­terminato territorio. Mantengano strette relazioni con le diverse commissioni ecumeniche diocesane o nazionali e, nei casi indicati, con il pontificio Consiglio per la pro­mozione dell’unità dei cristiani.

51. Avviando tale attività ecumenica, è molto opportu­no che i vari istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, a livello della propria autorità centrale, nomi­nino un delegato, oppure una commissione, con il com­pito di promuovere e di assicurare il proprio, impegno ecumenico. La funzione di questi delegati, o commissio­ni, sarà di favorire la formazione ecumenica di tutti i membri, di collaborare alla formazione ecumenica spe­cializzata dei consiglieri per le questioni ecumeniche presso le autorità a livello generale e locale degli istituti e delle società; più particolarmente sarà loro compito met­tere in atto e assicurare le attività sopra descritte (n. 50).

Organizzazioni dei fedeli

52. Le organizzazioni dei fedeli cattolici di un territo­rio particolare o di una nazione, e anche le organizzazio­ni internazionali che si propongono come fine, per esem­pio, il rinnovamento spirituale, l’azione per la pace e la giustizia sociale, l’educazione a vari livelli, l’aiuto eco­nomico a paesi e istituzioni, ecc. svilupperanno gli aspet­ti ecumenici delle proprie attività. Avranno cura che le dimensioni ecumeniche della propria opera siano ogget­to di una sufficiente attenzione e anche, se necessario, che esse siano espresse negli statuti e nelle strutture. Nello svolgere le loro attività ecumeniche, restino in rap­porto con le commissioni ecumeniche territoriali e loca­li e, quando le circostanze lo richiedono, con il pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, per un proficuo scambio di esperienze e consigli.

Il pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani

53. A livello della Chiesa universale, il pontificio Con­siglio per la promozione dell’unità dei cristiani, che è un dicastero della Curia romana, ha la competenza e l’inca­rico di promuovere la piena comunione di tutti i cristia­ni. La costituzione apostolica Pastor Bonus (cfr. supra, n. 6) afferma che, da un lato, il Consiglio promuove lo spirito e l’azione ecumenica all’interno della Chiesa cat­tolica, e, dall’altro, cura le relazioni con le altre Chiese e comunità ecclesiali.

a)      Il pontificio Consiglio si occupa della retta interpre­tazione dei principi dell’ecumenismo e dei mezzi per la loro applicazione; attua le decisioni del concilio Vaticano Il concernenti l’ecumenismo; stimola e assiste i gruppi nazionali e internazionali impegnati a promuovere l’unità dei cristiani e aiuta a coordinare le loro iniziative.

b)      Organizza dialoghi ufficiali con le altre Chiese e comunità ecclesiali a livello internazionale; delega osser­vatori cattolici a livello internazionale; delega osservato­ri cattolici alle conferenze e alle riunioni ditali istituzio­ni e di altre organizzazioni ecumeniche, e invita loro os­servatori a riunioni della Chiesa cattolica, tutte le volte che ciò parrà opportuno.

54. Per adempiere tali compiti, il pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani pubblica di quando in quando orientamenti e direttive valevoli per tutta la Chiesa cattolica. Inoltre, rimane in contatto con i Sinodi delle Chiese orientali cattoliche e con le Confe­renze episcopali, con le loro commissioni ecumeniche e con i vescovi e le organizzazioni all’interno della Chiesa cattolica. Il coordinamento delle attività ecumeniche dell’intera Chiesa cattolica richiede che tali contatti sia­no reciproci. E quindi opportuno che il Consiglio sia informato delle iniziative di rilievo prese ai diversi livel­li della vita della Chiesa. Ciò è necessario, in particolare, quando si tratta di iniziative che hanno implicazioni in­ternazionali, come allorché a un livello nazionale o terri­toriale vengono organizzati dialoghi importanti con altre Chiese e comunità ecclesiali. Il mutuo scambio di infor­mazioni e di consigli giova alle attività ecumeniche a li­vello internazionale come agli altri livelli della vita della Chiesa. Tutto ciò che potenzia lo sviluppo dell’armonia e dell’impegno ecumenico coerente, consolida parimenti la comunione all’interno della Chiesa cattolica.

III

LA FORMAZIONE ALL’ ECUMENISMO

NELLA CHIESA CATTOLICA

Necessità e finalità della formazione ecumenica

55. «La cura di ristabilire l’unione riguarda tutta la Chiesa, sia i fedeli che i pastori, e tocca ognuno secondo la propria capacità, tanto nella vita cristiana di ogni giorno quanto negli studi teologici e storici»57. Tenuto conto della natura della Chiesa cattolica, i cattolici tro­veranno nella fedeltà alle indicazioni del concilio Vati­cano Il i mezzi per contribuire alla formazione ecumeni­ca sia di ciascun membro sia dell’intera comunità alla quale appartengono. L’unità di tutti in Cristo sarà così il risultato di una crescita comune e di una comune matu­razione; infatti l’appello di Dio alla «conversione inte­riore»58 e al «rinnovamento della Chiesa»59, che hanno un’importanza singolare per la ricerca dell’unità, non esclude nessuno.

Per questo motivo, tutti i fedeli sono chiamati ad im­pegnarsi per realizzare una comunione crescente con gli altri cristiani. Un contributo particolare, però, può esse­re dato dai membri del popolo di Dio che sono impe­gnati nella formazione, quali i superiori e gli insegnanti di istituti superiori e di istituti specializzati. Coloro che svolgono un’attività pastorale, in particolare i parroci e gli altri ministri ordinati, hanno una funzione da svolge­re in questo campo. Attiene alla responsabilità di ogni Vescovo, dei Sinodi delle Chiese orientali cattoliche e delle Conferenze episcopali impartire direttive generali riguardanti la formazione ecumenica.

Adeguamento della formazione alle condizioni concrete delle persone

56. L’ecumenismo esige un rinnovamento di atteggia­mento e una certa duttilità nei metodi di ricerca dell’unità. Si deve tener conto anche della diversità del­le persone, delle funzioni e delle situazioni, come pure della specificità delle Chiese particolari e delle comunità impegnate con esse nella ricerca dell’unità. Di conse­guenza, la formazione ecumenica richiede una pedago­gia che sia adattata alle concrete situazioni di vita delle persone e dei gruppi e che rispetti l’esigenza di progres­sività in uno sforzo di rinnovamento continuo e di cam­biamento di atteggiamento.

57. Tutti coloro che si occupano di pastorale e non soltanto gli insegnanti verranno, quindi, formati grada­tamente, secondo i seguenti orientamenti fondamentali:

a)      Fin dagli inizi sono necessarie la conoscenza della sacra Scrittura e la formazione dottrinale, non disgiunte dalla conoscenza della storia e della situazione ecumeni­ca del paese in cui si vive.

b)      La conoscenza della storia delle divisioni e degli sforzi di riconciliazione, come pure delle posizioni dottri­nali delle altre Chiese e comunità ecclesiali consente di analizzare i problemi nel loro contesto socioculturale e di discernere, nelle espressioni della fede, le diversità legit­time e le divergenze incompatibili con la fede cattolica.

c)      In tale prospettiva, si terrà conto dei risultati e dei chiarimenti forniti dai dialoghi teologici e dagli studi scientifici. E anche auspicabile che i cristiani scrivano insieme la storia delle loro divisioni e dei loro sforzi nel­la ricerca dell’unità.

d)      Può essere così evitato il pericolo di interpretazio­ni soggettive, tanto nella presentazione della fede catto­lica quanto nel modo in cui la Chiesa cattolica comprende la fede e la vita delle altre Chiese e comunità ecclesiali.

e)      Man mano che progredisce, la formazione ecume­nica fa sentire come inseparabili la sollecitudine per l’unità della Chiesa cattolica e quella della comunione con le altre Chiese e comunità ecclesiali.

f)       La sollecitudine per questa unità e per questa co­munione implica che ai cattolici stia a cuore l’approfon­dimento delle relazioni tanto con i cristiani orientali quanto con i cristiani sorti dalla Riforma.

g)      Il metodo d’insegnamento, che mai disattende l’esi­genza della progressività, permette di distinguere e di di­stribuire gradualmente la materia e i rispettivi contenuti secondo le diverse fasi della formazione dottrinale e dell’esperienza ecumenica.

Così tutti coloro che si occupano di pastorale saranno fedeli alla santa e vivente tradizione, che nella Chiesa èsorgente di azione. Sapranno vagliare e accogliere la ve­rità, ovunque sia: « Ogni verità, da qualunque parte ven­ga, è dallo Spirito santo»60.

A. FORMAZIONE DI TUTTI I FEDELI

58. La sollecitudine per l’unità è al cuore della conce­zione della Chiesa. Scopo della formazione ecumenica èche tutti i cristiani siano animati dallo spirito ecumeni­co, qualunque sia la loro particolare missione e la loro specifica funzione nel mondo e nella società. Nella vita del fedele, riempito dello Spirito di Cristo, è di capitale importanza il dono implorato da Cristo prima della sua Passione, cioè «la grazia dell’unità». Tale unità è, in pri­mo luogo, l’unità con Cristo in un unico moto di carità verso il Padre e verso il prossimo. In secondo luogo, è la comunione profonda e attiva del fedele con la Chiesa universale nella Chiesa particolare cui appartiene6’. In terzo luogo, è la pienezza dell’unità visibile ricercata con tutti i cristiani delle altre Chiese e comunità ecclesiali.

I mezzi di formazione

59. L’ascolto e lo studio della Parola di Dio. La Chie­sa cattolica ha sempre considerato «le divine Scritture», unitamente alla tradizione, «come la regola suprema del­la propria fede»; esse sono «per i figli della Chiesa, [...] cibo dell’anima, sorgente pura e perenne di vita spiritua­le»62. I nostri fratelli e le nostre sorelle di altre Chiese e comunità ecclesiali hanno profonda venerazione e amo­re per la sacra Scrittura. Ciò li spinge allo studio costan­te e diligente dei libri sacri63. Quindi, la Parola di Dio, essendo unica e la stessa per tutti i cristiani, rinvigorirà progressivamente il cammino verso l’unità nella misura in cui verrà accostata con religiosa attenzione e con uno studio appassionato.

60. La predicazione. È necessario prestare una cura particolare alla predicazione, sia durante sia al di fuori del culto propriamente liturgico. Come dice il papa Pao­lo VI, «in quanto evangelizzatori, noi dobbiamo offrire ai fedeli di Cristo l’immagine non di uomini divisi e se­parati da litigi che non edificano affatto, ma di persone mature nella fede, capaci di ritrovarsi insieme al di sopra delle tensioni concrete, grazie alla ricerca comune, sin­cera e disinteressata della verità»64. Le varie parti dell’anno liturgico offrono occasioni propizie per svilup­pare i temi dell’unità cristiana e per stimolare allo stu­dio, alla riflessione e alla preghiera.

La predicazione deve preoccuparsi di rivelare il mi­stero dell’unità della Chiesa e, per quanto è possibile, di promuovere l’unità dei cristiani in modo visibile. Nella predicazione si deve evitare ogni uso improprio della sa­cra Scrittura.

61. La catechesi. La catechesi non consiste soltanto nell’insegnare la dottrina, ma nell’iniziare all’intera vita cristiana, con la piena partecipazione ai sacramenti del­la Chiesa. Questo insegnamento, però, può contribuire anche a formare ad un autentico comportamento ecu­menico, come è indicato nell’esortazione apostolica di Giovanni Paolo Il Catechesi tradenche (nn. 32-33) se­condo queste linee direttive:

a)      Innanzi tutto la catechesi deve esporre con chia­rezza, con carità e con la dovuta fermezza tutta la dot­trina della Chiesa cattolica, rispettando specialmente l’ordine e la gerarchia delle verità65 ed evitando le espres­sioni e i modi di esporre la dottrina che potrebbero riu­scire di ostacolo al dialogo.

b)      Parlando delle altre Chiese e comunità ecclesiali, è importante presentare correttamente e lealmente il loro insegnamento. Tra gli elementi dai quali la stessa Chiesa è edificata e vivificata, alcuni, anzi parecchi e di grande valore, possono trovarsi fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica66. Lo Spirito di Cristo non rifiuta di ser­virsi ditali comunità come mezzi di salvezza. Fare ciò mette in risalto le verità di fede che le differenti confes­sioni cristiane hanno in comune. Questo «aiuterà i cat­tolici, da una parte, ad approfondire la loro fede e, dall’altra, li metterà in condizione di conoscere meglio e stimare gli altri cristiani, facilitando così la ricerca in co­mune del cammino verso la piena unità, nella verità tut­ta intera»67.

c)      La catechesi ha una dimensione ecumenica se su­scita e alimenta un vero desiderio dell’unità, e più anco­ra, se ispira sforzi sinceri, inclusi sforzi di umiltà per pu­rificarsi, al fine di sgomberare gli ostacoli lungo la stra­da, non attraverso facili omissioni e concessioni sul pia­no dottrinale, ma in vista dell’unità perfetta, quale la vuole il Signore e con i mezzi che Egli vuole68.

d)      La catechesi, inoltre, è ecumenica, se si sforza di preparare i fanciulli e i giovani, come pure gli adulti, a vivere in contatto con altri cristiani, pur formandosi co­me cattolici e rispettando la fede degli altri69.

e)      Ciò si può fare attraverso il discernimento delle possibilità offerte dalla distinzione tra le verità di fede e i loro modi di espressione70 attraverso il reciproco sfor­zo di conoscenza e di stima dei valori presenti nelle ri­spettive tradizioni teologiche; mostrando chiaramente che il dialogo ha creato nuovi rapporti, che, se ben com­presi, possono portare alla collaborazione e alla pace71.

f)       L’esortazione apostolica Catechesi tradendae do­vrebbe essere il punto di riferimento nella elaborazione dei nuovi catechismi che vengono preparati nelle Chiese locali sotto l’autorità dei vescovi.

62. La liturgia. Essendo «la prima e indispensabile sorgente dalla quale i fedeli possono attingere uno spiri­to veramente cristiano»72, la liturgia dà un importante contributo all’unità di tutti coloro che credono in Cristo; essa è una celebrazione e un fattore di unità; dove è pie­namente compresa e dove ognuno vi partecipa piena­mente, «contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il miste­ro di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa»73.

a)      Poiché la santa eucaristia è «il mirabile sacramento dal quale l’unità della Chiesa è simboleggiata e prodot­ta»74, è molto importante aver cura che sia ben celebra­ta, affinché i fedeli che vi partecipano, «offrendo la vitti­ma immacolata, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno, per mezzo di Cristo mediatore, siano perfezionati nell’unità con Dio e tra di loro, di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti»75.

b)      È bene essere fedeli alla preghiera per l’unità dei cristiani, secondo le indicazioni del presente Direttorio, sia nei momenti in cui la liturgia lo propone — come, per esempio, in occasione di celebrazioni della Parola oppu­re delle celebrazioni orientali chiamate “Litia” e “Mole-ben” —, sia specialmente durante la Messa — al momento della preghiera universale — oppure durante le litanie dette “Ectenie”, sia ancora mediante la celebrazione del­la Messa votiva per l’unità della Chiesa, con l’aiuto di appositi formulari.

Inoltre, è molto utile per la formazione ecumenica estendere le preghiere per l’unità a certe occasioni, come quella della settimana di preghiere per l’unità (18-25 gennaio), o quella della settimana tra l’Ascensione e la Pentecoste, affinché lo Spirito santo confermi la Chiesa nell’unità e nell’apostolicità della sua missione universa­le di salvezza.

63. La vita spirituale. Nel movimento ecumenico è ne­cessario dare la priorità alla conversione del cuore, alla vita spirituale e al suo rinnovamento. «Questa conver­sione del cuore e questa santità della vita, insieme con le preghiere private e pubbliche per l’unità dei cristiani, si devono ritenere come l’anima di tutto il movimento ecu­menico e si possono giustamente chiamare ecumenismo spirituale»76. Pertanto ogni cristiano, nella misura in cui vive una vita spirituale autentica, che ha come centro lo stesso Cristo Salvatore e come fine la gloria di Dio Pa­dre, può sempre e ovunque partecipare in profondità al movimento ecumenico, rendendo testimonianza al Van­gelo di Cristo con la propria vita77.

a)      I cattolici valorizzeranno certi elementi e beni, sor­genti di vita spirituale, che si trovano nelle altre Chiese e comunità ecclesiali e che appartengono all’unica Chiesa di Cristo: sacra Scrittura, sacramenti e altre azioni sacre, fede, speranza, carità e altri doni dello Spirito78. Tali be­ni hanno dato frutti copiosi, ad esempio, nella tradizione mistica dell’Oriente cristiano e nei tesori spirituali della vita monastica, nel culto e nella pietà degli anglicani, nella preghiera evangelica e nelle diverse forme di spiri­tualità dei protestanti.

b)      Tale apprezzamento non deve rimanere puramente teorico; quando le condizioni particolari lo permettono, deve essere completato dalla conoscenza pratica delle al­tre tradizioni di spiritualità. Conseguentemente, la con­divisione della preghiera e un certo tipo di partecipazio­ne al culto pubblico e a forme di devozione degli altri cristiani, in conformità alle norme vigenti, possono ave­re un valore formativo79.

64. Altre iniziative. La collaborazione ad iniziative ca­ritative e sociali — nelle scuole, negli ospedali, nelle car­ceri, ecc. — ha un valore formativo comprovato; così co­me l’attività per la pace nel mondo, o in particolari re­gioni della terra dove è minacciata, e quella in difesa dei diritti dell’uomo e della libertà religiosa80.

Tali azioni, ben dirette, possono mostrare l’efficacia dell’applicazione sociale del Vangelo e la forza pratica della sensibilità ecumenica in diversi settori. Una perio­dica riflessione sui fondamenti cristiani di queste azioni, per verificarne la qualità e la fecondità e per correggerne i difetti, sarà parimenti educativa e costruttiva.

Gli ambiti più adatti alla formazione

65. Sono i luoghi in cui si sviluppano gradualmente la maturità umana e cristiana, il senso della socialità e la comunione. Per questo la famiglia, la parrocchia, la scuola, i gruppi, le associazioni e i movimenti ecclesiali hanno una singolare importanza.

66. La famiglia, chiamata dal concilio Vaticano Il «Chiesa domestica»81, è il primo ambiente in cui quoti­dianamente si costruisce o si indebolisce l’unità, me­diante l’incontro di persone, per molti aspetti diverse, che però si accettano in una comunione d’amore; è nella famiglia che si deve aver cura di non alimentare pregiu­dizi, ma, al contrario, di ricercare in tutto la verità.

a)      La consapevolezza della propria identità cristiana e della propria missione dispone la famiglia ad essere an­che una comunità per gli altri, aperta non soltanto nei confronti della Chiesa, ma pure nei confronti della so­cietà umana, disposta al dialogo e all’impegno sociale. Come la Chiesa, la famiglia deve essere uno spazio in cui il Vangelo è trasmesso e da cui esso si irradia; e infatti la costituzione conciliare Lumen gentium afferma che, nel­la Chiesa domestica, «i genitori devono essere per i loro figli, con la parola e con l’esempio, i primi annunciatori del Vangelo» (n. 11).

b)      Le famiglie sorte da un matrimonio misto hanno il dovere di sforzarsi di annunziare Cristo secondo tutte le esigenze del battesimo che i loro membri hanno in co­mune; inoltre, hanno il non facile compito di rendersi es­se stesse artefici di unità82. «Il comune battesimo e il di­namismo della grazia forniscono agli sposi, in questo matrimonio, la base e la motivazione per esprimere la lo­ro unità nella sfera dei valori morali e spirituali»83.

67. La parrocchia, in quanto unità ecclesiale radunata attorno all’Eucaristia, deve essere e proclamarsi luogo dell’autentica testimonianza ecumenica. Uno dei grandi doveri della parrocchia è, pertanto, quello di coltivare nei suoi membri lo spirito ecumenico. Ciò esige una dili­gente attenzione ai contenuti e alle forme della predica­zione, in particolare dell’omelia, come pure della cate­chesi. Inoltre, richiede un programma pastorale e ciò suppone che qualcuno sia incaricato dell’animazione e del coordinamento ecumenico, operando in stretta colla­borazione con il parroco; costui si incaricherà eventual­mente anche delle varie forme di collaborazione con le corrispondenti parrocchie degli altri cristiani. Infine, è necessario che la parrocchia non sia lacerata da polemi­che interne, da polarizzazioni ideologiche o da recipro­che accuse tra cristiani, ma ognuno, secondo il proprio spirito e la propria vocazione, si faccia servo della verità nell’amore84.

68. La scuola, di ogni ordine e grado, deve dare una dimensione ecumenica all’insegnamento religioso in es­sa impartito e, secondo la propria peculiarità, tendere al­la formazione del cuore e dell’intelligenza ai valori uma­ni e religiosi, educando al dialogo, alla pace, alle relazio­ni interpersonali85.

a)      Lo spirito di carità, di rispetto e di dialogo esige che si mettano al bando i pregiudizi e le parole che danno un’immagine falsa degli altri fratelli cristiani. Ciò vale soprattutto per le scuole cattoliche, nelle qua­li i giovani devono crescere nella fede, nella preghiera e nella decisione di mettere in pratica il Vangelo cri­stiano dell’unità. Si avrà cura di insegnare loro l’ecu­menismo autentico, seguendo la dottrina della Chiesa cattolica.

b)      Quando è possibile, in collaborazione con gli altri insegnanti, non si mancherà di presentare le varie mate­rie, come, per esempio, la storia e l’arte, in modo da sot­tolineare i problemi ecumenici in uno spirito di dialogo e di unità. A tal fine, è auspicabile anche che i docenti abbiano una corretta e adeguata conoscenza delle origi­ni, della storia e delle dottrine delle altre Chiese e comu­nità ecclesiali, soprattutto di quelle che sono presenti sullo stesso territorio.

