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La "Carta Ecumenica Europea"

Tutti i documenti del convegno ecumenico di Strasburgo del 22 aprile 2001

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Sommario

EUROPA ECUMENICA: IL PRIMO PASSO È STATO SCRITTO

CHARTA OECUMENICA - LINEE GUIDA PER LA CRESCITA DELLA COLLABORAZIONE TRA LE CHIESE IN EUROPA

EUROPA DELLE CHIESE, SCUOLA DI COMUNIONE - Card. Miroslav Vlk

"LE CHIESE SIANO SORELLE, NON CONCORRENTI" - Elisabeth Parmentier, pastora

FUORI DAI CIRCOLI ECCLESIASTICI PER ABBRACCIARE L'UMANITÀ INTERA - Anastasios, arcivescovo ortodosso

E ORA ADDIO AL "SECOLO DELLA VIOLENZA" - John Arnold, decano anglicano

Da Adista n. 34 2001

Charta Oecumenica: una grande sfida per il futuro dell'ecumenismo

Intervista a Gianni Long, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Da NEV del 3-maggio-2001

EUROPA ECUMENICA: IL PRIMO PASSO È STATO SCRITTO

DOC-1079. STRASBURGO-ADISTA. Il metropolita ortodosso Jeremias e l'arcivescovo di Praga, card. Miloslav Vlk - presidenti rispettivamente della Conferenza delle Chiese europee (Kek) e del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee) - hanno firmato due distinti protocolli, se li sono scambiati e, quindi, si sono abbracciati tra gli applausi dell'assemblea. Erano le ore 12,35 di domenica 22 aprile quando nella chiesa luterana di s.Thomas è stata dunque ufficialmente varata la "Charta oecumenica - Linee guida per la crescita della collaborazione tra le Chiese in Europa". Il contesto era quello dell'Incontro ecumenico europeo (sul versetto di Matteo 28,20: "Io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo", 17-22 aprile), un incontro ormai "normale" tra i due organismi ma che, questa volta, aveva due caratteristiche peculiari: doveva concludersi con la firma della Charta ed essere accompagnato da incontro di cento giovani (cinquanta per conto della Kek, altrettanti per conto del Ccee) che avrebbero discusso, anch'essi, dei temi proposti dal documento ecumenico.

 

In principio fu Graz
La II Assemblea ecumenica europea aveva proposto, nel '97, a Graz (Austria), la redazione di quella che poi è diventata la Charta. La prima bozza del testo, naturalmente preparata da un gruppo misto delle due parti, era pronta nel luglio '99, e inviata alle Chiese. Anche in base alle risposte ricevute, nell'autunno 2000 è stata preparata una seconda bozza, infine approvata dal Comitato misto Kek-Ccee riunitosi dal 26 al 29 gennaio ad Oporto, e guidato, oltre che dai due presidenti Jeremias e Vlk, dai segretari dei due organismi, rispettivamente il pastore Keith Clements e don Aldo Giordano. A Strasburgo, quindi, la Charta è giunta come testo ormai concluso, proposto alla discussione ma non più soggetto a modifiche. Tanto la "Plenaria" del Ccee che il Comitato centrale della Kek, separatamente e poi congiuntamente, hanno riflettuto sul testo, e poi vescovi, rappresentanti delle varie Chiese e giovani, in modo informale ma assai intenso, si sono scambiati opinioni sui diversi problemi sollevati dalla Charta stessa.
Per quanto riguarda l'Italia, all'Incontro per il Ccee sono intervenuti il card. Camillo Ruini, presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei); mons. Cesare Nosiglia, vicegerente di Roma (che però non ha partecipato all'incontro con i giovani); mons. Vincenzo Savio, vescovo di Belluno e segretario della Commissione episcopale per l'ecumenismo e il dialogo; i quattro giovani inviati dalla Cei all'Incontro, tre della Comunità di s. Egidio ed una cooperatrice salesiana. Per la Kek, invece, era presente Gianni Long, presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia; e, per i giovani, Sandro Spanu, della Federazione giovanile evangelica italiana. Presenti inoltre, in ragione del loro ufficio, Peter Ciaccio, del Consiglio europeo del Movimento cristiano studenti, e Davide Rostan, del Consiglio ecumenico giovanile europeo.
A Strasburgo erano anche presenti il card. Roger Etchegaray, già presidente del Comitato centrale del Giubileo 2000, e alcuni rappresentanti del Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, tra cui il neosegretario mons. Marc Ouellet.