69. I gruppi, le associazioni e i movimenti ecclesiali. La vita cristiana, e in modo speciale la vita delle Chiese particolari, nel corso della storia si è arricchita di una varietà di espressioni, di progetti, di spiritualità confor­mi ai carismi donati dallo Spirito per l’edificazione della Chiesa, in cui si manifesta una netta distinzione di com­piti al servizio della comunità.

Coloro che fanno parte di questi gruppi, movimenti e associazioni devono essere animati da un forte spirito ecumenico. Per vivere il loro impegno battesimale nel mondo86, ricercando sia l’unità cattolica attraverso il dia­logo e la comunione tra i diversi movimenti e le diverse associazioni sia una comunione più vasta con altre Chie­se e comunità ecclesiali e con i movimenti e i gruppi che ad esse si ispirano, è necessario che i loro sforzi siano fondati su una solida formazione e siano illuminati dalla saggezza e dalla prudenza cristiane.

B. FORMAZIONE DI COLORO CHE OPERANO

NEL MINISTERO PASTORALE

1. MINISTRI ORDINATI

70. Tra i principali doveri di ogni futuro ministro or­dinato c’è quello di formarsi una personalità che, per quanto possibile, sia all’altezza della sua missione di aiu­tare gli altri ad incontrare Cristo. In questa prospettiva, il candidato al ministero deve coltivare pienamente le qualità umane che rendono una persona accetta agli al­tri e credibile, vigilante sul proprio linguaggio e sulle proprie capacità di dialogo, per acquisire una attitudine autenticamente ecumenica. Ciò è essenziale per chi ha una funzione di maestro e di pastore in una Chiesa par­ticolare, come il Vescovo, come pure per chi come pre­sbitero viene destinato alla cura d’anime, ma non è me­no importante per il diacono, e in modo particolare per i diaconi permanenti, chiamati a servire la comunità dei fedeli.

71. Quando prende iniziative e organizza incontri, è necessario che il ministro agisca con lucidità e nella fe­deltà alla Chiesa, rispettando le diverse competenze e os­servando le disposizioni che i Pastori della Chiesa, in forza del loro mandato, stabiliscono per il movimento ecumenico della Chiesa universale e per ogni Chiesa par­ticolare, al fine di collaborare alla costruzione dell’unità dei cristiani senza pregiudizi e senza iniziative inoppor­tune.

a) FORMAZIONE DOTTRINALE

72. Le Conferenze episcopali si accerteranno che i pia­ni di studi mettano in rilievo la dimensione ecumenica di ogni materia e prevedano uno studio specifico dell’ecu­menismo. Verificheranno che questi piani di studio sia­no conformi alle indicazioni del presente Direttorio.

1) La dimensione ecumenica delle varie materie

73. L’azione ecumenica «non può essere se non piena­mente e sinceramente cattolica, cioè fedele alla verità che abbiamo ricevuta dagli apostoli e dai Padri, e conforme alla fede che la Chiesa cattolica ha sempre professato»87.

74. Gli studenti devono imparare a distinguere tra le verità rivelate — le quali esigono tutte il medesimo assen­so di fede —, il modo con cui vengono enunziate e le dot­trine teologiche88. Per quel che riguarda la formulazione delle verità rivelate, si terrà conto di ciò che, tra gli altri documenti, viene affermato dalla dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede Mysterium Ec­clesiae, 5: «Sebbene le verità che la Chiesa con le sue for­mule dogmatiche intende effettivamente insegnare, si di­stinguano dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano essere espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse verità dal sacro Magiste­ro siano enunciate con termini che risentono ditali con­cezioni. Ciò premesso, si deve dire che le formule dog­matiche del Magistero della Chiesa fin dall’inizio furono adatte a comunicare la verità rivelata, e che restano per sempre adatte a comunicarla a chi le comprende retta­mente»89. Gli studenti, quindi, imparino a distinguere tra «il deposito della fede, cioè le verità contenute nella nostra veneranda dottrina»90, e il modo in cui tali verità sono formulate; tra le verità da enunciare e i vari modi di concettualizzarle e di esporle; tra la tradizione apostoli­ca e le tradizioni strettamente ecclesiastiche; e al tempo stesso imparino a riconoscere e rispettare il valore per­manente delle formule dogmatiche. Fin dal tempo della loro formazione filosofica, gli studenti devono essere preparati a cogliere la legittima diversità che nella teolo­gia deriva dai diversi metodi e dai diversi linguaggi usati dai teologi per indagare i divini misteri. In realtà potrà risultare che le diverse formulazioni teologiche più che contraddittorie siano complementari.

75. Inoltre, è necessario che sia sempre rispettata la «gerarchia delle verità» della dottrina cattolica; tali ve­rità, sebbene esigano tutte l’assenso di fede loro dovuto, non hanno però tutte la medesima centralità nel mistero rivelato in Gesù Cristo, perché diverso è il loro nesso con il fondamento della fede cristiana91.

2) Dimensione ecumenica delle discipline teologiche in generale

76. L’apertura ecumenica è una dimensione costituti­va della formazione dei futuri presbiteri e diaconi: «L’in­segnamento della sacra teologia e delle altre discipline, specialmente storiche, deve essere fatto anche sotto l’aspetto ecumenico, perché abbia sempre meglio a cor­rispondere alla verità dei fatti»92. La dimensione ecume­nica della formazione teologica non deve essere limitata alle differenti categorie di insegnamento. Poiché parlia­mo di insegnamento interdisciplinare — e non soltanto «pluridisciplinare» —, questo dovrà implicare la collabo­razione tra i professori interessati e un coordinamento reciproco. Per tutte le materie, anche per quelle fonda­mentali, si potranno opportunamente sottolineare i se­guenti aspetti:

a)      gli elementi del patrimonio cristiano sul piano del­la verità e della santità che sono comuni a tutte le Chie­se e comunità ecclesiali, sebbene talvolta siano enuncia­ti secondo una diversa formulazione teologica;

b)      le ricchezze di liturgia, di spiritualità e di dottrina che sono proprie di ogni comunione, ma che possono aiutare i cristiani a raggiungere una conoscenza più profonda della natura della Chiesa;

c)      i punti che, in materia di fede e di morale, sono causa di disaccordo, ma che possono incoraggiare ricer­che più approfondite sulla Parola di Dio e portare a di­stinguere le contraddizioni reali da quelle apparenti.

3) Dimensione ecumenica delle discipline teologiche in particolare

77. In ogni disciplina teologica, l’approccio ecume­nico deve portare a considerare il legame esistente tra la materia particolare e il mistero dell’unità della Chiesa. Inoltre, l’insegnante deve inculcare ai suoi alunni la fe­deltà a tutta la tradizione autenticamente cristiana in ma­teria di teologia, di spiritualità e di disciplina ecclesiasti­ca. Gli studenti, dal confronto del proprio patrimonio con le ricchezze delle tradizioni cristiane dell’Oriente e dell’Occidente, nella loro espressione antica o moderna, trarranno una consapevolezza più viva ditale pienezza93.

78. Questo studio comparativo è importante in tutte le materie: per lo studio della Scrittura, sorgente comune della fede di tutti i cristiani; per lo studio della tradizio­ne apostolica che si trova nelle opere dei Padri della Chiesa e degli altri autori ecclesiastici d’Oriente e d’Oc­cidente; per la liturgia, dove le diverse forme del culto divino e la loro importanza dottrinale e spirituale sono scientificamente raffrontate; per la teologia dogmatica e morale, soprattutto per quel che concerne i problemi sorti dal dialogo ecumenico; per la storia della Chiesa, in cui si deve fare una scrupolosa indagine sull’unità della Chiesa e sulle cause di separazione; per il diritto canoni­co, dove è doveroso fare una netta distinzione tra gli ele­menti di diritto divino e quelli che sono di diritto eccle­siastico e che possono essere passibili di cambiamenti secondo le epoche, le forme di cultura o le tradizioni lo­cali; e, infine, per la formazione pastorale e missionaria come per gli studi sociologici, in cui si deve porre atten­zione alla situazione comune a tutti i cristiani di fronte al mondo moderno. Così la pienezza della Rivelazione di­vina sarà espressa nel modo migliore e più completo, e noi adempiremo meglio la missione che Cristo ha affida­to alla sua Chiesa per il mondo.

4) Corsi speciali di ecumenismo

79. Anche se tutta la formazione teologica dev’essere permeata dalla dimensione ecumenica, è di singolare im­portanza che nell’ambito del primo ciclo, al momento più adatto, sia proposto un corso di ecumenismo, che dovrebbe essere reso obbligatorio. A grandi linee, e con possibili adattamenti, tale corso può avere il seguente contenuto:

a)      le nozioni di cattolicità, di unità organica e visibile della Chiesa, di oikouméne, di ecumenismo, secondo la loro origine storica e nel loro significato attuale dal pun­to di vista cattolico;

b)      i fondamenti dottrinali dell’attività ecumenica, con speciale attenzione ai legami di comunione che attual­mente esistono tra le Chiese e le comunità ecclesiali94

c)      la storia dell’ecumenismo, che comprende quella delle divisioni e dei numerosi tentativi, compiuti nel cor­so di secoli, per ricomporre l’unità, e dei loro successi e insuccessi, come pure lo stato attuale della ricerca dell’unità;

d)      il fine e il metodo dell’ecumenismo, delle diverse forme di unione e di collaborazione, la speranza di ri­comporre l’unità, le condizioni dell’unità, il concetto di piena e perfetta unità;

e)      l’aspetto «istituzionale» e la vita attuale delle di­verse comunità cristiane; tendenze dottrinali, cause rea­li delle separazioni, iniziative missionarie, spiritualità, forme di culto divino, necessità di una più profonda co­noscenza della teologia e della spiritualità orientali95

f)       alcuni problemi specifici, quali: la partecipazione comune al culto, il proselitismo e l’irenismo, la libertà religiosa, i matrimoni misti, il posto dei laici, e segnata-mente delle donne, nella Chiesa;

g)      l’ecumenismo spirituale, in particolare il senso del­la preghiera per l’unità e delle altre forme di avvicina­mento all’unità per la quale Cristo ha pregato.

80. Per l’organizzazione del piano di studi, si danno i seguenti suggerimenti:

a)      È opportuno fare assai presto un’introduzione ge­nerale all’ecumenismo, in modo che gli studenti fin dall’inizio degli studi teologici possano essere sensibiliz­zati alla dimensione ecumenica dei loro studi96. Tale in­troduzione dovrebbe trattare gli elementi di base dell’ecumenismo.

b)      La parte speciale dell’insegnamento sull’ecumeni­smo dovrebbe normalmente trovare il suo posto alla fine del primo ciclo di studi teologici o altrimenti verso il ter­mine degli studi nei seminari, in modo che gli studenti, acquistando una larga conoscenza dell’ecumenismo, pos­sano farne una sintesi con la loro formazione teologica.

c)      È necessario scegliere con cura i testi di studio e i manuali; essi devono esporre con fedeltà l’insegnamento degli altri cristiani nel campo della storia, della teologia e della spiritualità, in modo non solo da consentire un confronto onesto e obiettivo, ma anche stimolare un ul­teriore approfondimento della dottrina cattolica.

81. Può essere utile invitare conferenzieri ed esperti delle altre tradizioni nel contesto degli accordi di colla­borazione tra le istituzioni cattoliche e i centri che di­pendono dagli altri cristiani97. Se sorgono problemi par­ticolari in un seminario o in un determinato istituto, spetta al Vescovo diocesano decidere, conformemente alle direttive stabilite dalla Conferenza episcopale, in merito alle iniziative da prendere, sotto la responsabilità delle autorità accademiche, e dopo aver verificato le qualità morali e professionali richieste per i conferenzie­ri delle altre Chiese e comunità ecclesiali. In questi scambi culturali, occorre assicurare che non venga meno il carattere cattolico dell’istituto di formazione, come pure il suo diritto e il suo dovere di formare i propri can­didati e d’insegnare la dottrina cattolica secondo le nor­me della Chiesa.

b) ESPERIENZA ECUMENICA

82. Nel periodo di formazione, affinché l’approccio all’ecumenismo non sia staccato dalla vita, bensì radica­to nell’esperienza viva delle comunità, è opportuno or­ganizzare incontri e colloqui con altri cristiani, sempre rispettando le norme della Chiesa cattolica, a livello tan­to universale quanto particolare, e invitando rappresen­tanti delle altre comunità che abbiano la preparazione professionale, religiosa e lo spirito ecumenico necessari per un dialogo franco e costruttivo. Si possono anche programmare incontri con studenti di altre Chiese e co­munità ecclesiali98. Gli istituti di formazione, però, sono talmente differenti che è impossibile stabilire regole uniformi. In effetti, la realtà comporta sfumature con­nesse con la diversità dei paesi o delle regioni e con la di­versità dei rapporti tra la Chiesa cattolica e le altre Chie­se e comunità ecclesiali sul piano dell’ecclesiologia, del­la collaborazione e del dialogo. Anche a questo riguardo è molto importante e indispensabile tener presente l’esi­genza della progressività e dell’adattamento. I superiori devono rifarsi ai principi generali, adattandoli alle circo­stanze e alle occasioni particolari.

2. MINISTRI E COLLABORATORI NON ORDINATI

a) FORMAZIONE DOTFRINALE

83. All’azione pastorale, oltre ai ministri ordinati, col­laborano altri operatori riconosciuti: i catechisti, gli in­segnanti, gli animatori laici. Per la loro formazione, nel­le Chiese locali sono stati costituiti gli istituti di scienze religiose, gli istituti di pastorale e altri centri di forma­zione e di aggiornamento. Valgono per essi gli stessi pia­ni di studio e le medesime norme degli istituti di teolo­gia, ma con i necessari adattamenti al livello dei parteci­panti e dei loro studi.

84. In modo particolare, tenuto conto della legittima varietà dei carismi e delle attività proprie dei monasteri, degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apo­stolica, è di singolare importanza che «tutti gli istituti partecipino alla vita della Chiesa e, secondo il loro ca­rattere, facciano propri e sostengano nella misura delle proprie possibilità le sue iniziative e gli scopi che essa si propone di raggiungere nei vari campi», ivi compreso quello « ecumenico ~

La loro formazione deve comprendere una dimensio­ne ecumenica fin dal noviziato e poi durante le tappe successive. La Ratio formationis di ogni istituto deve prevedere, in parallelo con i piani di studio dei ministri ordinati, che sia sottolineata la dimensione ecumenica delle diverse discipline e insieme che sia proposto un corso specifico di ecumenismo, adattato alle circostanze e alle situazioni locali. Al tempo stesso, è importante che l’autorità competente dell’istituto abbia cura della for­mazione di specialisti in ecumenismo, al fine di orienta­re l’impegno ecumenico dell’intero istituto.

b) ESPERIENZA ECUMENICA

85. Per tradurre in pratica quanto si studia, è utile in­coraggiare i rapporti e gli scambi tra i monasteri e le co­munità religiose cattoliche e quelli delle altre Chiese e comunità ecclesiali, sotto forma di scambi di informa­zione, di aiuto spirituale, e talvolta materiale, o sotto forma di scambi culturali’00.

86. Data l’importanza del ruolo dei laici nella Chiesa e nella società, si incoraggeranno i laici responsabili dell’azione ecumenica a sviluppare i contatti e gli scam­bi con le altre Chiese e comunità ecclesiali, seguendo le norme contenute in questo Direttorio.

C. FORMAZIONE SPECIALIZZATA

87. Importanza della formazione al dialogo. Tenendo conto dell’influenza dei centri superiori di cultura, appa­re evidente che le facoltà ecclesiastiche e gli altri istituti di studio superiori hanno una funzione particolarmente importante nella preparazione al dialogo ecumenico, in vista del suo svolgimento e del progresso dell’unità dei cristiani, che proprio il dialogo aiuta a conseguire. La preparazione pedagogica al dialogo deve rispondere alle seguenti esigenze:

a)      un impegno personale e sincero, vissuto nella fede, senza la quale il dialogo non è più un dialogo tra fratelli e sorelle, ma un puro esercizio accademico;

b)      la ricerca di vie e di mezzi nuovi per stabilire reci­proche relazioni e per ricomporre l’unità, fondata su una maggior fedeltà al Vangelo e sull’autentica professione della fede cristiana nella verità e nella carità;

c)      la consapevolezza che il dialogo ecumenico non ha un carattere puramente privato tra persone o gruppi par­ticolari, ma si inserisce nell’impegno dell’intera Chiesa e conseguentemente deve essere condotto in modo coe­rente con l’insegnamento e le direttive dei suoi Pastori;

d)      una disposizione a riconoscere che i membri delle diverse Chiese e comunità ecclesiali possono aiutarci a meglio comprendere e a presentare con esattezza la dot­trina e la vita delle loro comunità;

e)      il rispetto della coscienza e della convinzione per­sonale di chiunque esponga un aspetto o una dottrina della propria Chiesa, oppure il suo modo particolare di comprendere la Rivelazione divina;

f)       il riconoscimento del fatto che non tutti possono valersi di una eguale preparazione per prendere parte al dialogo, dal momento che i livelli di educazione, di ma­turità critica e di progresso spirituale sono diversi.

Ruolo delle facoltà ecclesiastiche

88. La costituzione apostolica Sapientia christiana precisa che, fin dal primo ciclo della facoltà di teologia, si deve studiare la teologia fondamentale con riferimento anche alle questioni connesse con l’ecumenismo101.

Parimenti, durante il secondo ciclo, «le questioni ecu­meniche devono essere accuratamente trattate, secondo le norme emanate dalla competente autorità ecclesiasti­ca» 102

In altri termini, sarà opportuno istituire corsi di spe­cializzazione sull’ecumenismo, i quali, oltre agli elemen­ti sopra indicati al n. 79, potranno trattare anche gli ar­gomenti qui sotto elencati:

a)      lo stato attuale dei rapporti tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese e comunità ecclesiali, sulla base dello stu­dio dei risultati del dialogo resi pubblici;

b)      lo studio del patrimonio e delle tradizioni degli al­tri cristiani d’Oriente e d’Occidente;

c)      l’importanza del Consiglio ecumenico delle Chiese per il movimento ecumenico e la situazione attuale dei rapporti tra la Chiesa cattolica e questo stesso Consiglio;

d)      il ruolo dei Consigli di Chiese nazionali o soprana­zionali, le loro realizzazioni e le loro difficoltà.

Va inoltre ricordato che nell’insegnamento e nella ri­cerca teologica non deve mai mancare la dimensione ecumenica.

Ruolo delle università cattoliche

89. Anche le università cattoliche sono chiamate a da­re una solida formazione ecumenica. Fra le misure ap­propriate che esse possono prendere, se ne indicano al­cune a titolo di esempio:

a)      Quando la materia lo consente, occorre cercare di dare una dimensione ecumenica ai metodi d’insegna­mento e di ricerca.

b)      Vanno previsti colloqui e giornate di studio dedi­cate alle questioni ecumeniche.

c)      Si organizzino conferenze e incontri per fare, in co­mune, uno studio, un lavoro o una attività sociale, riser­vando del tempo per ricercare i principi cristiani di azio­ne sociale e i mezzi per applicarli. Queste occasioni, riu­nendo soltanto cattolici oppure cattolici e altri cristiani, devono, per quanto è possibile, stimolare alla collabora­zione con gli altri istituti superiori esistenti sul territorio.

d)      Nei periodici e nelle riviste universitarie si riservi uno spazio per la cronaca degli avvenimenti che riguar­dano l’ecumenismo e anche per studi più approfonditi, che preferibilmente commentino i documenti comuni dei dialoghi tra le Chiese.

e)      Nei collegi universitari si devono caldamente rac­comandare i cordiali rapporti tra i cattolici e gli altri stu­denti cristiani, i quali, se ben guidati, grazie a tali rap­porti, possono imparare a vivere insieme in un profondo spirito ecumenico ed essere testimoni fedeli della loro fe­de cristiana.

f)       È opportuno dare un rilievo particolare alla pre­ghiera per l’unità, non soltanto durante la settimana ad essa dedicata, ma anche in altre occasioni nel corso dell’anno. Secondo le circostanze di luoghi e di persone e in conformità alle norme stabilite per le celebrazioni comuni, si possono programmare ritiri in comune, sotto la direzione di una guida spirituale di sicura esperienza.

g)      Un campo molto vasto si offre quanto alla testimo­nianza comune, in particolare per le opere a carattere so­ciale o caritativo. Gli studenti devono essere preparati e stimolati a ciò: non soltanto gli studenti di teologia, ma anche quelli delle altre facoltà, come le facoltà di diritto, di sociologia, di economia politica, che, con la loro col­laborazione, aiuteranno a facilitare e a realizzare inizia­tive del genere.

h)      I cappellani, gli assistenti spirituali degli studenti e i professori avranno particolarmente a cuore di adem­piere i loro doveri in uno spirito ecumenico, segnata-mente organizzando alcune delle iniziative sopra indica­te. Tale compito richiede loro un’approfondita cono­scenza della dottrina della Chiesa, un’adeguata compe­tenza nelle discipline accademiche, una ferma prudenza e il senso della misura: tutte queste qualità devono met­terli in grado di aiutare gli studenti ad armonizzare la propria vita di fede con l’apertura agli altri.

Ruolo degli istituti ecumenici specializzati

90. Per svolgere il suo compito ecumenico, la Chiesa ha bisogno di un buon numero di esperti in questa ma­teria: ministri ordinati, religiosi, laici, uomini e donne. Costoro sono necessari anche nelle regioni a maggioran­za cattolica.

a)      Ciò richiede istituti specializzati dotati:

— di un’adeguata documentazione sull’ecumenismo, particolarmente sui dialoghi in corso e sui programmi futuri;

— di un corpo docente capace e ben preparato, sia nel campo della dottrina cattolica sia in quello dell’ecume­nismo.

b)      Le istituzioni si impegnino soprattutto nella ricerca ecumenica, in collaborazione, per quanto è possibile, con esperti di altre tradizioni teologiche e con i loro fe­deli; organizzino incontri ecumenici, come conferenze e congressi; rimangano anche in rapporto con le commis­sioni ecumeniche nazionali e con il pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, per essere co­stantemente tenuti al corrente dello stato attuale dei dia­loghi interconfessionali e dei progressi compiuti.

e)      Gli esperti così formati potranno fornire di perso­nale il movimento ecumenico nella Chiesa cattolica, co­me membri o dirigenti degli organismi responsabili dio­cesani, nazionali o internazionali, come professori di corsi di ecumenismo in istituti o centri ecclesiastici, op­pure come animatori di un autentico spirito ecumenico e dell’attività ecumenica nel loro ambiente.

D. FORMAZIONE PERMANENTE

91. La formazione dottrinale e pratica non si limita al periodo di formazione, ma esige dai ministri ordinati e dagli operatori pastorali un continuo aggiornamento, dato che il movimento ecumenico è in evoluzione.

Nell’attuare quanto programmato per l’aggiornamen­to pastorale del clero — attraverso riunioni e congressi, ritiri o giornate di riflessione o di studio sui problemi pa­storali — i vescovi e i superiori religiosi prestino un’at­tenta considerazione all’ecumenismo, sulla base delle se­guenti indicazioni:

a)      I sacerdoti, i diaconi, i religiosi, le religiose e i laici siano sistematicamente informati sullo stato attuale del movimento ecumenico, così da poter inserire la dimen­sione ecumenica nella predicazione, nella catechesi, nel­la preghiera e nella vita cristiana in generale. Se lo si ri­tiene possibile e opportuno, sarebbe bene qualche voltainvitare un ministro di un’altra Chiesa a parlare della propria tradizione o anche di problemi pastorali, che spesso sono comuni a tutti.

b)      Là dove si presenta l’occasione e con il consenso del Vescovo della diocesi, il clero cattolico e coloro che nella diocesi si occupano di pastorale potranno parteci­pare a riunioni interconfessionali allo scopo di migliora­re le relazioni reciproche e di risolvere, con il contributo di tutti, problemi pastorali comuni. La realizzazione di tali iniziative spesso è facilitata dalla creazione, per i mi­nistri ordinati, di consigli o associazioni locali e regiona­li, ecc., oppure anche dall’adesione ad associazioni ana­loghe già esistenti.

c)      Le facoltà di teologia, gli istituti di studi superiori, i seminari e altri istituti di formazione possono dare un grande contributo alla formazione permanente, sia orga­nizzando corsi di studi per coloro che operano nel mini­stero pastorale, sia offrendo la loro collaborazione, in personale insegnante e in materiale, per discipline e cor­si programmati da altri.

d)      Sono di grande utilità, inoltre, i seguenti mezzi: una informazione oggettiva attraverso gli strumenti di comunicazione sociale della Chiesa locale e, possibil­mente, attraverso quelli dello Stato; uno scambio di informazione con i servizi degli strumenti di comunica­zione sociale delle altre Chiese e comunità ecclesiali; rapporti sistematici e permanenti con la commissione ecumenica diocesana o con quella nazionale, in modo da dare a tutti i cattolici impegnati nella pastorale una do­cumentazione precisa sugli sviluppi del movimento ecu­menico.

e)      È opportuno, poi, approfittare delle diverse forme di incontri spirituali per approfondire gli elementi di spi­ritualità comuni e specifici. Questi incontri offrono l’oc­casione di riflettere sull’unità e di pregare per la riconci­liazione di tutti i cristiani. La partecipazione, a tali in­contri, di membri di diverse Chiese e comunità ecclesia­li può giovare alla reciproca comprensione e alla cresci­ta della comunione spirituale.

f)       Infine, è auspicabile che periodicamente si faccia una valutazione dell’attività ecumenica.

IV

COMUNIONE DI VITA E DI ATTIVITÀ SPIRITUALE

TRA I BATTEZZATI

A. IL SACRAMENTO DEL BATTESIMO

92. Per mezzo del sacramento del battesimo una perso­na è veramente incorporata a Cristo e alla sua Chiesa, e viene rigenerata per partecipare alla vita divina’03. Il bat­tesimo costituisce quindi il vincolo sacramentale dell’unità che esiste tra tutti quelli che, per suo mezzo, so­no rinati. Il battesimo, di per sé, è soltanto un inizio, poi­ché tende all’acquisizione della pienezza della vita in Cri­sto. Pertanto esso è ordinato alla professione della fede, alla piena integrazione nell’economia della salvezza e alla comunione eucaristica’04. Istituito da Gesù stesso, il bat­tesimo, mediante il quale si partecipa al mistero della sua morte e della sua risurrezione, implica la conversione, la fede, la remissione del peccato e il dono della grazia.

93. Il battesimo è conferito con l’acqua e una formula che indica chiaramente l’atto di battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Di conseguenza, èdi somma importanza per tutti i discepoli di Cristo che il battesimo venga amministrato da tutti in questo modo e che le diverse Chiese e comunità ecclesiali giungano, per quanto è possibile, ad un accordo sul suo significato e sulla validità della sua celebrazione.

94. È vivamente raccomandato che il dialogo circa il significato e la valida celebrazione del battesimo avven­ga tra le autorità cattoliche e quelle delle altre Chiese e comunità ecclesiali a livello diocesano o di Conferenze episcopali. In tal modo sarà loro possibile arrivare a di­chiarazioni comuni, nelle quali potranno esprimere il re­ciproco riconoscimento dei battesimi, pronunciandosi anche sul modo d’agire nei casi in cui potrebbero esser­ci dubbi sulla validità di questo o quel battesimo.

95. Per arrivare a tali forme di accordo, occorrerà ave­re ben presenti i seguenti punti:

a)      Il battesimo per immersione, o per infusione, con la formula trinitaria è, in sé, valido. Di conseguenza, se i rituali, i libri liturgici o le consuetudini stabilite da una Chiesa o da una comunità ecclesiale prescrivono uno di questi modi di battezzare, il sacramento deve essere rite­nuto valido, a meno che si abbiano fondate ragioni per mettere in dubbio che il ministro abbia osservato le nor­me della propria comunità o Chiesa.

b)      La fede insufficiente di un ministro in ciò che con­cerne il battesimo, di per sé non ha mai reso invalido un battesimo. L’intenzione sufficiente del ministro che bat­tezza deve essere presunta, a meno che non ci sia un se­rio motivo di dubitare che egli abbia voluto fare ciò che fa la Chiesa.

f)       Se si sollevano dubbi sull’uso dell’acqua e sul mo­do di adoperarla105, il rispetto per il sacramento e la de­ferenza verso le comunità ecclesiali implicate richiedono che sia condotta una seria indagine sulla pratica della co­munità in questione, prima di qualsiasi giudizio sulla va­lidità del battesimo da essa amministrato.

96. Secondo la situazione locale e qualora se ne pre­senti l’occasione, i cattolici possono far memoria, in una celebrazione comune con altri cristiani, del battesimo che li unisce, rinnovando con loro la rinunzia al peccato e l’impegno di vivere una vita pienamente cristiana, im­pegno assunto con le promesse del loro battesimo, e pro­ponendo risolutamente di cooperare con la grazia dello Spirito santo per cercare di sanare le divisioni che esi­stono tra i cristiani.

97. Sebbene con il battesimo la persona venga incor­porata a Cristo e alla sua Chiesa, ciò concretamente si realizza in una determinata Chiesa o comunità ecclesia­le. Pertanto un battesimo non deve essere conferito con­giuntamente da due ministri appartenenti a Chiese o a comunità ecclesiali diverse. D’altra parte, secondo la tradizione liturgica e teologica cattolica, il battesimo è amministrato da un solo celebrante. Per ragioni pastora­li, in circostanze eccezionali, l’Ordinario del luogo può tuttavia permettere che il ministro di una Chiesa o co­munità ecclesiale partecipi alla celebrazione, proclaman­do una lettura o facendo una preghiera, ecc. La recipro­cità è possibile solo nel caso in cui il battesimo celebrato in un’altra comunità non sia in contrasto né con i princi­pi né con la disciplina della Chiesa cattolica’06.

98. Secondo il pensiero cattolico, i padrini e le madri­ne, nell’accezione liturgica e canonica, devono essere membri della Chiesa o della comunità ecclesiale nella quale viene celebrato il battesimo. Essi non si assumono soltanto la responsabilità dell’educazione cristiana della persona battezzata (o cresimata) in qualità di parente o amico; essi sono lì pure come rappresentanti di una co­munità di fede, garanti della fede e del desiderio di co­munione ecclesiale del candidato.

  1. Basandosi sul battesimo comune, e a causa dei vin­coli di parentela o di amicizia, un battezzato che appar­tiene ad un’altra comunità ecclesiale può tuttavia essere ammesso come testimone del battesimo, ma soltanto in­sieme con un padrino cattolico’07. Un cattolico può svol­gere la medesima funzione nei confronti di una persona che deve essere battezzata in un’altra comunità eccle­siale.
  2. In forza della stretta comunione esistente tra la Chiesa cattolica e le Chiese orientali ortodosse, è con­sentito, per un valido motivo, ammettere un fedele orientale con il ruolo di padrino congiuntamente ad un padrino cattolico (o una madrina) al battesimo di un bambino o di un adulto cattolico, a condizione che si sia sufficientemente provveduto all’educazione del battez­zato e che sia riconosciuta l’idoneità del padrino.

Il ruolo del padrino a un battesimo conferito in una Chiesa orientale ortodossa non è interdetto a un cattoli­co, se vi è invitato. In tal caso l’obbligo di prendersi cu­ra dell’educazione cristiana spetta in primo luogo al pa­drino (o alla madrina) che è membro della Chiesa nella quale il bambino è battezzato108.

99. Ogni cristiano ha il diritto, per motivi di coscien­za, di decidere liberamente di entrare nella piena comu­nione cattolica109. Adoperarsi per preparare una persona che desidera essere ricevuta nella piena comunione della Chiesa cattolica è, in sé, un’azione distinta dall’attività ecumenica110. Il rito dell’Iniziazione cristiana degli adul­ti prevede una formula per ricevere tali persone nella piena comunione cattolica. Nondimeno, in simili casi, così come nel caso dei matrimoni misti, l’autorità catto­lica può avvertire la necessità di indagare per sapere se il battesimo, già ricevuto, sia stato celebrato validamente. Nel compiere tali accertamenti, si tenga conto delle se­guenti raccomandazioni:

a)      La validità del battesimo, come è conferito nelle varie Chiese orientali, non è assolutamente oggetto di dubbio. E quindi sufficiente stabilire che il battesimo sia stato amministrato. In queste Chiese il sacramento della confermazione (crismazione) è legittimamente ammini­strato dal sacerdote contemporaneamente al battesimo; può pertanto accadere con una certa frequenza che nel­la certificazione canonica del battesimo non sia fatta al­cuna menzione della confermazione. Ciò non autorizza affatto a mettere in dubbio che sia stata conferita anche la confermazione.

b)      Quanto ai cristiani di altre Chiese e comunità ec­clesiali, prima di esaminare la validità del battesimo di un cristiano, sarà necessario sapere se sia stato realizza­to un accordo sul battesimo dalle Chiese e dalle comu­nità ecclesiali delle regioni o località in causa (come det­to sopra, al n. 94), e se il battesimo sia stato effettiva­mente amministrato in conformità a tale accordo. Tutta­via, va fatto rilevare che la mancanza di un accordo for­male sul battesimo, non deve automaticamente condur­re a dubitare della validità del battesimo.

c)      A riguardo di questi cristiani, quando è stata rila­sciata una attestazione ecclesiastica ufficiale, non c’è al­cun motivo di dubitare della validità del battesimo con­ferito nelle loro Chiese o comunità ecclesiali, a meno che, per un caso particolare, un esame non riveli che c’è una seria ragione per dubitare della materia, della for­mula usata per il battesimo, dell’intenzione del battezza­to adulto e del ministro che ha battezzato”.

d)      Se, anche dopo una scrupolosa ricerca, rimane un fondato dubbio sulla corretta amministrazione del batte­simo e si ritiene necessario battezzare sotto condizione, il ministro cattolico dovrà dar prova del suo rispetto per la dottrina secondo la quale il battesimo può essere con­ferito una volta sola, spiegando alla persona interessata perché in quel caso venga battezzata sotto condizione e, anche, il significato del rito del battesimo sotto condi­zione; inoltre, il rito del battesimo sotto condizione dev’essere celebrato in privato e non in pubblico112.

e)      È auspicabile che i Sinodi delle Chiese orientali cat­toliche e le Conferenze episcopali diano direttive in or­dine all’accettazione nella piena comunione cattolica dicristiani battezzati in altre Chiese e comunità ecclesiali, tenendo conto del fatto che non si tratta di catecumeni e anche del grado di conoscenza e di pratica della fede cri­stiana che costoro possono avere.

100. Secondo il rito dell’iniziazione cristiana degli adulti, coloro che aderiscono a Cristo per la prima volta sono normalmente battezzati durante la Veglia pasquale. Là dove la celebrazione ditale rito comprende l’ac­cettazione di coloro che, già battezzati, entrano nella piena comunione cattolica, bisogna fare una netta di­stinzione tra questi ultimi e coloro che non hanno anco­ra ricevuto il battesimo.

101. Allo stato attuale delle nostre relazioni con le co­munità ecclesiali sorte dalla Riforma del XVI secolo, non si è ancora arrivati ad un accordo né sul significato, né sulla natura sacramentale e neppure sull’amministra­zione del sacramento della confermazione. Di conse­guenza, nelle circostanze attuali, le persone che entras­sero nella piena comunione della Chiesa cattolica e che venissero da queste comunità, dovrebbero ricevere il sa­cramento della confermazione secondo la dottrina e il ri­to della Chiesa cattolica, prima di essere ammesse alla Comunione eucaristica.

B. CONDIVISIONE DI ATTIVITÀ

E DI RISORSE SPIRITUALI

Principi generali

102. I cristiani possono essere incoraggiati a condivi­dere attività e risorse spirituali, cioè a condividere quell’eredità spirituale che essi hanno in comune, in una maniera e a un livello adeguati al loro stato attuale di di­visione113.

103. L’espressione «condivisione di attività e di risorse spirituali» comprende realtà quali la preghiera fatta in co­mune, la partecipazione al culto liturgico in senso stretto, come viene specificato sotto, al n. 116, e così pure l’uso comune dei luoghi e di tutti gli oggetti liturgici necessari.

104. I principi che dovranno regolare la condivisione spirituale sono i seguenti:

a)      Nonostante le profonde differenze che impedisco­no la piena comunione ecclesiale, è chiaro che tutti colo­ro che per il battesimo sono incorporati a Cristo hanno in comune molti elementi della vita cristiana. Esiste, quindi, tra i cristiani una reale comunione, che, quan­tunque imperfetta, può essere espressa in molti modi, ivi compresa la condivisione della preghiera e del culto li­turgico114, come si preciserà al paragrafo seguente.

b)      Secondo la fede cattolica, la Chiesa cattolica è do­tata di tutta la verità rivelata e di tutti i mezzi di salvez­za per un dono che non può venir meno”5. Tuttavia, tra gli elementi e i doni che appartengono alla Chiesa catto­lica (per esempio la Parola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede, la speranza e la carità, ecc.), molti posso­no esistere fuori dei suoi confini visibili. Le Chiese e le comunità ecclesiali, che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica, non sono affatto state private di significato e di valore nel mistero della salvezza, poiché lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come mezzi di salvezza”6. Secondo modi che variano in rap­porto alla condizione di ciascuna Chiesa o comunità ecclesiale, le loro celebrazioni possono nutrire la vita della grazia nei loro membri che vi partecipano e dare accesso alla comunione della salvezza117.

c)      Pertanto, la condivisione delle attività e delle risor­se spirituali deve riflettere questa duplice realtà:

1)      la reale comunione nella vita dello Spirito che già esiste tra i cristiani e che si esprime nella loro preghiera e nel culto liturgico;

2)      il carattere incompleto ditale comunione a motivo di differenze di fede e a causa di modi di pensare che so­no inconciliabili con una condivisione piena dei doni spirituali.

d)      La fedeltà a questa realtà complessa rende necessa­rio stabilire norme di condivisione spirituale tenendo conto della diversità di situazione ecclesiale esistente tra le Chiese e le comunità ecclesiali che vi sono implicate, in modo che i cristiani apprezzino le loro ricchezze spi­rituali comuni e ne gioiscano, ma siano anche resi con­sapevoli della necessità di superare le separazioni che tuttora esistono.

e)      Poiché la concelebrazione eucaristica è una manife­stazione visibile della piena comunione di fede, di culto e di vita comune della Chiesa cattolica, espressa dai mi­nistri di questa Chiesa, non è permesso concelebrare l’Eucaristia con ministri di altre Chiese o comunità ec­clesiali118.

105. Sarebbe necessaria una certa «reciprocità», dal momento che la condivisione delle attività e delle risor­se spirituali, pur entro limiti precisi, è un contributo, in spirito di buona volontà e di carità, alla crescita dell’ar­monia tra cristiani.

106. Riguardo a tale condivisione, sono raccomandate consultazioni tra le autorità cattoliche competenti e quelle delle altre Comunioni, per ricercare le possibilità di una legittima reciprocità secondo la dottrina e le tra­dizioni delle differenti comunità.

107. I cattolici devono dar prova di un sincero rispet­to per la disciplina liturgica e sacramentale delle altre Chiese e comunità ecclesiali: queste sono invitate a mo­strare lo stesso rispetto per la disciplina cattolica. Uno degli obiettivi della consultazione, cui sopra si è accen­nato, dovrebbe essere quello di puntare ad una migliore comprensione reciproca della disciplina di ciascuna co­munità e anche a un accordo sul modo di regolare una situazione in cui la disciplina di una Chiesa mette in cau­sa o contrasta con la disciplina dell’altra.

Preghiera in comune

108. Là dove è opportuno, i cattolici devono essere incoraggiati a radunarsi per pregare con cristiani ap­partenenti ad altre Chiese e comunità ecclesiali, secon­do le norme dettate dalla Chiesa. Queste preghiere in comune sono senza dubbio un mezzo efficace per im­petrare la grazia dell’unità, e sono una genuina manife­stazione dei vincoli con i quali i cattolici sono ancora uniti con questi altri cristiani”9. La preghiera in comu­ne è, in se stessa, una via che conduce alla riconcilia­zione spirituale.

109. La preghiera in comune è raccomandata ai catto­lici e agli altri cristiani per presentare a Dio, insieme, le necessità e le preoccupazioni che condividono — come ad esempio la pace, le questioni sociali, la mutua carità tra gli uomini, la dignità della famiglia, le conseguenze del­la povertà, la fame e la violenza, ecc. Si equiparano a ta­li casi le occasioni in cui, secondo le circostanze, una na­zione, una regione o una comunità vuole comunitaria­mente render grazie a Dio o implorare il suo aiuto; ciò può avvenire nella ricorrenza di una festa nazionale, co­sì pure in tempo di calamità o di lutto pubblico, nel gior­no della commemorazione dei caduti per la patria, ecc.

La preghiera comune è raccomandata anche negli incon­tri che vedono riuniti i cristiani per lo studio o l’azione.

110. La preghiera comune dovrebbe avere però come oggetto innanzi tutto la ricomposizione dell’unità dei cristiani. Può incentrarsi, per esempio, sul mistero della Chiesa e della sua unità, sul battesimo come vincolo sa­cramentale di unità, oppure sul rinnovamento della vita personale e comunitaria come via necessaria per rendere perfetta l’unità. La preghiera comune è particolarmente raccomandata durante la « Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani» o nel periodo che intercorre tra l’Ascensione e la Pentecoste.

111. Tale preghiera dovrebbe essere preparata di co­mune accordo, con l’apporto dei rappresentanti di Chie­se, comunità ecclesiali o altri gruppi. E insieme che con­verrebbe precisare il ruolo degli uni e degli altri e sce­gliere i temi, le letture bibliche, gli inni e le preghiere da utilizzare.

a)      Una celebrazione del genere può comprendere qualsiasi lettura, preghiera e inno che esprimano ciò che è comune a tutti i cristiani riguardo alla fede o alla vita spirituale. Può includere una esortazione, un’allocuzione o una meditazione biblica che, attingendo alla comune eredità cristiana, accresca il reciproco amore e l’unità.

b)      Bisogna aver cura che le traduzioni della sacra Scrittura di cui ci si serve siano accettabili da tutti e sia­no traduzioni fedeli del testo originale.

c)      È auspicabile che la struttura di dette celebrazioni tenga conto dei diversi modelli di preghiera comunitaria in armonia con il rinnovamento liturgico di molte Chie­se e comunità ecclesiali, pur prestando una particolare attenzione al comune patrimonio di inni, di testi tratti dai lezionari e di preghiere liturgiche.

d)      Preparando celebrazioni tra cattolici e membri di una Chiesa orientale, è necessario considerare at­tentamente la disciplina liturgica propria di ciascuna delle Chiese, conformemente a quanto si dice qui sot­to al n. 115.

112. Sebbene la propria chiesa sia il luogo in cui una comunità ha l’abitudine di celebrare normalmente la propria liturgia, le celebrazioni comuni, di cui si è ora parlato, possono aver luogo nella chiesa dell’una o dell’altra delle comunità interessate, con il consenso di tutti i partecipanti. Qualunque sia il luogo di cui ci si ser­ve, occorre che sia a tutti gradito, che possa essere con­venientemente sistemato e che favorisca la devozione.