 

Il Consiglio delle Conferenze episcopali europee cambia presidente. Anomalie
La contestuale "Plenaria" del Ccee ha anche colto l'occasione per rinnovare la presidenza del Consiglio, dato che, dopo due mandati, Vlk non poteva essere rieletto. Al suo posto è stato scelto mons. Amédée Grab, vescovo di Coira (Svizzera), una sorpresa per molti poiché il nome più accreditato per la successione era quello del neo card. Karl Lehmann, vescovo di Magonza e presidente della Conferenza episcopale tedesca, e finora uno dei due vicepresidenti del Ccee. Come mai, dunque, Lehmann è stato escluso? Non vi sono state spiegazioni ufficiali, ma una voce insistente a Strasburgo sosteneva che il Vaticano è discretamente intervenuto per bloccare la candidatura del prelato tedesco, che già ha dato filo da torcere a Roma su vari problemi (v. la notizia sulle ultime nomine cardinalizie in Adista n. 9/2001), e dirottare la scelta su Grab. Questi, benedettino, 71enne, cui vanno riconosciute capacità di dialogo e di mediazione, tre anni fa venne nominato dalla Santa Sede vescovo di Coira, in sostituzione di mons. Wolfang Haas (promosso alla neonata arcidiocesi di Vaduz, nel Liechtenstein, dopo che nei Grigioni aveva provocato una non più gestibile polarizzazione, a causa dei suoi atteggiamenti ostentatamente conservatori - v. la notizia sulla nomina di mons. Grab in Adista n. 51/99) riuscendo a poco a poco a rasserenare il clima nella diocesi di Coira.
Dalla sua nascita, nel 1971, il Ccee è sempre stato presieduto da un cardinale (tra essi, Basil Hume, arcivescovo di Westminster, e Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano). Anche questo particolare - si è notato in qualche ambiente di Strasburgo - denota che nella scelta di Grab (scelta che riguarda il ruolo istituzionale, naturalmente, non la persona) vi è qualche anomalia rispetto al passato. Se nel prossimo futuro pure Grab sarà elevato alla porpora, significherà che la Santa Sede intende mantenere alta la "qualifica" del Ccee; in caso contrario, sarà un segno che essa vuole restringere, per quanto possibile, l'autorevolezza del Consiglio. Inoltre, uno dei due vicepresidenti è il card. Cormac Murph'-O'Connor, vescovo di Westminster (l'altro è mons. Josip Bozanic, vescovo di Zagabria). È singolare, nella prassi della Chiesa cattolica, che un cardinale sia secondo a un monsignore.

I "no, ma" della Chiesa ortodossa russa
Sul versante Kek vi è da registrare che la Chiesa ortodossa russa ha inviato a Strasburgo una delegazione di basso profilo, non guidata da un vescovo (il capo-delegazione ufficiale, l'arcivescovo Longhin di Klin, capo degli ortodossi russi sparsi per la Germania, impedito da un intervento chirurgico, non è stato sostituito da un prelato di pari grado), ma dal diacono Andrei Eliseev, che comunque lavora nel Dipartimento degli affari ecclesiastici esterni del patriarcato di Mosca. Parlando con i giornalisti - ma non in pubblica assemblea - Eliseev ha criticato il fatto che Jeremias firmasse ufficialmente un documento che invece, secondo Mosca, doveva essere semplicemente inviato alle Chiese "come materiale di studio", e dunque senza alcuna particolare solennità; ed ha aggiunto che alcuni punti teologici della Charta non possono essere tranquillamente accettati dalla Chiesa russa. Tuttavia, il patriarca di Mosca Aleksij II ha inviato un messaggio di auguri e la sua benedizione all'Incontro di Strasburgo. Così la Chiesa russa, se da una parte ha preso le distanze dall'Incontro di Strasburgo, dall'altra non ha compiuto gesti clamorosi per contestarlo e, anzi, in qualche modo lo ha approvato. Una scelta che accontenta quanti nella Chiesa russa si oppongono frontalmente all'ecumenismo, ma che permette anche, sul fronte esterno, di non recidere i legami ecumenici che essa ha in Europa.