113. Con il comune consenso dei partecipanti, coloro che in una cerimonia hanno una funzione possono in­dossare l’abito proprio del loro rango ecclesiastico e del­la natura della celebrazione.

114. In alcuni casi, sotto la direzione di persone che abbiano ricevuto una particolare formazione e abbiano fatto una adeguata esperienza, può essere utile ricorrere alla condivisione spirituale sotto la forma di ritiri, di esercizi spirituali, di gruppi di studio e di reciproca co­municazione di tradizioni di spiritualità, nonché di for­me di incontro più stabili per l’approfondimento di una vita spirituale comune. E necessario che si presti sempre seria attenzione tanto a ciò che è stato detto sul ricono­scimento delle reali differenze di dottrina che esistono, quanto all’insegnamento e alla disciplina della Chiesa cattolica sulla condivisione sacramentale.

115. Dato che la celebrazione dell’Eucaristia nel gior­no del Signore è il fondamento e il centro di tutto l’anno liturgico120, i cattolici, fatto salvo il diritto delle Chiese orientali121, hanno l’obbligo di partecipare alla messa la domenica e nei giorni di precetto122. Per questo motivo si sconsiglia di organizzare servizi ecumenici la domenica e si ricorda che, anche quando dei cattolici partecipano a servizi ecumenici e a servizi di altre Chiese e comunità ecclesiali, nei giorni suddetti rimane l’obbligo di parteci­pare alla messa.

Condivisione della liturgia non sacramentale

116. Per culto liturgico si intende il culto celebrato se­condo i libri, le norme e le consuetudini di una Chiesa o comunità ecclesiale e presieduto da un ministro o da un delegato ditale Chiesa o comunità. Questo culto liturgi­co può avere carattere non sacramentale oppure può consistere nella celebrazione di uno o più sacramenti cri­stiani. Qui si tratta del culto liturgico non sacramentale.

117. In certe occasioni, la preghiera ufficiale di una Chiesa può essere preferita a celebrazioni ecumeniche preparate per l’occasione. La partecipazione a celebrazio­ni quali la preghiera del mattino o della sera, a veglie straordinarie, ecc. permetterà a persone di tradizioni li­turgiche diverse — cattoliche, orientali, anglicane e prote­stanti — di meglio comprendere la preghiera delle altre co­munità e di condividere più profondamente tradizioni che, spesso, si sono sviluppate partendo da radici comuni.

118. Nelle celebrazioni liturgiche che si fanno in altre Chiese e comunità ecclesiali, si consiglia ai cattolici di prender parte ai salmi, ai responsori, agli inni, ai gesti co­muni della Chiesa di cui sono gli invitati. Se i loro ospiti lo propongono, possono proclamare una lettura o predicare.

119. Quando si tratta di assistere ad una celebrazione liturgica di tal genere, si dovrebbe prestare un’attenzio­ne del tutto particolare alla sensibilità del clero e dei fe­deli di tutte le comunità cristiane interessate, come an­che alle consuetudini locali, che possono variare secon­do i tempi, i luoghi, le persone e le circostanze. In una celebrazione liturgica cattolica, i ministri delle altre Chiese e comunità ecclesiali possono avere il posto e gli onori liturgici che convengono al loro rango e al loro ruolo, se lo si ritiene opportuno. I membri del clero cat­tolico invitati alla celebrazione di un’altra Chiesa o co­munità ecclesiale possono, se ciò è gradito a coloro che li accolgono, indossare l’abito e le insegne della loro fun­zione ecclesiastica.

120. A prudente giudizio dell’Ordinario del luogo, il rito della Chiesa cattolica per le esequie può essere con­cesso a membri di una Chiesa o di una comunità eccle­siale non cattolica, a condizione che ciò non sia contra­rio alla loro volontà, che il loro ministro ne sia impedi­to123 e che non vi si oppongano le disposizioni generali del diritto124.

121. Le benedizioni ordinariamente impartite ai catto­lici possono essere impartite anche agli altri cristiani, su loro richiesta, in conformità alla natura e all’oggetto del­la benedizione. Preghiere pubbliche per altri cristiani, vi­vi o defunti, per i bisogni e secondo le intenzioni delle al­tre Chiese e comunità ecclesiali e dei loro capi spirituali, possono essere offerte durante le litanie e altre invoca­zioni di un servizio liturgico, ma non nel corso dell’anafora eucaristica. L’antica tradizione cristiana li­turgica ed ecclesiologica non permette di citare nell’anafora eucaristica se non i nomi delle persone che sono in piena comunione con la Chiesa che celebra quel­la Eucaristia.

Condivisione di vita sacramentale, in particolare dell’Eucaristia

a) Condivisione di vita sacramentale con i membri delle varie Chiese orientali

122. Tra la Chiesa cattolica e le Chiese orientali che non sono in piena comunione con essa, esiste comunque una comunione molto stretta nel campo della fede125. Inoltre, «per mezzo della celebrazione della Eucaristia del Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce» e «quelle Chiese, quantunque separa­te, hanno veri sacramenti e soprattutto, in forza della successione apostolica, il sacerdozio e l’Eucaristia[…]»126.Ciò, secondo la concezione della Chiesa cattoli­ca, costituisce un fondamento ecclesiologico e sacra-mentale per permettere e perfino incoraggiare una certa condivisione con quelle Chiese, nell’ambito del culto li­turgico, anche per quanto riguarda l’Eucaristia, «presen­tandosi opportune circostanze e con l’approvazione dell’autorità ecclesiastica»127. Tuttavia, è noto che le Chiese orientali, in forza della concezione ecclesiologica loro propria, possono avere una disciplina più restrittiva in tale materia, disciplina che gli altri devono rispettare. E necessario che i pastori istruiscano con cura i fedeli, perché abbiano una chiara conoscenza delle precise ra­gioni ditale condivisione nel campo del culto liturgico e delle diverse discipline esistenti al riguardo.

123. Ogniqualvolta una necessità lo esiga o una vera utilità spirituale lo consigli e purché sia evitato il perico­lo di errore o di indifferentismo, è lecito a ogni cattolico, per il quale sia fisicamente o moralmente impossibile ac­cedere al ministro cattolico, ricevere i sacramenti della penitenza, dell’Eucaristia e dell’unzione degli infermi da parte di un ministro di una Chiesa orientale128.

124. Poiché presso i cattolici e presso i cristiani orienta­li vigono usanze diverse riguardo alla frequenza della co­munione, alla confessione prima della comunione e al di­giuno eucaristico, è necessario che i cattolici abbiano cura di non suscitare scandalo e diffidenza tra i cristiani orien­tali non seguendo le consuetudini delle Chiese d’Oriente. Un cattolico che desidera legittimamente ricevere la comu­nione presso i cristiani orientali deve, nella misura del pos­sibile, rispettare la disciplina orientale e, se questa Chiesa riserva la comunione sacramentale ai propri fedeli esclu­dendo tutti gli altri, deve astenersi dal prendervi parte.

125. I ministri cattolici possono amministrare lecita-mente i sacramenti della penitenza, dell’Eucaristia e dell’unzione degli infermi ai membri delle Chiese orientali qualora questi li richiedano spontaneamente e abbiano le dovute disposizioni. Anche in tali casi bisogna prestare at­tenzione alla disciplina delle Chiese orientali per i loro fe­deli ed evitare ogni proselitismo, anche solo apparente129.

126. Durante una celebrazione liturgica sacramentale in una Chiesa orientale, i cattolici possono proclamare letture, se vi sono stati invitati. Un cristiano orientale può essere invitato a proclamare letture durante celebra­zioni analoghe in chiese cattoliche.

127. Un ministro cattolico può presenziare e prender parte, in una Chiesa orientale, ad una cerimonia di ma­trimonio, celebrata secondo le norme, tra cristiani orien­tali o tra due persone di cui una è cattolica e l’altra cri­stiana orientale, se vi è stato invitato dall’autorità della Chiesa orientale e se si conforma alle norme date qui sotto per i matrimoni misti, là dove vengono applicate.

128. Una persona appartenente a una Chiesa orientale può fare da testimone a un matrimonio in una chiesa cattolica; allo stesso modo una persona appartenente alla Chiesa cattolica può fare da testimone a un matrimonio, celebrato secondo le norme, in una Chiesa orientale. In ogni caso, questa prassi deve essere conforme alla disci­plina generale delle due Chiese, riguardante le regole di partecipazione a tali matrimoni.

b) Condivisione di vita sacramentale con i cristiani di altre Chiese e comunità ecelesiali

129. Il sacramento è un’azione di Cristo e della Chie­sa per mezzo dello Spirito130. La celebrazione di un sa­cramento in una comunità concreta è il segno della realtà della sua unità nella fede, nel culto e nella vita co­munitaria. In quanto segni, i sacramenti, e in modo par­ticolarissimo l’Eucaristia, sono sorgenti di unità della co­munità cristiana e di vita spirituale e mezzi per incre­mentarle. Di conseguenza, la comunione eucaristica è inseparabilmente legata alla piena comunione ecclesiale e alla sua espressione visibile.

Al tempo stesso, la Chiesa cattolica insegna che me­diante il battesimo i membri di altre Chiese e comunità ecclesiali si trovano in una comunione reale, anche se imperfetta, con la Chiesa cattolica131 e che «il battesimo costituisce il vincolo sacramentale dell’unità, che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenera­ti [...1, esso tende interamente all’acquisto della pienez­za della vita in Cristo»122. Per i battezzati, l’Eucaristia è un cibo spirituale, che li rende capaci di vincere il pec­cato e di vivere della vita stessa di Cristo, di essere più profondamente incorporati a Lui e di partecipare più in­tensamente a tutta l’economia del mistero di Cristo.

E alla luce di questi due principi basilari, i quali devo­no sempre essere considerati insieme, che la Chiesa catto­lica, in linea di principio, ammette alla comunione eucari­stica e ai sacramenti della penitenza e della unzione degli infermi esclusivamente coloro che sono nella sua unità di fede, di culto e di vita ecclesiale133. Per gli stessi motivi, es­sa riconosce anche che, in certe circostanze, in via ecce­zionale e a determinate condizioni, l’ammissione a questi sacramenti può essere autorizzata e perfino raccomanda­ta a cristiani di altre Chiese e comunità ecclesiali134.

130. In caso di pericolo di morte, i ministri cattolici possono amministrare questi sacramenti alle condizioni sotto elencate (n. 131). In altri casi, è vivamente racco­mandato che il Vescovo diocesano, tenendo conto delle norme che possono esser state stabilite in tale materia dalla Conferenza episcopale o dai Sinodi delle Chiese orientali, fissi norme generali che permettano il discerni­mento in situazioni di grave e pressante necessità e la ve­rifica delle condizioni qui sotto elencate (n. 131)135. In conformità al diritto canonico136, tali norme generali de­vono essere stabilite soltanto previa consultazione dell’autorità competente, almeno locale, dell’altra Chie­sa o comunità ecclesiale interessata. I ministri cattolici vaglieranno i casi particolari e amministreranno questi sacramenti solo in conformità a tali norme, là dove sono state emanate. Diversamente, giudicheranno in base alle norme del presente Direttorio.

131. Le condizioni in base alle quali un ministro cat­tolico può amministrare i sacramenti dell’Eucaristia, della penitenza e dell’unzione degli infermi a una perso­na battezzata, che venga a trovarsi nelle circostanze di cui si fa menzione qui sopra (n. 130), sono: che detta persona sia nell’impossibilità di accedere ad un ministro della sua Chiesa o comunità ecclesiale per ricevere il sa­cramento desiderato, che chieda del tutto spontanea­mente quel sacramento, che manifesti la fede cattolica circa il sacramento chiesto e che abbia le dovute dispo­sizioni137.

132. Rifacendosi alla dottrina cattolica dci sacramenti

e della loro validità, un cattolico, nelle circostanze sopra indicate (nn. 130-131), non può chiedere i suddetti sa­cramenti che a un ministro di una Chiesa i cui sacra­menti sono validi, oppure a un ministro che, secondo la dottrina cattolica dell’ordinazione, è riconosciuto come validamente ordinato.

133. Durante una celebrazione eucaristica della Chie­sa cattolica la proclamazione della sacra Scrittura è fatta da membri di questa Chiesa. In occasioni eccezionali e per una giusta causa, il Vescovo diocesano può permet­tere che un membro di un’altra Chiesa o comunità ec­clesiale vi svolga la funzione di lettore.

134. Per la liturgia eucaristica cattolica, l’omilia, che è parte della liturgia stessa, è riservata al sacerdote o al diacono, perché in essa vengono presentati i misteri del­la fede e le norme della vita cristiana in consonanza con l’insegnamento e la tradizione cattolica138.

135. Per la proclamazione della sacra Scrittura e per la predicazione durante celebrazioni diverse dalla cele­brazione eucaristica, devono essere osservate le norme date sopra (n. 118).

136. I membri di altre Chiese o comunità ecclesiali possono fare da testimoni a una celebrazione di matri­monio in una Chiesa cattolica. Anche i cattolici possono essere testimoni a matrimoni celebrati in altre Chiese e comunità ecclesiali.

Condivisione di altre risorse per la vita e l’attività spirituale

137. Le chiese cattoliche sono edifici consacrati o be­nedetti, che hanno un importante significato teologico e liturgico per la comunità cattolica. Di conseguenza, sono generalmente riservate al culto cattolico. Tuttavia, se sa­cerdoti, ministri o comunità che non sono in piena co­munione con la Chiesa cattolica non hanno un luogo, né gli oggetti liturgici necessari per celebrare degnamente le loro cerimonie religiose, il Vescovo diocesano può loro permettere di usare una chiesa o un edificio cattolico e anche prcstar loro gli oggetti necessari per il loro culto.

In circostanze analoghe può essere loro consentito di fa­re funerali o di celebrare ufficiature in cimiteri cattolici.

138. A causa dell’evoluzione sociale, del rapido incre­mento demografico e dell’urbanizzazione e per motivi fi­nanziari, là dove esistono buone relazioni ecumeniche e c’è comprensione tra le comunità, il possesso o l’uso co­mune di luoghi di culto per un periodo prolungato può diventare di interesse pratico.

139. Quando il Vescovo diocesano ne ha dato l’auto­rizzazione, in conformità alle norme della Conferenza episcopale o della Santa Sede, nel caso vi fossero tali luoghi comuni di culto, è necessario prendere saggia­mente in considerazione la questione della riserva del SS .mo Sacramento, in modo che sia risolta secondo una sana teologia sacramentale e con tutto il rispetto che gli è dovuto, tenendo anche conto delle diverse sensibilità di coloro che usano l’edificio, costruendo, per esempio, un vano separato o una cappella.

140. Prima di fare i progetti di un edificio comune, le autorità delle comunità interessate dovranno innanzi tutto raggiungere un accordo su come verranno rispetta­te le differenti discipline, particolarmente per ciò che ri­guarda i sacramenti. Inoltre, sarà opportuno stendere un accordo scritto in cui, in modo chiaro e adeguato, ven­gano trattate tutte le questioni che possono essere solle­vate in materia di finanze e di obblighi di fronte alle leg­gi ecclesiastiche e civili.

141. Nelle scuole e istituzioni cattoliche si deve fare ogni sforzo per rispettare la fede e la coscienza degli stu­denti o dei docenti che appartengono ad altre Chiese o comunità ecclesiali. In conformità con gli statuti loro propri e approvati, le autorità di dette scuole e istituzio­ni dovrebbero vigilare a che i ministri ordinati delle altre comunità possano esercitare senza alcuna difficoltà il servizio spirituale e sacramentale per i loro fedeli che frequentano tali scuole o istituzioni. Per quanto le circo­stanze lo consentono, con il permesso del Vescovo dio­cesano, tali opportunità possono essere offerte in locali appartenenti ai cattolici, ivi compresa una chiesa o una cappella.

142. Negli ospedali, nelle case per persone anziane e nelle istituzioni analoghe dirette da cattolici, le autorità devono darsi premura di avvertire i sacerdoti e i ministri delle altre comunità cristiane della presenza di loro fe­deli, e agevolarli perché possano far visita a dette perso­ne e portar loro un aiuto spirituale e sacramentale in condizioni degne e decorose, anche con l’uso della cap­pella.

C. MATRIMONI MISTI

143. La presente sezione del Direttorio ecumenico non si prefigge di trattare in modo esaustivo tutte le que­stioni pastorali e canoniche connesse sia alla celebrazio­ne stessa del sacramento del matrimonio cristiano, sia all’azione pastorale da svolgere presso le famiglie cri­stiane, dal momento che simili questioni rientrano nell’azione pastorale generale di ogni Vescovo o della Conferenza regionale dci vescovi. Quanto qui si espone mette l’accento sulle questioni specifiche che riguardano i matrimoni misti e in tale contesto deve essere inteso. L’espressione «matrimonio misto» si riferisce ad ogni matrimonio fra una parte cattolica e una parte cristiana battezzata che non è in piena comunione con la Chiesa cattolica139.

144. In ogni matrimonio la principale preoccupazione della Chiesa è di conservare la solidità e la stabilità del vincolo coniugale indissolubile e della vita familiare che ne deriva. La perfetta unione delle persone e la condivi­sione completa della vita, che costituiscono lo stato ma­trimoniale, sono più facilmente assicurati quando i co­niugi appartengono alla medesima comunità di fede. Inoltre, la concreta esperienza e le osservazioni che sca­turiscono da diversi dialoghi tra i rappresentanti di Chie­se e di comunità ecclesiali dimostrano che i matrimoni misti presentano spesso difficoltà per le coppie stesse e per i loro figli in ordine alla conservazione della fede, all’impegno cristiano e all’armonia della vita familiare. Per tutti questi motivi, il matrimonio tra persone che ap­partengono alla stessa comunità ecclesiale rimane l’obiettivo da raccomandare e da incoraggiare.

145. Poiché tuttavia si constata il numero crescente di matrimoni misti in molte parti del mondo, la viva solle­citudine pastorale della Chiesa si estende alle coppie che si preparano a contrarre tali matrimoni e alle coppie che già li hanno contratti. Questi matrimoni, nonostante le loro particolari difficoltà, «presentano numerosi elemen­ti che è bene valorizzare e sviluppare, sia per il loro in­trinseco valore, sia per l’apporto che possono dare al movimento ecumenico. Ciò è particolarmente vero quando ambedue i coniugi sono fedeli ai loro impegni religiosi. Il comune battesimo e il dinamismo della gra­zia forniscono agli sposi, in questi matrimoni, la base e la motivazione per esprimere la loro unità nella sfera dei valori morali e spirituali»140.

146. Appartiene alla permanente responsabilità di tutti, ma in primo luogo dei presbiteri, dei diaconi e di coloro che li affiancano nel ministero pastorale, offrire un insegnamento e un sostegno particolari al coniuge cattolico nella sua vita di fede e alle coppie dei matri­moni misti per la loro preparazione alle nozze, durante la celebrazione sacramentale e per la vita comune che ne consegue. Questa cura pastorale deve tener conto della concreta condizione spirituale di ogni coniuge, della sua educazione alla fede e della sua pratica della fede. Al tempo stesso, si deve rispettare la situazione particolare di ogni coppia, la coscienza di ogni coniuge e la santità dello stesso matrimonio sacramentale. Se si ritiene utile, i vescovi diocesani, i Sinodi delle Chiese orientali catto­liche o le Conferenze episcopali potranno stabilire diret­tive più particolareggiate per questo servizio pastorale.

147. Per affrontare questa responsabilità, quando la situazione lo richiede, se possibile, occorrerà fare passi positivi per creare legami con il ministro dell’altra Chie­sa o comunità ecclesiale, anche se ciò non riesce sempre facile. In linea di massima, gli incontri tra pastori cri­stiani, al fine di sostenere i matrimoni misti e di conser­varne i valori, possono essere un eccellente terreno di collaborazione ecumenica.

148. Stendendo i programmi della preparazione ne­cessaria al matrimonio, il presbitero o il diacono, e colo­ro che li affiancano, dovranno insistere sugli aspetti po­sitivi di ciò che la coppia, in quanto cristiana, condivide della vita di grazia, di fede, di speranza e di amore e de­gli altri doni interiori dello Spirito santo141. Ciascuno dei coniugi, pur continuando ad essere fedele al proprio im­pegno cristiano e a viverlo, dovrà ricercare ciò che può condurre all’unità e all’armonia, senza minimizzare le reali differenze ed evitando un atteggiamento di indiffe­renza religiosa.

149. Per favorire una maggiore comprensione e una più profonda unità, ciascun coniuge dovrà cercare di co­noscere meglio le convinzioni religiose dell’altro e gli in­segnamenti e le pratiche religiose della Chiesa o comu­nità ecclesiale cui l’altro appartiene. Per aiutare i due sposi a vivere dell’eredità cristiana che è loro comune, si deve loro ricordare che la preghiera in comune è essen­ziale per la loro armonia spirituale, e che la lettura e lo studio della sacra Scrittura sono di grande importanza. Durante il periodo di preparazione, l’impegno della cop­pia per comprendere le tradizioni religiose ed ecclesiali di ognuno e il serio esame delle differenze esistenti, pos­sono condurre ad una onestà, ad una carità e ad una comprensione più grandi verso tali realtà, ma anche ver­so lo stesso matrimonio.

150. Quando, per «una causa giusta e ragionevole», viene richiesto il permesso di contrarre un matrimonio misto, le due parti dovranno essere istruite sui fini e sul­le proprietà essenziali del matrimonio, che non devono essere escluse da nessuno dei due contraenti. Inoltre, si chiederà alla parte cattolica, secondo la forma stabilita dal diritto particolare delle Chiese orientali cattoliche o dalla Conferenza episcopale, di dichiararsi pronta ad al­lontanare i pericoli di abbandonare la fede e di promet­tere sinceramente di fare quanto è in suo potere perché tutti i figli siano battezzati ed educati nella Chiesa catto­lica. L’altra parte deve essere informata ditali promesse e responsabilità142. Al tempo stesso, bisogna constatare che la parte non cattolica può essere tenuta ad un obbli­go analogo in forza del proprio impegno cristiano. E da notare che, nel diritto canonico, non è richiesta a questa parte nessuna promessa, né scritta né verbale.

Nei contatti che si avranno con coloro che intendono celebrare un matrimonio misto, si suggerirà e si favorirà, prima del matrimonio, la discussione e, se possibile, la decisione circa il battesimo e l’educazione cattolica dei figli che nasceranno.

L’Ordinario del luogo, per vagliare l’esistenza o meno di «una causa giusta e ragionevole», in vista di concede­re il permesso del matrimonio misto, terrà conto, tra l’al­tro, di un rifiuto esplicito della parte non cattolica.

151. Il genitore cattolico, nel compiere il proprio do­vere di trasmettere la fede cattolica ai figli, rispetterà la libertà religiosa e la coscienza dell’altro genitore, e avrà cura dell’unità e della stabilità del matrimonio e di con­servare la comunione della famiglia. Se, nonostante tut­ti gli sforzi, i figli non vengono battezzati né educati nel­la Chiesa cattolica, il genitore cattolico non incorre nel­la censura comminata dal diritto canonico’43 Tuttavia, non cessa per lui l’obbligo di condividere con i figli la fe­de cattolica. Tale esigenza rimane e può comportare, per esempio, che egli svolga una parte attiva nel contribuire all’atmosfera cristiana della famiglia; che faccia quanto è in suo potere con la parola e con l’esempio per aiutare gli altri membri della famiglia ad apprezzare i valori pe­culiari della tradizione cattolica; che coltivi tutte le di­sposizioni necessarie perché, ben istruito nella propria fede, sia capace di esporla e di discuterne con gli altri; che preghi con la sua famiglia per implorare la grazia dell’unità dei cristiani, com’è nella volontà del Signore. 152. Pur tenendo ben presente l’esistenza di differen­ze dottrinali che impediscono la piena comunione sacra­mentale e canonica tra la Chiesa cattolica e le varie Chie­se orientali, nella pastorale dei matrimoni tra cattolici e cristiani orientali si deve porre una particolare attenzio­ne all’insegnamento corretto e solido della fede condivi­sa dai due sposi e al fatto che nelle Chiese orientali si tro­vano «veri sacramenti e soprattutto, in forza della suc­cessione apostolica, il sacerdozio e l’Eucaristia, per mez­zo dei quali esse restano ancora unite con noi da stret­tissimi vincoli»144. Una genuina attenzione pastorale ac­cordata alle persone che hanno contratto questo matri­monio può aiutarle a meglio comprendere come i loro fi­gli verranno iniziati ai misteri sacramentali di Cristo e ne saranno spiritualmente nutriti. La loro formazione all’autentica dottrina cristiana e al modo di vivere da cri­stiani deve essere, per la maggior parte, simile in ognuna delle Chiese. Le diversità in materia di vita liturgica e di devozione privata possono servire ad incoraggiare la preghiera familiare, anziché ostacolarla.

153. Il matrimonio tra una parte cattolica e un mem­bro di una Chiesa orientale è valido se è stato celebrato secondo un rito religioso da un ministro ordinato, pur­ché le altre disposizioni del diritto canonico richieste per la validità siano state rispettate. In questo caso la forma canonica della celebrazione è necessaria per la liccità145. La forma canonica è richiesta per la validità dei matri­moni tra cattolici e cristiani di altre Chiese e comunità ecclesiali146

154. Per gravi motivi, l’Ordinario del luogo della par­te cattolica, fatto salvo il diritto delle Chiese orientali147, previa consultazione dell’Ordinario del luogo in cui verrà celebrato il matrimonio, può dispensare la parte cattolica dall’osservanza della forma canonica del matri­monio146. Tra i motivi della dispensa possono essere te­nuti presenti la conservazione dell’armonia familiare, il raggiungimento dell’accordo dei genitori per il matrimo­nio, il riconoscimento del particolare impegno religioso della parte non cattolica o del suo legame di parentela con un ministro di un’altra Chiesa o comunità ecclesiale. Le Conferenze episcopali dovrebbero stabilire norme in base alle quali la predetta dispensa possa essere conces­sa secondo una pratica comune.

155. L’obbligo, imposto da alcune Chiese o comunità ecclesiali, di osservare la forma del matrimonio loro pro­pria non costituisce una causa di automatica dispensa dalla forma canonica cattolica. Le situazioni particolari di questo tipo devono essere oggetto di dialogo tra le Chiese, almeno a livello locale.

156. Si terrà presente che una qualche forma pubblica di celebrazione è richiesta per la validità del matrimo­nio149, se esso è celebrato con la dispensa dalla forma ca­nonica. Per sottolineare l’unità del matrimonio, non è consentito che abbiano luogo due celebrazioni religiose distinte, per cui lo scambio del consenso sarebbe espres­so due volte, oppure un solo servizio religioso durante il quale lo scambio del consenso verrebbe richiesto con­giuntamente o successivamente da due ministri150.

157. Con la previa autorizzazione dell’Ordinario del luogo, un presbitero cattolico o un diacono, se vi è invi­tato, può essere presente o in qualche modo partecipare alla celebrazione dci matrimoni misti, allorché sia stata accordata la dispensa dalla forma canonica. In questo caso non può esservi che una sola cerimonia durante la quale la persona che presiede riceve lo scambio del con­senso degli sposi. Su invito del celebrante, il presbitero cattolico o il diacono può recitare preghiere supplemen­tari e appropriate, leggere le Scritture, fare una breve esortazione e benedire la coppia.

158. Se la coppia lo chiede, l’Ordinario del luogo può permettere che il presbitero cattolico inviti il ministro della Chiesa o della comunità ecclesiale della parte non cattolica a partecipare alla celebrazione del matrimonio, proclamarvi le letture bibliche, fare una breve esortazio­ne e benedire la coppia.

159. Poiché possono presentarsi problemi riguardanti la condivisione eucaristica, a causa della presenza di te­stimoni o di invitati non cattolici, un matrimonio misto, celebrato secondo la forma cattolica, ha generalmente luogo al di fuori della liturgia eucaristica. Tuttavia, per una giusta causa, il Vescovo diocesano può permettere la celebrazione dell’Eucaristia151. In quest’ultimo caso, la decisione di ammettere o no la parte non cattolica del matrimonio alla comunione eucaristica va presa in conformità alle norme generali esistenti in materia, tan­to per i cristiani orientali152 quanto per gli altri cristia­ni153, e tenendo conto di questa situazione particolare, che cioè ricevono il sacramento del matrimonio cristiano due cristiani battezzati.

160. Sebbene gli sposi di un matrimonio misto abbia­no in comune i sacramenti del battesimo e del matrimo­nio, la condivisione dell’Eucaristia non può essere che eccezionale e, in ogni caso, vanno osservate le disposi­zioni indicate qui sopra, riguardanti l’ammissione di un cristiano non cattolico alla comunione eucaristica154, e così pure quelle concernenti la partecipazione di un cat­tolico alla comunione eucaristica in un’altra Chiesa155.

V

COLLABORAZIONE ECUMENICA, DIALOGO

E TESTIMONIANZA COMUNE

161. Quando i cristiani vivono e pregano insieme nel modo descritto nel capitolo IV, danno testimonianza della fede che condividono e del loro battesimo nel no­me di Dio, il Padre di tutti, nel Figlio suo Gesù, Reden­tore di tutti, e nello Spirito santo che con la potenza del suo amore tutto trasforma e unisce. Fondate su questa comunione di vita e di doni spirituali, ci sono molte altre forme di collaborazione ecumenica che esprimono e gio­vano all’unità e mettono in luce la testimonianza della potenza salvifica del Vangelo che i cristiani offrono al mondo. Quando collaborano nello studio e nella diffu­sione della Bibbia, negli studi liturgici, nella catechesi e negli studi superiori, nella pastorale, nell’evangelizzazio­ne, nel servizio della carità verso un mondo che lotta per realizzare gli ideali di giustizia, di pace e di amore, i cri­stiani mettono in pratica ciò che è stato proposto nel de­creto sull’ecumenismo:

«Tutti i cristiani professino davanti a tutti i popoli la fede in Dio uno e trino, nell’incarnato Figlio di Dio, Redentore e Signore nostro, e con comune sforzo, nella mutua stima, rendano testimonianza della spe­ranza nostra, che non inganna. Siccome in questi tem­pi si stabilisce su vasta scala la cooperazione nel cam­po sociale, tutti gli uomini senza esclusione sono chia­mati a questa comune opera, ma a maggior ragione quelli che credono in Dio, e più ancora tutti i cristia­ni, essendo essi insigniti del nome di Cristo. La coo­perazione di tutti i cristiani esprime vivamente quella unione, che già vige tra di loro, e pone in una luce più piena il volto di Cristo Servo»156.

162. I cristiani non possono chiudere il cuore al forte appello che sale dalle necessità dell’umanità nel mondo contemporaneo. Il contributo che essi possono dare in ogni campo della vita umana in cui si manifesta il biso­gno di salvezza è più efficace quando lo danno tutti in­sieme e quando si vede che sono uniti nell’operare. Essi, quindi, desidereranno compiere insieme tutto ciò che è consentito dalla loro fede. La mancanza di una comple­ta comunione tra le diverse Chiese e comunità ecclesiali, le divergenze che ancora esistono nell’insegnamento del­la fede e della morale, le ferite non dimenticate e l’ere­dità di una storia di divisione, sono tutti elementi che pongono limiti a quanto i cristiani possono compiere in­sieme in questo momento. La loro collaborazione li può aiutare a superare ciò che ostacola la piena comunione, a mettere insieme le loro risorse per realizzare una vita e un servizio cristiani insieme alla comune testimonianza che ne deriva, in vista della missione che condividono:

«In questa unione nella missione, di cui decide so­prattutto Cristo stesso, tutti i cristiani debbono sco­prire ciò che già li unisce, ancor prima che si realizzi la loro piena comunione»157.

Forme e strutture della collaborazione ecumenica

163. La collaborazione ecumenica può assumere la forma di una partecipazione, da parte di varie Chiese e comunità ecclesiali, a programmi già definiti da uno dei loro membri, oppure quella di coordinamento di attività indipendenti, così da evitare la ripetizione di iniziative e la inutile moltiplicazione di strutture amministrative, o ancora quella di iniziative e di programmi congiunti. Si possono creare vari tipi di consigli o di comitati, con for­me più o meno permanenti, per facilitare le relazioni tra Chiese e comunità ecclesiali e per promuovere tra loro la collaborazione e la testimonianza comune.

164. La partecipazione cattolica a tutte le forme di in­contri ecumenici e di progetti di cooperazione rispetterà le norme stabilite dall’autorità ecclesiastica locale. Spet­ta da ultimo al Vescovo diocesano giudicare sulla oppor­tunità e sulla idoneità di tutte le forme d’azione ecumenica locale, tenendo conto di ciò che è stato deciso a li­vello regionale o nazionale. I vescovi, i Sinodi delle Chie­se orientali cattoliche e le Conferenze episcopali agiran­no in accordo con le direttive della Santa Sede e in par­ticolare con quelle del pontificio Consiglio per la pro­mozione dell’unità dei cristiani.

165. Gli incontri di rappresentanti autorizzati di Chie­se e di comunità ecclesiali, che si tengono periodicamen­te o in speciali occasioni, possono essere di grande aiuto per promuovere la collaborazione ecumenica. Pur costi­tuendo in se stessi un’importante testimonianza dell’im­pegno dei partecipanti per la promozione dell’unità dei cristiani, tali incontri possono dare il suggello dell’auto­rità alle attività che i membri delle Chiese e delle comu­nità, che essi rappresentano, realizzano in collaborazio­ne. Possono anche offrire l’occasione per esaminare qua­li siano i problemi specifici e i compiti da affrontare nel­la cooperazione ecumenica e per prendere le decisioni necessarie a costituire gruppi di lavoro e programmi che se ne facciano carico.

Consigli di Chiese e Consigli cristiani

166. I Consigli di Chiese e i Consigli cristiani sono le più stabili tra le strutture costituite per promuovere l’unità e la collaborazione ecumenica. Un Consiglio di Chiese è composto di Chiese’58 cd è responsabile nei con­fronti delle Chiese che lo formano. Un Consiglio cristia­no è composto, oltre che di Chiese, di altre organizza­zioni e gruppi cristiani. Esistono pure altre istituzioni di cooperazione simili ai predetti Consigli, ma con titoli di­versi. In generale, Consigli e istituzioni analoghe procu­rano di dare ai loro membri la possibilità di operare in­sieme, di avviare un dialogo, di superare le divisioni e le incomprensioni, di sostenere la preghiera e l’azione per l’unità, e di offrire, nella misura del possibile, una testi­monianza e un servizio cristiani comuni. Essi devono es­sere valutati in base alle loro attività e a come si defini­scono nelle loro costituzioni; hanno esclusivamente la competenza loro accordata dai membri costituenti; in generale, non hanno poteri di responsabilità nelle tratta­tive in vista dell’unione tra Chiese.

167. Essendo auspicabile che la Chiesa cattolica trovi, a differenti livelli, l’espressione propria delle sue relazio­ni con altre Chiese e comunità ecclesiali, ed essendo i Consigli di Chiese e i Consigli cristiani tra le forme più importanti della collaborazione ecumenica, ci si deve rallegrare dei contatti sempre più frequenti che la Chie­sa cattolica stabilisce con questi Consigli in diverse par­ti del mondo.

168. La decisione di associarsi ad un Consiglio è di competenza dei vescovi della regione in cui il Consiglio opera; essi hanno anche la responsabilità di vigilare sul­la partecipazione cattolica a tali Consigli. Quanto ai Consigli nazionali, competenza e responsabilità saranno generalmente del Sinodo delle Chiese orientali cattoli­che o della Conferenza episcopale (eccetto il caso in cui nella nazione vi sia una sola diocesi). Nell’esaminare la questione dell’appartenenza a un Consiglio, le autorità competenti — nel preparare la decisione — abbiano cura di prendere contatti con il pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.

169. Tra i numerosi fattori che bisogna considerare in funzione della decisione di aderire come membro ad un Consiglio, c’è l’opportunità pastorale di un tale passo. Si deve innanzi tutto accertare che la partecipazione alla vi­ta del Consiglio sia compatibile con l’insegnamento del­la Chiesa cattolica e non attenui la sua identità specifica e unica. La prima preoccupazione deve essere quella del­la chiarezza dottrinale, soprattutto in ciò che concerne l’ecclesiologia. In effetti, i Consigli di Chiese e i Consigli cristiani né in se stessi né per se stessi contengono l’ini­zio di una nuova Chiesa, che sostituirebbe la comunione attualmente esistente nella Chiesa cattolica. Essi non si definiscono Chiese e non pretendono per se stessi un’au­torità che permetta loro di conferire un ministero della parola o del sacramento159. E bene prestare una partico­lare attenzione al sistema di rappresentatività di questo Consiglio e al diritto di voto, alle procedure per giunge­re alle decisioni, al modo di fare dichiarazioni pubbliche e al grado di autorità ad esse attribuito. Si arrivi ad un accordo chiaro e preciso sui suddetti punti prima di fare il passo di adesione in qualità di membro160.

170. L’appartenenza cattolica ad un Consiglio locale, nazionale o regionale è completamente differente dalle relazioni tra la Chiesa cattolica e il Consiglio ecumenico delle Chiese. Il Consiglio ecumenico, infatti, può invita­re Consigli scelti «ad entrare in rapporti di lavoro in qualità di Consigli associati», ma non ha nessuna auto­rità e nessun controllo su tali Consigli o sulle Chiese che ne sono membri.

171. Va considerato che aggregarsi ad un Consiglio comporta l’accettazione di importanti responsabilità. La Chiesa cattolica deve essere rappresentata da persone competenti e impegnate. Nell’esercizio del loro mandato esse siano perfettamente consapevoli dei limiti al di là dei quali non possono impegnare la Chiesa senza inter­pellare l’autorità da cui sono state nominate. Quanto più l’attività di questi Consigli sarà seguita attentamente dalle Chiese che vi sono rappresentate, tanto più il loro contributo al movimento ecumenico sarà importante ed efficace.

Il dialogo ecumenico

172. Il dialogo è al centro della collaborazione ecume­nica e l’accompagna in tutte le sue forme. Il dialogo esi­ge che si ascolti e si risponda, che si cerchi di compren­dere e di farsi comprendere. Significa essere disposti a porre interrogativi e ad essere a propria volta interroga-ti. Significa comunicare qualcosa di sé e dar credito a ciò che gli altri dicono di sé. Ogni interlocutore deve essere pronto a chiarificare sempre di più e a modificare le pro­prie vedute personali e la propria maniera di vivere e di agire, lasciandosi guidare dal genuino amore della ve­rità. La reciprocità e l’impegno vicendevole sono cle­menti essenziali del dialogo e, così pure, la consapevo­lezza che gli interlocutori sono su un piede di parità161. Il dialogo ecumenico permette ai membri delle diverse Chiese e comunità ecclesiali di pervenire ad una cono­scenza reciproca, di identificare i punti di fede e di pra­tica che hanno in comune e quelli in cui differiscono. Gli interlocutori cercano di capire le radici ditali differenze e di valutare in quale misura costituiscano un reale osta­colo ad una fede comune. Quando riconoscono che esse rappresentano un’autentica barriera per la comunione, si sforzano di trovare i mezzi per superarle alla luce di quei nuclei della fede che già hanno in comune.

173. La Chiesa cattolica può avviare il dialogo a livel­lo diocesano, a livello di Conferenza episcopale o di Si­nodi delle Chiese orientali cattoliche e a livello di Chiesa universale. La sua struttura, come comunione universa­le di fede e di vita sacramentale, le consente di presenta­re una posizione coerente e unita a ciascuno dei suddet­ti livelli. Quando non c’è che un solo interlocutore, Chie­sa o comunità, il dialogo viene detto bilaterale, quando ce ne sono parecchi, viene definito multilaterale.

174. A livello locale vi sono innumerevoli occasioni di incontro tra cristiani: dalle conversazioni informali che avvengono nella vita quotidiana fino alle sessioni orga­nizzate per esaminare insieme, sotto un’angolatura cri­stiana, problemi della vita locale o di particolari gruppi professionali (medici, operatori sociali, genitori, educa­tori), come pure ai gruppi di studio su argomenti speci­ficamente ecumenici. I dialoghi possono essere condotti da gruppi sia di laici, sia di membri del clero, sia di teo­logi di professione, oppure da aggregazioni di persone appartenenti a questi gruppi. Tali incontri, abbiano o no uno statuto ufficiale — conseguente alla loro promozione o autorizzazione formale da parte della autorità ecclesia­stica —, devono sempre essere caratterizzati da un fortis­simo senso ecclesiale. I cattolici che vi prendono parte avvertiranno il bisogno di conoscere a fondo la loro fede e di averla saldamente radicata nella loro vita e procure­ranno di rimanere in comunione di pensiero e di volontà con la loro Chiesa.

175. In alcuni dialoghi i partecipanti sono mandati dalla gerarchia e vi prendono perciò parte non a titolo personale, ma in qualità di rappresentanti delegati della loro Chiesa. Tali mandati possono essere conferiti dall’Ordinario del luogo, dal Sinodo delle Chiese orien­tali cattoliche o dalla Conferenza episcopale per il suo territorio, o dalla Santa Sede. In questi casi, i parteci­panti cattolici hanno una singolare responsabilità nei confronti dell’autorità che li ha mandati. Questa autorità dovrà dare la propria approvazione a qualsiasi risultato del dialogo prima che esso impegni ufficialmente la Chiesa.

176. Gli interlocutori cattolici del dialogo si attengano ai principi riguardanti la dottrina cattolica enunciati dal decreto Unitatis redintegratio:

«Il modo e il metodo di annunziare la fede cattolica non devono in alcun modo essere di ostacolo al dialo­go con i fratelli. Bisogna assolutamente esporre con chiarezza tutta intera la dottrina. Niente è più alieno dall’ecumenismo, quanto quel falso irenismo, dal quale ne viene a soffrire la purezza della dottrina cat­tolica e ne viene oscurato il suo senso genuino e pre­ciso.

Nello stesso tempo, la fede cattolica deve essere spie­gata con più profondità ed esattezza, con quel modo di esposizione e di espressione, che possa essere com­preso bene anche dai fratelli separati.

Inoltre, nel dialogo ecumenico, i teologi cattolici, re­stando fedeli alla dottrina della Chiesa, nell’investiga­re con i fratelli separati i divini misteri, devono proce­dere con amore della verità, con carità e umiltà. Nel mettere a confronto le dottrine, si ricordino che esiste un ordine o «gerarchia» nelle verità della dottrina cat­tolica, essendo diverso il loro nesso con il fondamen­to della fede cristiana. Così si preparerà la via, nella quale, per mezzo della fraterna emulazione, tutti sa­ranno spinti verso una più profonda conoscenza e una più chiara manifestazione delle insondabili ricchezze di Cristo»162.

La questione della gerarchia delle verità è parimenti trattata nel documento intitolato Riflessioni e suggeri­menti a proposito del dialogo ecumenico:

«Tutto non sta sullo stesso piano, tanto nella vita del­la Chiesa quanto nel suo impegno; è indubbio che tut­te le verità rivelate esigano la stessa adesione di fede, ma, secondo la maggiore o minore prossimità che hanno nei confronti del fondamento del mistero rive­lato, esse sono in posizioni diverse le une rispetto alle altre e in differenti rapporti tra loro»163.