 

La Charta è solo un inizio
"Questione russa" a parte, in generale tutti gli intervenuti a Strasburgo, e in particolare i presidenti e i segretari della Kek e del Ccee, hanno sottolineato che la Charta oecumenica non chiude o esaurisce un processo ma, piuttosto, lo inaugura, aprendo un cammino che ora spetta alle singole Chiese fare proprio, approfondire, custodire, espandere. Insomma, hanno detto Jeremias, Vlk, Clements e Giordano, la Charta vivrà o si avvizzirà a seconda dell'impegno con cui i responsabili delle Chiese e l'intero "popolo ecumenico" in Europa si faranno carico di un documento che ora attende di essere tradotto in fatti concreti. Anche quanti hanno lamentato "timidezze" molteplici del testo hanno infine ammesso che, pur con i suoi limiti, esso costituisce un passo incoraggiante, che in futuro potrebbe aprire altri e più audaci passi.
Molti e variegati, di diverso valore istituzionale e formale, gli interventi che ci sono stati a Strasburgo, al Ccee, alla Kek, alle cerimonie liturgiche comuni (celebrazioni della Parola, non Eucarestie), alla celebrazione conclusiva. Di questo materiale Adista qui riporta, integralmente: 1) il testo della Charta oecumenica (versione italiana fornita dal Ccee); 2) la prolusione del card. Vlk alla "Penaria" del Ccee (testo integrale fornito dal Consiglio); 3) il sermone che la pastora, della Confessione di Augusta, Elisabeth Parmentier ha pronunciato durante la celebrazione ecumenica nella cattedrale cattolica di Strasburgo, il 19 aprile (nostra traduzione dall'originale francese); 4) l'omelia (nostra traduzione dall'originale inglese) che Anastasios, arcivescovo ortodosso di Tirana e di tutta l'Albania, ha tenuto domenica 22 nella chiesa luterana di s. Thomas durante la cerimonia conclusasi con la firma della Charta oecumenica; 5) il sermone che il decano anglicano John Arnold, già presidente della Kek, ha svolto durante una celebrazione ecumenica di sabato 21 aprile (nostra traduzione dall'originale inglese).

(sommario)

 


 

CHARTA OECUMENICA

 

LINEE GUIDA PER LA CRESCITA DELLA COLLABORAZIONE TRA LE CHIESE IN EUROPA

 

"Gloria al Padre, al Figlio, ed allo Spirito Santo!"
In quanto Conferenza delle Chiese europee (KEK) e Consiglio delle Conferenze episcopali europee (CCEE) siamo fermamente determinati, nello spirito del messaggio scaturito dalle due Assemblee Ecumeniche europee di Basilea 1989 e di Graz 1997, a mantenere ed a sviluppare ulteriormente la comunione che è cresciuta tra noi. Ringraziamo il nostro Dio Trinità che, mediante lo Spirito Santo, conduce i nostri passi verso una comunione sempre più intensa.
Si sono già affermate svariate forme di collaborazione ecumenica, ma fedeli alla preghiera di Cristo: "Tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, affinché il mondo creda che tu mi hai inviato" (Gv 17,21), non possiamo ritenerci appagati dell'attuale stato di cose. Coscienti della nostra colpa e pronti alla conversione dobbiamo impegnarci a superare le divisioni che esistono ancora tra noi, in modo da annunciare insieme, in modo credibile, il messaggio del Vangelo tra i popoli.
Nel comune ascolto della Parola di Dio contenuta nella Sacra Scrittura e chiamati a confessare la nostra fede comune e parimenti ad agire insieme in conformità alla verità che abbiamo riconosciuto, noi vogliamo rendere testimonianza dell'amore e della speranza per tutti gli esseri umani.
Nel nostro continente europeo, dall'Atlantico agli Urali, da Capo Nord al Mediterraneo, oggi più che mai caratterizzato da un pluralismo culturale, noi vogliamo impegnarci con il Vangelo per la dignità della persona umana, creata ad immagine di Dio, e contribuire insieme come Chiese alla riconciliazione dei popoli e delle culture.
In tal senso accogliamo questa Charta come impegno comune al dialogo ed alla collaborazione. Essa descrive fondamentali compiti ecumenici e ne fa derivare una serie di linee guida e di impegni. Essa deve promuovere, a tutti i livelli della vita delle Chiese, una cultura ecumenica del dialogo e della collaborazione e creare a tal fine un criterio vincolante. Essa non riveste tuttavia alcun carattere dogmatico-magisteriale o giuridico-ecclesiale. La sua normatività consiste piuttosto nell'auto-obbligazione da parte delle Chiese e delle organizzazioni ecumeniche europee. Queste possono, sulla base di questo testo, formulare nel loro contesto proprie integrazioni ed orientamenti comuni che tengano concretamente conto delle proprie specifiche sfide e dei doveri che ne scaturiscono.

 

I - Crediamo "la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica"

"Cercate di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti" (Ef 4,3-6)

1. Chiamati insieme all'unità della fede
In conformità al Vangelo di Gesù Cristo, come ci è testimoniato nella Sacra Scrittura ed è formulato nella Confessione ecumenica di fede di Nicea-Costantinopoli (381), crediamo al Dio Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. Dal momento che, con questo Credo, professiamo la Chiesa "una, santa, cattolica ed apostolica", il nostro ineludibile compito ecumenico consiste nel rendere visibile questa unità, che è sempre dono di Dio.
Differenze essenziali sul piano della fede impediscono ancora l'unità visibile. Sussistono concezioni differenti soprattutto a proposito della Chiesa e della sua unità, dei sacramenti e dei ministeri. Non ci è concesso rassegnarci a questa situazione. Gesù Cristo ci ha rivelato sulla croce il suo amore ed il segreto della riconciliazione: alla sua sequela vogliamo fare tutto il possibile per superare i problemi e gli ostacoli, che ancora dividono le Chiese.
Ci impegniamo
- a seguire l'esortazione apostolica all'unità dell'epistola agli Efesini (Ef 4,3-6) e ad impegnarci con perseveranza a raggiungere una comprensione comune del messaggio salvifico di Cristo contenuto nel Vangelo;
- ad operare, nella forza dello Spirito Santo, per l'unità visibile della Chiesa di Gesù Cristo nell'unica fede, che trova la sua espressione nel reciproco riconoscimento del battesimo e nella condivisione eucaristica, nonché nella testimonianza e nel servizio comune.

 

II - In cammino verso l'unità visibile delle Chiese in Europa

"Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35)