177. Il soggetto del dialogo può essere costituito da un largo ventaglio di questioni dottrinali che coprono un certo lasso di tempo, oppure da una sola questione limi­tata ad una epoca ben determinata; può trattarsi di un problema pastorale o missionario di fronte al quale le Chiese vogliono trovare una posizione comune, al fine di eliminare le tensioni che si creano tra loro e di promuo­vere un reciproco aiuto e una testimonianza comune. Per alcune questioni può rivelarsi più efficace un dialo­go bilaterale, per altre dà risultati migliori un dialogo multilaterale. L’esperienza dimostra che, nel complesso impegno di promuovere l’unità dei cristiani, le due for­me di dialogo sono complementari. E bene che i risulta­ti di un dialogo bilaterale siano sollecitamente comuni­cati a tutte le altre Chiese e comunità ecclesiali interes­sate.

178. Una commissione o un comitato istituito per av­viare il dialogo su richiesta di due o più Chiese o comu­nità ecclesiali può giungere a gradi diversi di accordo sul tema proposto e può formulare conclusioni in una di­chiarazione. Anche prima che si raggiunga l’accordo, una commissione può talvolta giudicare opportuno pub­blicare una dichiarazione o un rapporto in cui indicare le convergenze raggiunte, individuare i problemi rimasti in sospeso e suggerire la direzione che un futuro dialogo potrebbe prendere. Tutte le dichiarazioni o i rapporti delle commissioni del dialogo sono sottoposte, per l’ap­provazione, alle Chiese interessate. Le dichiarazioni fat­te dalle commissioni del dialogo hanno un valore intrinseco, in ragione della competenza e dello statuto dei lo­ro autori. Esse, però, non impegnano la Chiesa cattolica finché non siano state approvate dalle competenti auto­rità ecclesiastiche.

179. Quando le competenti autorità ritengono i risul­tati di un dialogo pronti per essere sottoposti ad una va­lutazione, i membri del popolo di Dio, secondo il loro ruolo e il loro carisma, devono essere impegnati in que­sto processo critico. I fedeli, infatti, sono chiamati a esercitare «il senso soprannaturale della fede (sensus fi­dei)», che è dell’intero popolo, allorché, «dai vescovi fi­no all’ultimo dei fedeli laici» esprime un consenso uni­versale alle verità concernenti la fede e i costumi. Que­sto senso della fede, suscitato e sorretto dallo Spirito di verità e sotto la guida del sacro Magistero (magiste­rium), mette in grado, se gli si obbedisce fedelmente, di accogliere non più una parola umana, ma la parola di Dio qual è veramente164 grazie ad esso il popolo di Dio aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa ai santi una volta per tutte165 vi penetra più a fondo interpretan­dola dovutamente e la mette in atto più perfettamente nella propria vita166.

Si deve compiere ogni sforzo per trovare il modo mi­gliore di offrire i risultati del dialogo all’attenzione di tutti i membri della Chiesa. Le nuove comprensioni del­la fede, le nuove testimonianze della sua verità e le nuo­ve forme d’espressione di essa sviluppate nel dialogo, così come la portata degli accordi proposti, siano spie­gate per quanto possibile ai fedeli. Ciò consentirà un equo giudizio sulle reazioni di tutti, valutando la loro fe­deltà alla tradizione di fede ricevuta dagli apostoli e tra­smessa alla comunità dei credenti, sotto la guida dei suoi maestri qualificati. Si deve sperare che questo modo di procedere venga adottato da ogni Chiesa o comunità ec­clesiale interlocutrice del dialogo e anche da tutte le Chiese e comunità ecclesiali sensibili all’appello per l’unità, e che le Chiese collaborino a questo sforzo.

180. La vita di fede e la preghiera di fede, come pure la riflessione sulla dottrina della fede, entrano in questo processo di ricezione, attraverso il quale, sotto l’ispira­zione dello Spirito santo che «dispensa tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali»167 e che più particolarmente anima il ministero di coloro che insegnano, tutta la Chie­sa fa propri i frutti di un dialogo, in un cammino di ascolto, di sperimentazione, di discernimento e di vita.

181. Nel vagliare e nell’assumere nuove forme di espressione della fede, che possono comparire in dichia­razioni finali del dialogo ecumenico, oppure antiche espressioni cui si è tornati perché preferite a certi termi­ni teologici più recenti, i cattolici terranno presente la di­stinzione fatta, nel decreto sull’ecumenismo, tra «il de­posito o le verità della fede» e «il modo con cui vengono enunciate»’68. Avranno però cura di evitare le espressio­ni ambigue, particolarmente nella ricerca di un accordo sui punti di dottrina tradizionalmente controversi. Ter­ranno pure conto del modo con cui lo stesso concilio Va­ticano Il ha applicato tale distinzione nella sua formula­zione della fede cattolica; ammetteranno anche la «ge­rarchia delle verità» nella dottrina cattolica, di cui parla il decreto sull’ecumenismo169.

182. Il processo di ricezione include una riflessione teo­logica di carattere tecnico sulla tradizione di fede come pure sulla realtà pastorale e liturgica della Chiesa d’oggi. Importanti contributi provengono a questo processo dalla specifica competenza delle facoltà di teologia. Tutto il processo è guidato dall’autorità docente ufficiale della Chiesa, che ha la responsabilità di esprimere il giudizio fi­nale sulle dichiarazioni ecumeniche. Le nuove prospettive, che vengono così accolte, entrano nella vita della Chie­sa e, in un certo senso, rinnovano ciò che favorisce la ri­conciliazione con altre Chiese e comunità ecclesiali.

Il lavoro comune a riguardo della Bibbia

183. La Parola di Dio, consegnata nelle Scritture, ali­menta in diversi modi170 la vita della Chiesa ed è un «ec­cellente strumento nella potente mano di Dio per il rag­giungimento di quella unità, che il Salvatore offre a tut­ti gli uomini»171. La venerazione delle Scritture è un fon­damentale legame di unità tra i cristiani, legame che ri­mane anche quando le Chiese e le comunità ecclesiali al­le quali i cristiani appartengono non sono in piena co­munione le une con le altre. Tutto quello che può essere fatto perché i membri delle Chiese e delle comunità ec­clesiali leggano la Parola di Dio e, se possibile, lo faccia­no insieme (per esempio, le «Settimane bibliche»), rafforza il legame di unità già tra loro esistente, li apre all’azione unificante di Dio e dà maggior forza alla testi­monianza comune resa alla Parola salvifica di Dio e da loro offerta al mondo. La pubblicazione e la diffusione di adeguate edizioni della Bibbia sono condizioni preli­minari all’ascolto della Parola. La Chiesa cattolica, pur continuando a pubblicare edizioni della Bibbia che ri­spondano alle proprie norme ed esigenze, collabora però volentieri con altre Chiese e comunità ecclesiali per rea­lizzare traduzioni e per pubblicare edizioni comuni in conformità con quanto è stato previsto dal concilio Vati­cano Il ed è enunciato nel Diritto canonico172. Essa con­sidera la collaborazione ecumenica in questo campo una forma importante di servizio comune e di comune testi­monianza nella Chiesa e per il mondo.

184. La Chiesa cattolica è impegnata in questa colla­borazione in molti modi e a molti livelli. Il pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, nel 1969, ha ispirato la fondazione della Federazione catto­lica mondiale per l’Apostolato biblico (Federazione bi­blica cattolica), la quale è una organizzazione cattolica internazionale a carattere pubblico, che ha il compito di dare attuazione pastorale al capitolo VI della Dei Ver­bum. In vista di questa finalità, appare auspicabile che, là dove le circostanze lo consentono, tanto a livello di Chiese particolari quanto a livello regionale, si favorisca una collaborazione effettiva tra il delegato per l’ecume­nismo e le locali sezioni della Federazione.

185. Il pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, tramite il Segretariato generale della Federazione biblica cattolica, stabilisce e sviluppa rapporti con l’Alleanza biblica universale, che è l’orga­nizzazione cristiana internazionale con cui il Segretaria­to ha congiuntamente pubblicato le Direttive riguardan­ti la cooperazione intereconfessionale nella traduzione della Bibbia173. Questo documento stabilisce i principi, i mezzi e gli orientamenti pratici di questo particolare ge­nere di collaborazione nel campo biblico, che ha già da­to risultati apprezzabili. Analoghi rapporti e una simile cooperazione con istituzioni che hanno come scopo la pubblicazione e la diffusione della Bibbia, sono incorag­giati ad ogni livello della vita ecclesiale. Essi possono fa­cilitare la cooperazione tra le Chiese e comunità cede­siali per l’attività missionaria, per la catechesi e l’inse­gnamento religioso, come pure per la preghiera e lo stu­dio in comune. Spesso possono portare all’edizione co­mune di una Bibbia, che può essere utilizzata da molte Chiese e comunità ecclesiali di un dato ambito culturale o a scopi più precisi, quali lo studio o la vita liturgica174. Una collaborazione di questo tipo può costituire un an­tidoto contro l’uso della Bibbia secondo una prospettiva fondamentalista o con vedute settarie.

186. I cattolici possono prender parte allo studio delle Scritture insieme con membri di altre Chiese e comunità ecclesiali in parecchi modi e a molti differenti livelli: dal tipo di lavoro che può essere fatto in gruppi di vicinato o parrocchiali fino alla ricerca scientifica tra esegeti di professione. Tale studio, perché abbia un valore ecume­nico, a qualsiasi livello, deve essere fondato sulla fede e nutrire la fede. Spesso sarà tale studio a far vedere chia­ramente, a coloro che vi partecipano, come le posizioni dottrinali delle diverse Chiese e comunità ecclesiali e le differenze dei loro approcci nell’utilizzazione e nell’ese­gesi della Bibbia conducano ad interpretare certi passi in modo diverso. Per i cattolici, è utile che le edizioni delle Scritture delle quali si servono attirino l’attenzione sui passi in cui è impegnata la dottrina della Chiesa. I catto­lici non tralasceranno di affrontare le difficoltà e le dif­ferenze derivanti dall’uso ecumenico delle Scritture con comprensione e lealtà verso l’insegnamento della Chie­sa. Ciò però non impedirà loro di riconoscere quanto siano vicini agli altri cristiani nell’interpretazione delle Scritture. Finiranno così con l’apprezzare la luce gettata dall’esperienza e dalle tradizioni delle diverse Chiese sui passi delle Scritture particolarmente significativi per lo­ro. Saranno aperti alla possibilità di trovare nelle Scrit­ture nuovi punti di partenza per discutere su passi con­troversi. Saranno spinti a scoprire il significato della Pa­rola di Dio in rapporto alle situazioni umane contempo­ranee che condividono con i loro fratelli cristiani. E spe­rimenteranno, con gioia, la potenza unificatrice della Pa­rola di Dio.

Testi liturgici comuni

187. Le Chiese e le comunità ecclesiali i cui membri vivono in un ambiente culturale omogeneo dovrebbero, là dove è possibile, redigere insieme una raccolta dei più importanti testi cristiani (il Padre Nostro, il Simbolo de­gli apostoli, il Credo di Nicea-Costantinopoli, una Dos­sologia trinitaria, il Gloria). Tale raccolta sarebbe desti­nata ad essere usata regolarmente da tutte le Chiese e co­munità ecclesiali, almeno quando pregano in comune, in occasioni ecumeniche. Sarebbe ugualmente auspicabile un accordo su una traduzione del Salterio per l’uso li­turgico, o quanto meno un accordo su alcuni salmi che vengono usati con maggior frequenza. Si raccomanda di cercare un analogo accordo per alcune letture comuni delle Scritture destinate all’uso liturgico. L’uso di pre­ghiere liturgiche e di altre preghiere che risalgono all’epoca della Chiesa indivisa può contribuire ad accre­scere lo spirito ecumenico. Vengono parimenti racco­mandati libri di canto comuni o almeno una raccolta di canti comuni da inserire nei libri di canto delle varie Chiese e comunità ecclesiali; è pure raccomandabile una collaborazione nello sviluppo della musica liturgica. Quando dei cristiani pregano insieme, con una sola vo­ce, la loro comune testimonianza raggiunge i cieli ma è intesa anche sulla terra.

La collaborazione ecumenica

nel campo della catechesi

188. A integrazione dellanormale catechesi, che in ogni modo i cattolici devono ricevere, la Chiesa cattolica riconosce che, in situazioni di pluralismo religioso, la collaborazione nel campo della catechesi può arricchire la sua vita e quella di altre Chiese e comunità ecclesiali, e anche rafforzare la sua capacità di rendere, in mezzo al mondo, una testimonianza comune alla verità del Van­gelo, nella misura attualmente possibile. Il fondamento ditale collaborazione, le sue condizioni e i suoi limiti so­no esposti nell’esortazione apostolica Catechesi tra­dendae:

«Tali esperienze trovano il loro fondamento teologico negli elementi che sono comuni a tutti i cristiani. Tut­tavia, la comunione di fede tra i cattolici e gli altri cri­stiani non è completa e perfetta; ci sono anzi, in certi casi, divergenze profonde. Di conseguenza, questa collaborazione ecumenica è per sua stessa natura li­mitata: essa non deve mai significare una «riduzione» ad un minimum comune. La catechesi, per di più, non consiste soltanto nell’insegnare la dottrina, ma nell’iniziazione a tutta la vita cristiana, facendo parte­cipare pienamente ai sacramenti della Chiesa. Di qui la necessità, laddove sia in atto un’esperienza di colla­borazione ecumenica nel campo della catechesi, di vi­gilare a che la formazione dei cattolici sia ben assicu­rata, nella Chiesa cattolica, in materia di dottrina e di vita cristiana»175.

189. In alcuni paesi, lo Stato o particolari circostanze impongono una forma di insegnamento cristiano comu­ne ai cattolici e agli altri cristiani, insegnamento che comporta libri di testo e la determinazione del contenu­to dei corsi. In questi casi, non si tratta di una vera cate­chesi, né di libri che possano essere usati come catechi­smi. Tuttavia, un tale insegnamento, quando presenta con lealtà elementi di dottrina cristiana, ha un autentico valore ecumenico. Pur apprezzando il valore potenziale ditale insegnamento, resta però indispensabile in questi casi assicurare ai ragazzi cattolici una catechesi specifi­camente cattolica.

190. Quando l’insegnamento della religione nelle scuole è fatto in collaborazione con membri di religioni diverse da quelle cristiane, deve essere compiuto uno sforzo particolare per assicurare che il messaggio cristia­no venga presentato in modo da mettere in evidenza l’unità di fede che esiste tra i cristiani su punti fondamentali, pur spiegando al tempo stesso le divisioni che sussistono e le iniziative intraprese per superarle.

La collaborazione in istituti

d’insegnamento superiore

191. Molte occasioni di collaborazione ecumenica e di testimonianza comune sono offerte dallo studio scienti­fico della teologia e delle discipline ad essa connesse. Ta­le collaborazione è vantaggiosa per la ricerca teologica. Essa migliora la qualità dell’insegnamento teologico, aiutando i professori ad accordare all’aspetto ecumenico delle questioni teologiche l’attenzione che, nella Chiesa cattolica, è richiesta dal decreto conciliare Unitatis re­dintegratio176. Facilita la formazione ecumenica degli operatori pastorali (si veda sopra, al c. III). Aiuta i cri­stiani ad esaminare insieme i grandi problemi intellet­tuali affrontati dagli uomini e dalle donne d’oggi, par­tendo da una base comune di sapienza e di esperienza cristiane. Invece di accentuare la loro differenza, i cri­stiani sono capaci di accordare la dovuta preferenza alla profonda armonia di fede e di comprensione che può esi­stere nella diversità delle loro espressioni teologiche.

Nei seminari e durante il primo ciclo

192. La collaborazione ecumenica, tanto nellostudio quanto nell’insegnamento, è auspicabile già nei pro­grammi della fase iniziale dell’insegnamento teologico, quali sono stabiliti nei seminari e nel primo ciclo delle facoltà di teologia, quantunque a questi livelli lo studio e l’insegnamento ancora non possano seguire il metodo che è proprio della ricerca e di coloro che hanno conclu­so la loro formazione teologica generale. Una condizio­ne di importanza fondamentale per la collaborazione ecumenica a questi livelli superiori, di cui si tratterà ai nn. 196-203, è che i partecipanti abbiano una solida for­mazione nella loro fede e nella tradizione della loro Chiesa. L’istruzione del seminario o del primo ciclo del­la teologia ha come fine di dare allo studente tale forma­zione di base. La Chiesa cattolica, come le altre Chiese e comunità ecclesiali, elabora il programma e i corsi che considera adeguati a questo fine e sceglie direttori e do­centi competenti. La norma è che i docenti dei corsi di dottrina siano cattolici. Di conseguenza, i principi ele­mentari della iniziazione all’ecumenismo e alla teologia ecumenica, che è una componente necessaria della for­mazione teologica di base177, vengono dati da docenti cattolici. Una volta che sono rispettati questi fondamen­tali interessi della Chiesa circa l’obiettivo, il valore, le esigenze di una formazione teologica iniziale — compresi e condivisi da molte altre Chiese e comunità ecclesiali -, gli studenti e i docenti dei seminari cattolici e delle fa­coltà di teologia possono partecipare alla collaborazione ecumenica in diverse maniere.

193. Le norme per promuovere e regolare la collabo­razione tra i cattolici e gli altri cristiani, a livello di semi­nario e di primo ciclo degli studi teologici, devono esse­re fissate dai Sinodi delle Chiese orientali cattoliche e dalle Conferenze episcopali, particolarmente per tutto ciò che riguarda l’istruzione dei candidati all’ordinazio­ne. La commissione ecumenica competente dovrà essere intesa a questo riguardo. Le direttive richieste devono essere incluse nel programma di formazione dci presbi­teri, elaborato in conformità al decreto sulla formazione sacerdotale Optatam totius. Dal momento che gli istitu­ti di formazione per i membri degli ordini religiosi pos­sono egualmente essere interessati a questa forma di col­laborazione ecumenica nella formazione teologica, i su­periori maggiori o i loro delegati devono contribuire a redigere regolamenti secondo il decreto conciliare Chri­stus Dominus178.

194. Gli studenti cattolici possono assistere a corsi speciali che nelle istituzioni, ivi compresi i seminari, vengono tenuti da cristiani di altre Chiese e comunità ec­clesiali, corsi che siano in armonia con i criteri generali per la formazione ecumenica degli studenti cattolici e che rispettino tutte le norme eventualmente stabilite dal Sinodo delle Chiese orientali cattoliche o dalla Confe­renza episcopale. Quando si deve prendere una decisio­ne sull’opportunità o meno che studenti cattolici assista­no a tali corsi speciali, vanno attentamente valutati l’uti­lità del corso nel contesto generale della loro formazio­ne, la qualità e lo spirito ecumenico del docente, il livel­lo di preparazione preliminare degli stessi studenti, la lo­ro maturità spirituale e psicologica. Quanto più le con­ferenze o i corsi si riferiscono da vicino a soggetti dottri­nali, tanto più si dovrà vagliare con cura l’opportunità, per gli studenti, di assistervi. La formazione degli stu­denti e lo sviluppo del loro senso ecumenico esigono gradualità.

195. Nel secondo e terzo ciclo delle facoltà e nei semi­nari, dopo che gli studenti hanno ricevuto la formazione di base, si possono invitare docenti di altre Chiese e co­munità ecclesiali a tenere conferenze sulle posizioni dot­trinali delle Chiese e delle comunità che essi rappresen­tano, al fine di completare la formazione ecumenica che gli studenti stanno ricevendo da parte dei loro docenti cattolici. Tali docenti potranno anche tenere corsi di na­tura tecnica, come, per esempio, corsi di lingue, di co­municazione sociale, di sociologia religiosa, ecc. Stabi­lendo norme per regolare questo tipo di collaborazione, le Conferenze episcopali e i Sinodi delle Chiese orientali cattoliche terranno conto del grado di sviluppo raggiun­to dal movimento ecumenico nel loro paese e della natu­ra delle relazioni tra i cattolici e le altre Chiese e comu­nità ecclcsiali179. Preciseranno, innanzi tutto, come ap­plicare nella propria regione i criteri cattolici sulla quali­ficazione dei docenti, sul periodo del loro insegnamento e sulla loro responsabilità in ordine al contenuto dei cor­si180. Indicheranno pure in che modo l’insegnamento ri­cevuto dagli studenti cattolici in tali corsi potrà essere integrato nell’insieme del loro programma. I docenti in­vitati avranno la qualifica di “conferenzieri invitati”. Se necessario, le istituzioni cattoliche organizzeranno semi­nari o corsi per collocare nel suo contesto l’insegnamen­to impartito dai conferenzieri di altre Chiese o comunità ecclesiali. I docenti cattolici invitati, in analoghe circo­stanze, a tenere conferenze nei seminari e nelle scuole teologiche di altre Chiese, accetteranno di buon grado le medesime condizioni. Un tale scambio di docenti, che ri­spetti gli interessi di ogni Chiesa in ordine alla formazio­ne teologica di base dei propri membri e specialmente di coloro che sono chiamati ad essere suoi ministri, è una efficace forma di collaborazione ecumenica e offre una valida testimonianza comune dell’interesse cristiano per un insegnamento autentico nella Chiesa di Cristo.

Negli istituti superiori e di ricerca teologica

196. A coloro che sono impegnati nella ricerca teolo­gica e a coloro che insegnano ad un livello superiore si apre un campo più vasto di collaborazione ecumenica ri­spetto ai docenti dei seminari o del livello accademico istituzionale. La maturità dei partecipanti (ricercatori, docenti, studenti) e gli studi superiori già compiuti sulla fede e sulla teologia della propria Chiesa, danno alla lo­ro collaborazione una sicurezza e una ricchezza del tut­to particolari, che non ci si può aspettare da coloro che sono ancora impegnati nella formazione istituzionale nelle facoltà o in quella seminaristica.