2. Annunciare insieme il Vangelo
Il compito più importante delle Chiese in Europa è quello di annunciare insieme il Vangelo attraverso la parola e l'azione, per la salvezza di tutti gli esseri umani. Di fronte alla multiforme mancanza di riferimenti, all'allontanamento dai valori cristiani, ma anche alla variegata ricerca di senso, le cristiane e i cristiani sono particolarmente sollecitati a testimoniare la propria fede.
A tal fine occorrono, al livello locale delle comunità, un accresciuto impegno ed uno scambio di esperienze sul piano della catechesi e della pastorale. Al tempo stesso è importante che l'intero popolo di Dio si impegni a diffondere insieme l'Evangelo all'interno dello spazio pubblico della società, ed a conferirgli valore e credibilità anche attraverso l'impegno sociale e l'assunzione di responsabilità nel politico.
Ci impegniamo
- a far conoscere alle altre Chiese le nostre iniziative per l'evangelizzazione e a raggiungere intese in proposito, per evitare in tal modo una dannosa concorrenza ed il pericolo di nuove divisioni;
- a riconoscere che ogni essere umano può scegliere, liberamente e secondo coscienza, la propria appartenenza religiosa ed ecclesiale.
Nessuno può essere indotto alla conversione attraverso pressioni morali o incentivi materiali. Al tempo stesso a nessuno può essere impedita una conversione che sia conseguenza di una libera scelta.

3. Andare l'uno incontro all'altro
Nello spirito del Vangelo dobbiamo rielaborare insieme la storia delle Chiese cristiane, che è caratterizzata oltre che da molte buone esperienze, anche da divisioni, inimicizie e addirittura da scontri bellici. La colpa umana, la mancanza di amore, e la frequente strumentalizzazione della fede e delle Chiese in vista di interessi politici hanno gravemente nuociuto alla credibilità della testimonianza cristiana.
L'ecumenismo, per le cristiane e i cristiani, inizia pertanto con il rinnovamento dei cuori e con la disponibilità alla penitenza ed alla conversione. Constatiamo che la riconciliazione è già cresciuta nell'ambito del movimento ecumenico. È importante riconoscere i doni spirituali delle diverse tradizioni cristiane, imparare gli uni dagli altri e accogliere i doni gli uni degli altri. Per un ulteriore sviluppo dell'ecumenismo è particolarmente auspicabile coinvolgere le esperienze e le aspettative dei giovani e promuovere con forza la loro partecipazione e collaborazione.
Ci impegniamo
- a superare l'autosufficienza e a mettere da parte i pregiudizi, a ricercare l'incontro reciproco e ad essere gli uni per gli altri;
- a promuovere l'apertura ecumenica e la collaborazione nel campo dell'educazione cristiana, nella formazione teologica iniziale e permanente, e nell'ambito della ricerca.

4. Operare insieme
L'ecumenismo si esprime già in molteplici forme di azione comune. Numerose cristiane e cristiani di Chiese differenti vivono ed operano insieme, come amici, vicini, sul lavoro e nell'ambito della propria famiglia. In particolare, le coppie interconfessionali devono essere aiutate a vivere l'ecumenismo nel quotidiano.
Raccomandiamo di creare e di sostenere a livello locale, regionale, nazionale ed internazionale organismi finalizzati alla cooperazione ecumenica a carattere bilaterale e multilaterale. A livello europeo è necessario rafforzare la collaborazione tra la Conferenza delle Chiese europee (KEK) ed il Consiglio delle Conferenze episcopali europee (CCEE) e realizzare ulteriori assemblee ecumeniche europee. In caso di conflitti tra Chiese occorre avviare e sostenere sforzi di mediazione e di pace.
Ci impegniamo
- ad operare insieme, a tutti i livelli della vita ecclesiale, laddove ne esistano i presupposti e ciò non sia impedito da motivi di fede o da finalità di maggiore importanza;
- a difendere i diritti delle minoranze e ad aiutare a sgombrare il campo da equivoci e pregiudizi tra le chiese maggioritarie e minoritarie nei nostri paesi;

5. Pregare insieme
L'ecumenismo vive del fatto che noi ascoltiamo insieme la parola di Dio e lasciamo che lo Spirito Santo operi in noi ed attraverso di noi. In forza della grazia in tal modo ricevuta esistono oggi molteplici sforzi, attraverso preghiere e celebrazioni, tesi ad approfondire la comunione spirituale tra le Chiese, e a pregare per l'unità visibile della Chiesa di Cristo. Un segno particolarmente doloroso della divisione ancora esistente tra molte Chiese cristiane è la mancanza della condivisione eucaristica.
In alcune Chiese esistono riserve rispetto alla preghiera ecumenica in comune. Tuttavia, numerose celebrazioni ecumeniche, canti e preghiere comuni, in particolare il Padre Nostro, caratterizzano la nostra spiritualità cristiana.
Ci impegniamo
- a pregare gli uni per gli altri e per l'unità dei cristiani;
- ad imparare a conoscere e ad apprezzare le celebrazioni e le altre forme di vita spirituale delle altre Chiese;
- a muoverci in direzione dell'obbiettivo della condivisione eucaristica.

6. Proseguire i dialoghi
La nostra comune appartenenza fondata in Cristo ha un significato più fondamentale delle nostre differenze in campo teologico ed etico. Esiste una pluralità che è dono e arricchimento, ma esistono anche contrasti sulla dottrina, sulle questioni etiche e sulle norme di diritto ecclesiastico che hanno invece condotto a rotture tra le Chiese; un ruolo decisivo in tal senso è stato spesso giocato anche da specifiche circostanze storiche e da differenti tradizioni culturali. Al fine di approfondire la comunione ecumenica, occorre assolutamente proseguire negli sforzi tesi al raggiungimento di un consenso di fede. Senza unità nella fede non esiste piena comunione ecclesiale. Non c'è alcuna alternativa al dialogo.

Ci impegniamo
- a proseguire coscienziosamente e con intensità il dialogo tra le nostre Chiese ai diversi livelli ecclesiali e a verificare quali risultati del dialogo possano e debbano essere dichiarati in forma vincolante dalle autorità ecclesiastiche;
- a ricercare il dialogo sui temi controversi, in particolare su questioni di fede e di etica sulle quali incombe il rischio della divisione, e a dibattere insieme tali problemi alla luce del Vangelo.

III - La nostra comune responsabilità in Europa
"Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio" (Mt 5,9)

7. Contribuire a plasmare l'Europa
Nel corso dei secoli si è sviluppata un' Europa caratterizzata sul piano religioso e culturale prevalentemente dal cristianesimo. Nel contempo, a causa delle deficienze dei cristiani, si è diffuso molto male in Europa ed al di là dei suoi confini. Confessiamo la nostra corresponsabilità in tale colpa e ne chiediamo perdono a Dio e alle persone.
La nostra fede ci aiuta ad imparare dal passato e ad impegnarci affinché la fede cristiana e l'amore del prossimo irraggino speranza per la morale e l'etica, per l'educazione e la cultura, per la politica e l'economia in Europa e nel mondo intero.
Le Chiese promuovono una unificazione del continente europeo. Non si può raggiungere l'unità in forma duratura senza valori comuni. Siamo persuasi che l'eredità spirituale del cristianesimo rappresenti una forza ispiratrice arricchente l'Europa. Sul fondamento della nostra fede cristiana ci impegniamo per un'Europa umana e sociale, in cui si facciano valere i diritti umani ed i valori basilari della pace, della giustizia, della libertà, della tolleranza, della partecipazione e della solidarietà.
Insistiamo sul rispetto per la vita, sul valore del matrimonio e della famiglia, sull'opzione prioritaria per i poveri, sulla disponibilità al perdono ed in ogni caso sulla misericordia. In quanto Chiese e comunità internazionali dobbiamo contrastare il pericolo che l'Europa si sviluppi in un Ovest integrato ed un Est disintegrato. Anche il divario Nord-Sud deve essere tenuto in conto. Occorre nel contempo evitare ogni forma di eurocentrismo e rafforzare la responsabilità dell'Europa nei confronti dell'intera umanità, in particolare verso i poveri di tutto il mondo.
Ci impegniamo
- ad intenderci tra noi sui contenuti e gli obbiettivi della nostra responsabilità sociale ed a sostenere il più possibile insieme le istanze e la concezione delle Chiese di fronte alle istituzioni civili europee;
- a difendere i valori fondamentali contro tutti gli attacchi;
- a resistere ad ogni tentativo di strumentalizzare la religione e la Chiesa a fini etnici o nazionalistici