197. A livello degli studi superiori, la collaborazione è assicurata da esperti che si scambiano le loro ricerche e le condividono con esperti di altre Chiese e comunità ec­clesiali. E attuata da gruppi ecumenici e da associazioni di esperti designati a tale scopo. E assicurata, in modo precipuo, nell’ambito dei vari tipi di relazioni instaurate tra istituzioni per lo studio della teologia che apparten­gono a Chiese diverse. Tali relazioni e la collaborazione che esse favoriscono possono concorrere a dare un ca­rattere ecumenico a tutta l’attività delle istituzioni che vi partecipano. In tale contesto si può arrivare a mettere a disposizione comune il personale, le biblioteche, i corsi, i locali e altri mezzi, così che se ne avvantaggino i ricer­catori, i docenti e gli studenti.

198. La collaborazione ecumenica è particolarmente indicata per gli istituti che sono stati creati, in seno a fa­coltà di teologia già esistenti, per la ricerca e la forma­zione specializzata in teologia ecumenica oppure per l’esercizio pastorale dell’ecumenismo; è pure indicata per gli istituti indipendenti creati per il medesimo scopo. Questi ultimi, sebbene possano appartenere a Chiese particolari o a comunità ecclesiali, avranno un’efficacia maggiore se cooperano attivamente con istituti analoghi che appartengono ad altre Chiese. Da un punto di vista ecumenico, è utile che gli istituti ecumenici abbiano nel loro corpo docente e tra i loro studenti membri di altre Chiese o comunità ecclesiali.

199. La creazione e l’amministrazione di queste istitu­zioni e strutture per la collaborazione ecumenica nello studio della teologia dovrebbero, normalmente, essere affidate a coloro che sono a capo delle istituzioni in que­stione e a coloro che vi svolgono la loro attività pur go­dendo di una legittima libertà accademica. La loro effi­cacia ecumenica esige che agiscano in stretta relazione con le autorità delle Chiese e comunità ecclesiali alle quali appartengono i loro membri. Quando l’istituto im­pegnato in tali strutture di cooperazione fa parte di una facoltà di teologia che già appartiene alla Chiesa cattoli­ca, o è stato costituito dalla Chiesa come un’istituzione separata sotto la sua autorità, il suo rapporto con le au­torità della Chiesa in ordine all’attività ecumenica sarà definito negli articoli dell’accordo di collaborazione.

200. Gli istituti interconfessionali, creatie ammini­strati congiuntamente da alcune Chiese e comunità ec­clesiali, sono particolarmente indicati per trattare que­stioni di interesse comune a tutti i cristiani. Studi in co­mune su argomenti quali l’attività missionaria, le rela­zioni con le religioni non cristiane, l’ateismo e l’incredu­lità, l’uso dei mezzi di comunicazione sociale, l’architet­tura e l’arte sacra e, in campo teologico, l’esegesi delle Scritture, la storia della salvezza e la teologia pastorale, contribuiranno alla soluzione di problemi e all’adozione di programmi capaci di favorire il progresso dell’unità dei cristiani. La responsabilità di questi istituti nei con­fronti delle autorità delle Chiese e delle comunità eccle­siali interessate deve essere definita con chiarezza nei lo­ro statuti.

201. Si possono costituire associazioni o istituti per lo studio in comune di questioni teologiche e pastorali da parte di ministri di diverse Chiese e comunità ecclesiali. Questi ministri, sotto la guida e con l’aiuto di esperti in differenti campi, discutono e analizzano insieme gli aspetti teorici e pratici del loro ministero, in seno alle proprie comunità, nella sua dimensione ecumenica e nel suo contributo alla testimonianza cristiana comune.

202. Il campo di studio e di ricerca, negli istituti di at­tività e di collaborazione ecumenica, può abbracciare l’intera realtà ecumenica, oppure limitarsi a questioni particolari che vengono studiate in profondità. Quando un istituto si specializza nello studio di una disciplina dell’ecumenismo (la tradizione ortodossa, il protestante­simo, la Comunione anglicana, e anche le varie questioni indicate al n. 200), è importante che possa trattare tale disciplina nel contesto di tutto il movimento ecumenico e di tutte le altre questioni che sono collegate con esso.

203. Le istituzioni cattoliche sono incoraggiate a di­ventare membri di associazioni ecumeniche dirette a far progredire il livello dell’insegnamento teologico e ad as­sicurare una migliore formazione a coloro che si prepa­rano al ministero pastorale e una migliore collaborazio­ne tra gli istituti d’insegnamento superiore. Esse saranno parimenti aperte alle proposte — oggi più frequenti — del­le autorità di università pubbliche e non confessionali di aggregare, per lo studio della religione, diversi istituti ad esse collegati. L’appartenenza a queste associazioni ecu­meniche e la partecipazione all’insegnamento in istituti associati devono rispettare la legittima autonomia degli istituti cattolici per quanto concerne il programma di studi, il contenuto dottrinale degli argomenti insegnati e la formazione spirituale e sacerdotale degli studenti che si preparano all’ordinazione.

La collaborazione pastorale in situazioni particolari

204. Se è vero che ogni Chiesa e comunità ecclesiale si occupa della cura pastorale dei propri membri ed è edi­ficata in modo insostituibile dai ministri delle proprie comunità locali, tuttavia ci sono situazioni in cui al biso­gno religioso dei cristiani si potrebbe provvedere molto più efficacemente se gli operatori pastorali ordinati o lai­ci delle diverse Chiese e comunità ecclesiali lavorassero insieme. Tale genere di collaborazione ecumenica può essere attuato con successo nella pastorale degli ospeda­li, delle carceri, dell’esercito, delle università, dei vasti complessi industriali. È altresì efficace per portare una presenza cristiana nel mondo dei mezzi di comunicazio­ne sociale. Appare necessario coordinare accuratamente tali ministeri ecumenici speciali con le strutture pastora­li locali di ogni Chiesa e comunità ecclesiale. Ciò si rea­lizza molto più facilmente quando tali strutture sono animate da spirito ecumenico e attuano la collaborazio­ne ecumenica con le corrispondenti unità locali delle al­tre Chiese e comunità ecclesiali. Il ministero liturgico, specialmente quello dell’Eucaristia e degli altri sacra­menti, in simili situazioni di collaborazione, è assicurato in conformità alle norme che ogni Chiesa o comunità ecclesiale stabilisce per i propri membri; per i cattolici tali norme sono esposte nel capitolo IV di.questo Direttorio.

La collaborazione nell’attività missionaria

205. La testimonianza comune data mediante tutte le forme di collaborazione ecumenica è già per se stessa missionaria. Il movimento ecumenico, infatti, è andato di pari passo con la riscoperta, da parte di molte comu­nità, della natura missionaria della Chiesa. La collabora­zione ecumenica dimostra al mondo che coloro che cre­dono in Cristo e vivono del suo Spirito, essendo diventa­ti figli di Dio, che è Padre di tutti, possono tentare di su­perare, con coraggio e speranza, le divisioni umane an­che in materie tanto delicate quali sono la fede e la pra­tica religiosa. Le divisioni esistenti tra i cristiani sono in­dubbiamente un grave ostacolo al buon esito della evan­gelizzazione181. Ma gli sforzi che sono stati compiuti per vincerle offrono un grande contributo per compensare lo scandalo e rendere credibili i cristiani nel proclamare che Cristo è Colui nel quale tutte le persone e le cose so­no ricapitolate nell’unità:

«In quanto evangelizzatori, noi dobbiamo offrire ai fedeli di Cristo l’immagine non di uomini divisi e se­parati da litigi che non edificano affatto, ma di perso­ne mature nella fede, capaci di ritrovarsi insieme al di sopra delle tensioni concrete, grazie alla ricerca co­mune, sincera e disinteressata della verità. Sì, la sorte dell’evangelizzazione è certamente legata alla testi­monianza di unità data dalla Chiesa. E questo un mo­tivo di responsabilità ma anche di conforto»182.

206. La testimonianza ecumenica può essere data nel­la stessa attività missionaria. Per i cattolici, le basi della collaborazione ecumenica con gli altri cristiani nella missione sono il «fondamento del battesimo e il patri­monio di fede che ci è comune»183. Le altre Chiese e co­munità ecclesiali che conducono i fedeli alla fede in Cri­sto Salvatore e nel battesimo nel nome del Padre e del Fi­glio e dello Spirito santo, li conducono nella comunione reale, benché imperfetta, che esiste tra loro e la Chiesa cattolica. I cattolici ben vorrebbero che tutti coloro che sono chiamati alla fede cristiana si unissero a loro in quella pienezza di comunione che, secondo la loro fede, esiste nella Chiesa cattolica, e tuttavia riconoscono che, secondo la Provvidenza di Dio, alcuni passeranno tutta la loro vita cristiana in Chiese o comunità ecclesiali che non assicurano tale pienezza di comunione. I cattolici saranno molto attenti a rispettare la fede viva delle altre Chiese e comunità ecclesiali che predicano il Vangelo, e si compiaceranno del fatto che la grazia di Dio opera in mezzo a loro.

207. I cattolici possono unirsi alle altre Chiese e co­munità ecclesiali — purché non vi sia nulla di settario o di volutamente anticattolico nella loro attività di evangeliz­zazione — in organizzazioni e per programmi che offrono un sostegno comune all’azione missionaria di tutte le Chiese partecipanti. Uno dei principali obiettivi di simi­le collaborazione sarà quello di garantire che i fattori umani, culturali e politici che non erano estranei, alle origini, alle divisioni tra le Chiese, e che hanno segnato la tradizione storica della separazione, non siano tra-piantati nei luoghi dove viene predicato il Vangelo e do­ve vengono fondate Chiese. Coloro che sono stati man­dati da Società missionarie, per dare il loro apporto alla fondazione e alla crescita di nuove Chiese, saranno par­ticolarmente sensibili a tale necessità. E bene che i ve­scovi vi dedichino una particolare attenzione. E compito dei vescovi stabilire se sia necessario insistere in modo speciale su punti di dottrina o di morale a proposito dei quali i cattolici differiscono dalle altre Chiese e comu­nità ecclesiali, e queste ultime potranno trovar necessa­rio agire nello stesso modo nei riguardi del cattolicesi­mo. Ciò, comunque, va fatto non con spirito aggressivo o settario, ma con amore e rispetto reciproco184. I nuovi convertiti alla fede saranno premurosamente formati nello spirito ecumenico, in modo che

«i cattolici, esclusa ogni forma sia di indifferentismo e di confusionismo, sia di sconsiderata concorrenza, at­traverso una comune, per quanto è possibile, profes­sione di fede in Dio e in Gesù Cristo di fronte alle gen­ti, attraverso la cooperazione nel campo tecnico e so­ciale come in quello religioso e culturale, collaborino fraternamente con i fratelli separati, secondo le nor­me del decreto sull’ecumenismo»185.

208. La collaborazione ecumenicaè soprattutto ne­cessaria nella missione fra le masse scristianizzate del mondo contemporaneo. La capacità per cristiani ancora divisi di dare, fin d’ora, una testimonianza comune alle verità centrali del Vangelo può costituire un forte richia­mo a rinnovare la stima per la fede cristiana in una so­cietà secolarizzata. Una valutazione comune delle forme di ateismo, di secolarizzazione e di materialismo, che so­no all’opera nel mondo d’oggi, e un modo comune di oc­cuparsene, gioverebbero molto alla missione cristiana nel mondo contemporaneo.

209. Un posto speciale deve essere dato alla collabo­razione tra i membri di diverse Chiese e comunità eccle­siali per quel che concerne la riflessione, di cui si ha co­stantemente bisogno, sul senso della missione cristiana, sul modo di avviare il dialogo della salvezza con i mem­bri delle altre religioni e sul problema generale del rap­porto tra la proclamazione del Vangelo di Cristo e le cul­ture e gli indirizzi di pensiero del mondo contempora­neo.

La collaborazione ecumenica nel dialogo con altre religioni

210. Nel mondo d’oggi, i contatti tra cristiani e perso­ne di altre religioni si fanno sempre più numerosi. Tali contatti sono radicalmente diversi rispetto ai contatti tra le Chiese e le comunità ecclesiali, che hanno come fine la ricomposizione dell’unità voluta da Cristo tra tutti i suoi discepoli e che, a ragione, sono detti ecumenici. Essi però, in pratica, sono profondamente influenzati da que­sti ultimi e, a loro volta, influenzano le relazioni ecume­niche, mediante le quali i cristiani possono approfondire il grado di comunione esistente tra loro. Tali contatti co­stituiscono una parte importante della cooperazione ecumenica. Ciò vale specialmente per tutto quello che si fa al fine di sviluppare i rapporti religiosi privilegiati che i cristiani intrattengono con il popolo ebreo.

Per i cattolici, le direttive riguardanti le loro relazioni con gli ebrei sono dettate dalla Commissione per i rap­porti religiosi con l’ebraismo, mentre le norme per le re­lazioni con i membri di altre religioni sono impartite dal pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Nello stabilire rapporti religiosi con gli ebrei e nei loro rappor­ti con membri di altre religioni, in conformità alle diret­tive che li regolano, i cattolici possono trovare molte oc­casioni di collaborazione con membri di altre Chiese e comunità ecclesiali. Vi sono molti ambiti nei quali i cri­stiani possono collaborare con gli ebrei in un dialogo e in un’azione comune, per esempio lottando insieme con­tro l’antisemitismo, il fanatismo religioso e il settarismo. La collaborazione con altri credenti può prefiggersi lo scopo di promuovere le prospettive religiose nei proble­mi della giustizia e della pace, del sostegno alla vita fa­miliare, del rispetto verso le comunità minoritarie; tale collaborazione però può anche affrontare i problemi nu­merosi e nuovi del nostro tempo. In tali contatti interre­ligiosi i cristiani, insieme, possono appellarsi alle loro comuni sorgenti bibliche e teologiche, contribuendo co­sì a portare una visione cristiana in questo contesto al­largato, in un modo che giovi, ad un tempo, all’unità cri­stiana.

La collaborazione ecumenica nella vita sociale e culturale

211. La Chiesa cattolica considera la collaborazione ecumenica nella vita sociale e culturale un aspetto im­portante dell’azione che tende all’unità. Il decreto sull’ecumenismo ritiene che questa cooperazione espri­ma limpidamente il legame che unisce tutti i battezza­ti187. E per questo che incoraggia e appoggia forme molto concrete di collaborazione:

«Questa cooperazione, già attuata in non poche na­zioni, deve essere sempre più perfezionata — special­mente nelle nazioni dove sta compiendosi l’evoluzio­ne sociale o tecnica — sia nello stimare rettamente la dignità della persona umana, sia nel promuovere il bene della pace, sia nell’attuare l’applicazione sociale del Vangelo, sia nel far progredire con spirito cristia­no le scienze e le arti, come pure nell’usare i rimedi di ogni genere per alleviare le miserie del nostro tempo, quali sono la fame e le calamità, l’analfabetismo e l’in­digenza, la mancanza di abitazioni e la non equa di­stribuzione dei beni»188.

212. Principio generale è che la collaborazione ecume­nica nella vita sociale e culturale deve essere realizzata nel contesto globale della ricerca dell’unità dei cristiani. Quando essa non si associa ad altre espressioni ecume­niche, soprattutto alla preghiera e alla condivisione spi­rituale, può facilmente confondersi con interessi ideolo­gici o puramente politici e diventare così un ostacolo al progresso verso l’unità. Come ogni altra forma di ecu­menismo, richiede la supervisione del Vescovo del luogo o del Sinodo delle Chiese orientali cattoliche o della Conferenza episcopale.

213. Attraverso tale collaborazione, tutti coloro che credono in Cristo possono facilmente imparare a meglio conoscersi gli uni gli altri, a maggiormente stimarsi e ad appianare la via verso l’unità dei cristiani189. In numero­se occasioni il papa Giovanni Paolo Il ha ribadito l’im­pegno della Chiesa cattolica nella collaborazione ecume­nica190. La medesima affermazione è stata espressa nella dichiarazione comune del cardinale Johannes Wille­brands e del dr. Philip Potter, segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, in occasione della vi­sita del Santo Padre alla sede centrale del Consiglio ecu­menico, a Ginevra, nel l984 191. E in questa prospettiva che il Direttorio ecumenico presenta alcuni esempi di collaborazione, a diversi livelli, ma senza alcuna pretesa di essere esaustivo192.

a)  La collaborazione nello studio comune delle questioni sociali ed etiche                                                                                                                                         

214. Le Conferenze episcopali regionali o nazionali, in collaborazione con altre Chiese e comunità ecclesiale e anche con Consigli di Chiese, possono costituire gruppi con l’intento di dare espressione comune ai valori cri­stiani e umani fondamentali. Un simile discernimento fatto in comune può concorrere a fornire un importante punto di partenza per affrontare in modo ecumenico questioni di natura sociale cd etica; ciò aiuta a sviluppa­re la dimensione morale e sociale della comunione non piena di cui già godono i cristiani di diverse Chiese e co­munità ecclesiali.

Il fine di uno studio di questo genere condotto in co­mune è di promuovere una cultura cristiana, una «civiltà dell’amore»: l’umanesimo cristiano di cui spesso hanno parlato i papi Paolo VI e Giovanni Paolo II. Per costrui­re tale cultura, dobbiamo stabilire con chiarezza quali siano i valori che la costituiscono e quali quelli che la mi­nacciano. Di conseguenza, è evidente che tale studio comporterà, per esempio, un riconoscimento del valore della vita, del senso del lavoro umano, delle questioni della giustizia e della pace, della libertà religiosa, dei di­ritti dell’uomo e dei diritti alla terra. Esso dovrà anche porre l’accento sui fattori che nella società minacciano alcuni valori fondamentali; fattori quali la povertà, il razzismo, il consumismo, il terrorismo e tutto quello che minaccia la vita umana in qualsiasi stadio del suo svi­luppo. La lunga tradizione dell’insegnamento sociale della Chiesa cattolica potrà abbondantemente fornire di­rettive e ispirazioni per questo genere di collaborazione.                                                                                                                                                             

  1. La collaborazione nell’ambito dello sviluppo, dei bisogni umani e della salvaguardia della creazione

215. C’èun intrinseco legame tra lo sviluppo, i bisogni umani e la salvaguardia della creazione. L’esperienza ci ha insegnato che lo sviluppo che risponde ai bisogni umani non può fare cattivo uso o abusare delle risorse naturali senza gravi conseguenze.

La responsabilità della tutela della creazione, la quale ha in se stessa la propria particolare dignità, è stata data dallo stesso Creatore a tutti i popoli in quanto custodi della creazione193. A vari livelli, si incoraggiano i cattoli­ci a partecipare ad iniziative comuni destinate a studiare e affrontare problemi che minacciano la dignità della creazione e mettono in pericolo l’intera razza umana. Al­tri ambiti di studio e intervento possono essere, per esempio, certe forme di rapida industrializzazione e di tecnologia non controllate, che causano l’inquinamento dell’ambiente naturale e hanno gravi conseguenze per l’equilibrio ecologico, come la distruzione di foreste, gli esperimenti nucleari e l’uso irrazionale o il cattivo uso delle risorse naturali, rinnovabili e non rinnovabili. Un aspetto importante dell’azione comune in questo campo consiste nell’insegnare agli uomini tanto ad usare le ri­sorse naturali quanto a pianificarne l’uso e a salvaguar­dare la creazione.

L’ambito dello sviluppo, che è principalmente una ri­sposta ai bisogni umani, offre una vasta gamma di possi­bilità per la collaborazione tra la Chiesa cattolica e le Chiese e comunità ecclesiali a livello regionale, naziona­le e locale. Tale collaborazione può comprendere, tra l’altro, l’impegno per una società più giusta, per la pace, per il riconoscimento dei diritti e della dignità della don­na e per una più equa distribuzione delle risorse. In que­sto senso, sarà possibile assicurare un servizio comune dei poveri, degli ammalati, degli handicappati, delle per­sone anziane e di tutti coloro che soffrono a causa di in­giuste «strutture di peccato»194. La collaborazione in questo campo è particolarmente raccomandata là dove c’è una forte concentrazione della popolazione, con gra­vi conseguenze per l’ambiente, il cibo, l’acqua, il vestia­rio, l’igiene e le cure mediche. Un aspetto importante della collaborazione in tale campo sta nell’occuparsi dei problemi dei migranti, dei rifugiati, delle vittime di cata­strofi naturali. In casi d’urgenza su scala mondiale, la Chiesa cattolica raccomanda che, per motivi di efficacia e di costo, risorse e servizi vengano messi a disposizione degli organismi internazionali di Chiese. Consiglia anche la collaborazione ecumenica con organizzazioni interna­zionali specializzate in materia.

c) La collaborazione nel campo della sanità

216. Tutto il campo della sanità offre occasioni molto importanti per la collaborazione ecumenica. In alcuni paesi la collaborazione ecumenica delle Chiese in pro­grammi di interventi sanitari è essenziale perché possa­no essere assicurate adeguate cure. Tuttavia, la collabo­razione in questo campo, sia a livello della ricerca sia a livello degli interventi, sempre più solleva problemi di etica medica, che rappresentano ad un tempo una sfida e una opportunità per la collaborazione ecumenica. Il dovere, cui sopra si è accennato, di precisare i valori fon­damentali che sono parti integranti della vita cristiana, si rivela qui particolarmente urgente, dato il rapido svilup­po di campi quale la genetica. In tale contesto, le indica­zioni del documento del 1975 sulla «collaborazione ecu­menica » sono particolarmente pertinenti: « Soprattutto quando sono in causa le leggi morali, la posizione dottri­nale della Chiesa cattolica deve essere resa nota esplici­tamente e le difficoltà che possono derivarne per la col­laborazione ecumenica devono essere prese in conside­razione in tutta onestà e lealtà nei confronti dell’inse­gnamento cattolico»195.

  1. La collaborazione nei mezzi di comunicazione sociale

217. In questo campo è possibile collaborare in ordine alla comprensione della natura dei mezzi moderni di co­municazione sociale e in particolare della sfida che essi lanciano ai cristiani d’oggi. La collaborazione può incen­trarsi sui modi per far entrare i principi cristiani nei mez­zi di comunicazione sociale, sullo studio dei problemi che esistono al riguardo e anche sull’educazione della gente ad un uso critico ditali mezzi. I gruppi intercon­fessionali possono riuscire particolarmente efficaci co­me comitati consultivi per i mezzi pubblici di comunica­zione sociale, soprattutto quando si tratta di soggetti re­ligiosi. Essi possono essere di singolare utilità nei paesi in cui la maggioranza degli spettatori, degli ascoltatori o lettori appartengono a una sola Chiesa e comunità eccle­siale. «Le occasioni per una collaborazione in questo campo sono pressoché illimitate. Alcune sono evidenti: programmi comuni radiofonici e televisivi; progetti e servizi educativi, specialmente per i genitori e i giovani; riunioni e discussioni tra professionisti che possono por­si a livello internazionale; collaborazione nella ricerca nei mezzi di comunicazione, specialmente ai fini della formazione professionale e dell’educazione»196. Là dove già esistono strutture interconfessionali, con piena par­tecipazione cattolica, occorrerà rafforzarle soprattutto per l’uso della radio, della televisione, per la stampa e gli audiovisivi. E bene anche che ogni organismo parteci­pante abbia la possibilità di parlare della propria dottri­na e della propria vita concreta197.

218. Talvolta può essere importante agire in collabo­razione di scambio, cioè attraverso la partecipazione di operatori cattolici della comunicazione a iniziative di al­tre Chiese e comunità ecclesiali e viceversa. La collabo­razione ecumenica può comprendere scambi tra le orga­nizzazioni cattoliche internazionali e le organizzazioni della comunicazione di altre Chiese e comunità ecclesia­li (come, per esempio, in occasione della celebrazione della Giornata mondiale della comunicazione sociale).

Anche l’uso comune di satelliti e di reti televisive via ca­vo può costituire un esempio di collaborazione ecumeni­ca198. E evidente che un simile genere di collaborazione va realizzata a livello regionale in rapporto con le com­missioni ecumeniche e a livello internazionale con il pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cri­stiani. La formazione degli operatori cattolici della co­municazione sociale deve comprendere una seria prepa­razione ecumenica.

*

Sua Santità papa Giovanni Paolo II ha approvato il presente Direttorio il 25 marzo 1993. L’ha confermato con la sua autorità e ne ha ordinato la pubblicazione. Nonostante qualsiasi disposizione in contrario.

Cardinale EDWARD IDRIS CASSIDY

Presidente

PIERRE DUPREY

Vescovo tit. di Thibaris

Segretario


NOTE

  1. Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani (SPUC), Di­rettorio ecumenico, Ad totam Ecclesiam, AAS 1967, 574-592; AAS 1970, 705-724.
  2. Discorso del papa Giovanni Paolo TI all’assemblea generale del SPUC, 6febbraio 1988, AAS 1988, 1203.
  3. Tra essi vanno ricordati il Motu proprio Matrimonia mixta, AAS 1970, 257-263; le Riflessioni e suggerimenti riguardanti il dialogo ecu­menico, SPUC, Servi ce d’information (SI) 12, 1970, pp. 3-11; l’Istru­zione sui casi particolari di ammissione di altri cristiani alla comunio­ne eucaristica nella Chiesa cattolica, AAS 1972, 5 18-525; la Nota su alcune interpretazioni della «Istruzione sui casi particolari di ammis­sione di altri cristiani alla comunione eucaristica nella Chiesa cattoli­ca», AAS 1973, 616-6 19; il documento sulla Collaborazione ecumeni­ca a livello nazionale e a livello locale, SPUC, SI, 29, 1975, pp. 8-34; l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (EN) del 1975; la costitu­zione apostolica Sapientia christiana (SapC) sulle università e facoltà ecclesiastiche (1979), l’esortazione apostolica Catechesi tradendoe (CT) del 1979, e la Relatio finalis del Sinodo straordinario dei vescovi del 1985; la Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis della Con­gregazione per l’educazione cattolica, Roma 1985; la costituzione apo­stolica Ex corde Ecclesioe, AAS 1990, 1475-1509.
  1. AAS 1988, 1204.
  1. Cfr. CIC, can. 755; CCEO, cann. 902 e 904, § 1. In questo Diret­torio l’aggettivo «cattolico» è riferito ai fedeli e alle Chiese che sono in piena comunione con il Vescovo di Roma.
  2. Cfr. infra, nn. 35 e 36.
  1. La costituzione apostolica Pastor bonus (1988) afferma:

«Art. 135: Funzione del Consiglio è di applicarsi con opportune inizia­tive e attività all’impegno ecumenico per ricomporre l’unità tra i cri­stiani.

«Art. 136: § I. Esso cura che siano tradotti in pratica i decreti del con­cilio Vaticano Il concernenti l’ecumenismo. Si occupa della retta in­terpretazione dei principi ecumenici e ne cura l’esecuzione. § 2. Favo­risce convegni cattolici sia nazionali che internazionali atti a promuo­vere l’unità dei cristiani, li collega e coordina e vigila sulle loro inizia­tive. § 3. Sottoposte preventivamente le questioni al Sommo Pontefi­ce, cura le relazioni con i fratelli delle Chiese e delle comunità eccle­siali, che non hanno ancora piena comunione con la Chiesa cattolica, e soprattutto promuove il dialogo e i colloqui per favorire l’unità con es­se, avvalendosi della collaborazione di esperti ben preparati nella dot­trina teologica. Designa gli osservatori cattolici per i convegni tra cristiani e invita gli osservatori delle altre Chiese e comunità ecclesiali ai convegni cattolici, tutte le volte che ciò parrà opportuno.

«Art. 137: § 1. Poiché la materia che questo dicastero deve trattare per sua natura tocca spesso questioni di fede, è necessario che esso proce­da in stretto collegamento con la Congregazione per la Dottrina della fede, soprattutto quando si tratta di emanare pubblici documenti o di­chiarazioni. § 2. Nel trattare affari di maggior importanza, che riguar­dano le Chiese separate d’Oriente, deve prima consultare la Congrega­zione per le Chiese orientali».

  1. Salvo indicazione contraria, l’espressione «Chiesa particolare» è usata in questo Direttorio per designare una diocesi, una eparchia o una circoscrizione ecclesiastica equivalente.
  2. Cv 17,21; cfr. Ef 4,4.
  3. Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium (LG), n. 1.
  4. Cfr. LG, nn. 1-4 e il decreto conciliare sull’ecumenismo, Unita­tis redintegratio (UR), n. 2.
  1. UR n. 2.
  1. Cfr. LG, nn. 2 e 5.
  1. UR, n. 2; cfr. Ef 4,12.
  1. Cfr. LG, c. III.
  1. Cfr. At 2,42.
  1. “Cfr. Relatio finalis del Sinodo straordinario dei vescovi del 1985:

«L’ecclesiologia di comunione è l’idea centrale e fondamentale dei do­cumenti conciliano (C, 1); cfr. Congregazione per la dottrina della fe­dè, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione (28 maggio 1992).

  1. Cfr. LG, n. 14.
  1. decreto sull’ufficio pastorale dei vescovi nella Chiesa, Christus Dominus (CD), n. 11.
  2. Cfr. LG, n. 22.
  1. Cv 17,21.
  1. LG, n. 8.
  2. LG n. 9.
  1. Cfr. UR, nn. 3 e 13.
  2. Cfr. UR, n. 3: «Non v’è dubbio che, per le divergenze che in vari modi esistono tra loro [coloro che credono in Cristo] e la Chiesa cat­tolica, sia nel campo della dottrina e talora anche della disciplina, sia circa la struttura della Chiesa, impedimenti non pochi, e talvolta pro­prio gravi, si oppongono alla piena comunione ecclesiale, al superamento dei quali tende appunto il movimento ecumenico». Divergenze della stessa natura continuano ad esercitare la loro influenza e provo­cano a volte nuove divisioni.
  3. UR, n. 3.
  1. UR, n. 4.
  1. Cfr. UR, nn. 14-18. Il termine «ortodosso» è generalmente usato per indicare le Chiese orientali che accettano le decisioni dei concili di Efeso e di Calcedonia. Tuttavia, recentemente questo termine, per ra­gioni storiche, è stato riferito anche alle Chiese che non accettarono al­cune formule dogmatiche dell’uno o dell’altro dei due concili citati (cfr. CR, n. 13). Al fine di evitare ogni confusione, in questo Diretto­rio, l’espressione generale «Chiese orientali’> sarà usata per indicare tutte le Chiese delle diverse tradizioni orientali che non sono in piena comunione con la Chiesa di Roma.
  2. Cfr. CR, nn. 2 1—23.
  3. Ibid., n. 3.
  4. Cfr. ibid., n. 4.
  5. UR n. 2; LG, n. 14; CIC, can. 205; CCEO, can. 8.
  6. Cfr. UR, nn. 4 e 15—16.
  7. Relatio finalis del Sinodo straordinario dei vescovi (1985), C, 7.
  8. Cfr. Gv 17,21.
  9. Cfr. Rm 8,26—27.
  10. Cfr. CR, n. 5.
  11. Cfr. infra, nn. 92—101.
  12. In questo Direttorio quando si parla di «Ordinario del luogo» ci si riferisce anche ai «Gerarchi del luogo delle Chiese orientali», secon­do la terminologia del CCEO.
  13. Per «Sinodi delle Chiese orientali cattoliche» si intendono le au­torità superiori delle Chiese orientali cattoliche sui iuris come contem­plato nel CCEO.
  14.  Cfr. Dichiarazione conciliare Dignitatis humane (DH), o. 4:

«Nel diffondere la fede religiosa e nell’introdurre usanze ci si deve sempre astenere da ogni genere di azione che sembri avere sapore di coercizione o di sollecitazione disonesta o scorretta, specialmente quando si tratta di persone incolte o bisognose». Al tempo stesso, si deve affermare, con la medesima Dichiarazione, che «le comunità reli­giose hanno il diritto di non essere impedite di insegnare e di testimo­niare pubblicamente la propria fede a voce e per iscritto» (Ibid.).

  1. Cfr. UR  nn. 9—12; 16—18.
  2. UR n. 8.
  3. 1Cor 13,7.
  4. Cfr. UR, n. 3.
  5. Cfr. LG, n. 23; CD, n. 11; CIC, can. 383, § 3 e CCEO, can. 192, § 2.
  6. Cfr. CIC, can. 755, § 1; CCEO, cann. 902 e 904, § 1.
  7. Cfr. CIC, cann. 216 e 212; CCEO, cann. 19 e 15.
  8. Cfr. Il fenomeno delle sètte o nuovi movimenti religiosi: una sfi­da pastorale, Rapporto congiunto basato sulle risposte (circa 75) e la documentazione ricevute entro il 30 ottobre 1985 dalle Conferenze episcopali regionali o nazionali, SPUC, SI 61, 1986, pp. 158-169.
  9. Cfr. infra, nn. 166-171.
  10. UR, n. 4.
  11. Cfr. CCEO, can. 904, § 1; CIC, can. 755, § 2.
  12. Cfr. UR, nn. 9 e 11; cfr. anche Riflessioni e suggerimenti concer­nenti il dialogo ecumenico, op. cit.
  13. Cfr. UR, n. 12; decreto conciliare sull’attività missionaria della Chiesa, Ad gentes (AG), n. 12 e La collaborazione ecumenica a livel­lo..., op. cit., n. 3.
  14. Cfr. UR, n. 5.

n.         15; cfr. anche ibid., nn. 5 e 29; cfr. EN, nn. 23, 28 e 77; inoltre cfr. infra, nn. 205-209.

“CR, n. 5.

‘~ CR, n. 7.

“CR, n. 6. Ambrosiaster, PL 17,245.

Cfr. CIC, can. 209, § 1; CCEO, can. 12, § 1.

62 Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione Dei Verbum (DV), n. 21.

Cfr. CR, n. 21.

‘~ EN, n. 77.

~‘ Cfr. CR, n. 11; AG, n. 15. Per queste considerazioni, cfr. Diretto­rio catechistico generale, nn. 27,43 e infra, nn. 75 e 176.

>‘Cfr. CR, no. 3-4.

“CT, n. 32 e CCEO, can. 625.

68 Cfr. CT, n. 32.

Cfr. ibid.

Cfr. CR, n. 6 e costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo con­temporaneo Gaudium et spes (GS), n. 62.

Per quel che concerne la collaborazione ecumenica nel campo della catechesi, cfr. CT, n. 33, e infra, nn. 188-190.

02 Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium (SC), n. 14.

“Ibid.,n.2.

74CR,n. 2.

n.         48.

“CR, n. 8.

7Cfr. ibid., n. 7.

Cfr. LG, o. 15 e CR, n. 3.

~‘ Cfr. infra, nn. 102-142.

Cfr. infra, nn. 161-218.

‘LG,n. 11.

82 Cfr. EN, n. 71; cfr. anche infra, nn. 143-160.

85 Esortazione apostolica Familiaris consortio (PC), n. 78.

84 Cfr. CIC, can. 529, § 2.

85 Cfr. Dichiarazione conciliare Gravissimum educationis (GE), nn. 6-9.

Cfr. LG, n. 31.

87 CR, n. 24.

>8 Cfr. GS, o. 62, § 2; CR, n. 6; Mysterium Ecclesiw (ME), n. 5.

>‘~4~4s 1973, 402-404.

Direttorio ecumenico, A.4S 1970, 705-724.

“Cfr. ME, n. 4; cfr. anche supra, n. 61a e infra n. 176.

92 CR, n. 10; cfr. CIC, can. 256, § 2; CCEO, cann. 350, § 4 e 352~ § 3.

“Cfr. CR, nn. 14-17.

“Cfr. CR, o. I.

Cfr. ibid., c. III.

56 Cfr. supra, nn. 76-80.

“Cfr. infra, no. 194-195.

98 Cfr. infra, nn. 192-194.

decreto conciliare Perfect.~e caritatis (PC), n. 2.

°° Cfr. supra, nn. 50-51.

°> Cfr. SapC, «Norme di applicazione», art. 51, 1°, b.

102 SapC, o. 69.

Cfr. CR, o. 22

04 Cfr. ibid.

05 Per tutti i cristiani si deve tener conto del rischio d’invalidità del battesimo conferito con l’aspersione, soprattutto collettiva.

o>        Cfr. Direttorio ecumenico,44S 1967, 574-592.

Cfr. CIC, can. 874, § 2. In base alla precisazione contenuta negli Acta Commissionis (Communicationes 5, 1983, p. 182), l’espressione communitas ecclesialis non include le Chiese orientali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica (ooNotatur insuper Ecclesias Orientales Orthodoxas in schemate sub nomine communitatis eccle­sialis non venire»).

‘o~ Cfr. Direttorio ecumenico, n. 48, AAS 1967, 574-592; CCEO, can. 685, § 3.

o~ Cfr. CR, n. 4; CCEO, cann. 896-901.

>o Cfr. CR, o. 4.

Cfr. CIC, can. 869, § 2, e supra, o. 95.

12 Cfr. CIC, can. 869, §~ 1 e 3.

Cfr. CR, o. 8.

Cfr. UR, no. 3 e 8; infra, o. 116.

Cfr. LG, n. 8; CR, o. 4.

Cfr. CR, o. 3.

Cfr. ibid., no. 3, 15, 22.

Cfr. CIC, can. 908; CCEO, can. 702. Cfr. CR, o. 8.

20 Cfr. SC, n. 106.

Cfr. CCEO, cao. 881, § 1; dC. can. 1247.

122 Cfr. CIC, can. 1247; CCEO, cao. 881, § I.

123 Cfr. dC, can. 1183, § 3; CCEO, can. 876, § 1.

124 Cfr. CIC, can. 1184; CCEO, can. 887.

125 Cfr. CR, n. 14.

2>Ibid., o. 15.

27 Ibid.

28 Cfr. CIC, can. 844, § 2 e CCEO, can. 671, § 2.

129 Cfr. CIC, cao. 844, § 3; CCEO, can. 671, § 3 e cfr. supra, n. 106.

‘~o       Cfr. CIC, cao. 840 e CCEO, can. 667.

Cfr. CR, n. 3.

32 CR, o. 22.

Cfr. CR, o. 8; CIC, can 844, § 1 e CCEO, can. 671, § 1.

Cfr. CIC, can. 844, § 4 e CCEO, can. 671, § 4.

Per stabilire tali norme, ci si riferirà ai seguenti documenti: Istru­zione sui casi particolari di ammissione di altri cristiani alla comunio­ne eucaristica nella Chiesa cattolica (1972) e Nota su alcune interpre­tazioni della «Istruzione sui casi particolari di ammissione di altri cri­stiani alla comunione eucaristica nella Chiesa cattolica» (1973).

Cfr. CIC, can. 844, § 5 e CCEO, can. 671, § 5.

Cfr. CIC, can. 844, § 4 e CCEO, can. 671, § 4.

38 Cfr. CIC, can. 767, § 1 e CCEO, can. 614, § 4.

Cfr. CIC, can. 1124 e CCEO, can. 813.

“° Cfr. PC, o. 78.

Cfr. CR, n. 3.

2Cfr. CIC,cann. 1125, 1126eCCEO,cann. 814, 815.

143 Cfr. dC, can. 1366 e CCEO, can. 1439.

“~ CR, n. 15.

Cfr. CIC, can. 1127, § 1 e CCEO, can. 834, § 2.

Cfr. CIC, can. 1108, § i e CCEO, can. 834, § 1.

Cfr. CCEO, can. 835.

48 Cfr. CIC, can. 1127, § 2.

Ibid.

Cfr. CIC, can. 1127, § 3 e CCEO, cao. 839.

‘~‘ Ordo celebrandi Matrimonium, o. 8.

52 Cfr. supra, o. 125.

~‘ Cfr. supra, no. 129-131.

Cfr. sopra, no. 125, 130 e 131.

‘~‘ Cfr. supra, o. 132.

‘~> CR, o. 12.

Lettera enciclica Redemptor hominis (RH), o. 12.

In questo contesto, il termine «Chiesa» deve generalmente esse­re inteso nel senso sociologico, piuttosto che nel senso strettamente teologico.

SPUC, La collaborazione ecumenica a livello..., op. cit., o. 4 Ac.

“° Le Conferenze episcopali e i Sinodi delle Chiese orientali cattoli­che avranno cura di non autorizzare la partecipazione di cattolici a Consigli nei quali si trovino gruppi che non sono veramente conside­rati come comunità ecclesiali.

Cfr. CR, o. 9.

°2CR,n. 11.

‘>~ Op. cit., o. 4, b; cfr. anche CR, n. 11 e ME, o. 4; cfr. inoltre so­pra, no. 61/a, 74-75 e infra, o. 181.

Cfr. lTs 2,13.

Cfr. Cd 3

Cfr. LG, o. 12. ‘>~ Ibid.

‘»Cfr. CR, n. 6 e CS, o. 62.

Cfr. CR, o. 11.

“° Cfr. DV, c. VI.

CR, n. 21.

Cfr. CIC, can. 825, § 2 e CCEO, can. 655, § i.

Edizione riveduta nel 1987 del documento del 1968, in SI dello SPUC, o. 65, pp. 150—156.

>‘> In conformità alle norme del dC, caon. 825-827, 838, del CCEO, cann. 655-659, 668, e del decreto della Sacra Congregazione per la dottrina della fede Ecclesi~ pastorum sulla vigilanza dei Pastori della Chiesa riguardo ai libri (19 marzo 1975), A45 1975, 281-284.

~ CT, o. 33.

“>Cfr.on. 10-11.

~          Cfr. sopra, o. 70, e la Lettera circolare dello SPUC ai vescovi sull’insegnamento ecumenico, o. 6, in SI, n. 62, 1986, p. 214.

Cfr. n. 35, 5-6.

79 Cfr. SPUC, Lettera circolare sull’insegnamento ecumenico, op. cit., n. lOa.

Cfr. ibid.

181 Cfr. UR, n. 1.

82 EN, n. 77.

Ibid.

84 Cfr. AG, n. 6.

85Ibid., n. 15.

86Cfr. RH, n. 11.

187 Cfr. UR, n. 12.

88 Jbid

89 Cfr. ibid.

Discorso alla Curia romana del 28 giugno 1985, AAS 1985, 1148-1159; cfr. anche Lettera enciclica Sollicitudo rei socialis (SRS), n. 32.

Cfr. SPUC, SI, n. 55, 1984, pp. 46-48.

192 La collaborazione ecumenica a livello..., op. cit., n. 3.

Cfr. RH, nn. 8, 15, 16; SRS, nn. 26, 34.

194 SRS, n. 36.

95 Op. cit., n. 3 g.

90 Istruzione pastorale della pontificia Commissione per le comuni­cazioni sociali Communio et progressio, n. 99, AAS 1971, 593-656.

La collaborazione ecumenico a livello..., op. cit., n. 3, f.

98 Cfr. Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali, Criteri di collaborazione ecumenica e inter—religiosa nel campo delle com unica­zioni sociali, nn. 11 e 14, in Enchiridium Vaticanum, vol. 11, 2657-2679.