8. Riconciliare popoli e culture
Noi consideriamo come una ricchezza dell'Europa la molteplicità delle tradizioni regionali, nazionali, culturali e religiose. Di fronte ai numerosi conflitti è compito delle Chiese assumersi congiuntamente il servizio della riconciliazione anche per i popoli e le culture. Sappiamo che la pace tra le Chiese costituisce a tal fine un presupposto altrettanto importante.
I nostri sforzi comuni sono diretti alla valutazione ed alla risoluzione dei problemi politici e sociali nello spirito del Vangelo. Dal momento che noi valorizziamo la persona e la dignità di ognuno in quanto immagine di Dio, ci impegniamo per l'assoluta eguaglianza di valore di ogni essere umano.
In quanto Chiese vogliamo promuovere insieme il processo di democratizzazione in Europa. Ci impegniamo per un ordine pacifico, fondato sulla soluzione non violenta dei conflitti. Condanniamo pertanto ogni forma di violenza contro gli esseri umani, soprattutto contro le donne ed i bambini. Riconciliazione significa promuovere la giustizia sociale all'interno di un popolo e tra tutti i popoli ed in particolare superare l'abisso che separa il ricco dal povero, come pure la disoccupazione. Vogliamo contribuire insieme affinché venga concessa una accoglienza umana e dignitosa a donne e uomini migranti, ai profughi ed a chi cerca asilo in Europa.
Ci impegniamo
- a contrastare ogni forma di nazionalismo che conduca all'oppressione di altri popoli e di minoranze nazionali ed a ricercare una soluzione nonviolenta dei conflitti;
- a migliorare e a rafforzare la condizione e la parità di diritti delle donne in tutte le sfere della vita e a promuovere la giusta comunione tra donne e uomini in seno alla Chiesa e alla società.

9. Salvaguardare il creato
Credendo all'amore di Dio creatore, riconosciamo con gratitudine il dono del creato, il valore e la bellezza della natura. Guardiamo tuttavia con apprensione al fatto che i beni della terra vengono sfruttati senza tener conto del loro valore intrinseco, senza considerazione per la loro limitatezza e senza riguardo per il bene delle generazioni future.
Vogliamo impegnarci insieme per realizzare condizioni sostenibili di vita per l'intero creato. Consci della nostra responsabilità di fronte a Dio, dobbiamo far valere e sviluppare ulteriormente criteri comuni per determinare ciò che è illecito sul piano etico, anche se è realizzabile sotto il profilo scientifico e tecnologico. In ogni caso la dignità unica di ogni essere umano deve avere il primato nei confronti di ciò che è tecnicamente realizzabile.
Raccomandiamo l'istituzione da parte delle Chiese europee di una giornata ecumenica di preghiera per la salvaguardia del creato.
Ci impegniamo
- a sviluppare ulteriormente uno stile di vita nel quale, in contrapposizione al dominio della logica economica ed alla costrizione al consumo, accordiamo valore ad una qualità di vita responsabile e sostenibile;
- a sostenere le organizzazioni ambientali delle Chiese e le reti ecumeniche che si assumono una responsabilità per la salvaguardia della creazione.

10. Approfondire la comunione con l'Ebraismo
Una speciale comunione ci lega al popolo d'Israele, con il quale Dio ha stipulato una eterna alleanza. Sappiamo nella fede che le nostre sorelle ed i nostri fratelli ebrei "sono amati (da Dio), a causa dei Padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!" (Rm 11,28-29). Essi posseggono "l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne." ( Rm 9,4-5).
Noi deploriamo e condanniamo tutte le manifestazioni di antisemitismo, i "pogrom", le persecuzioni. Per l'antigiudaismo in ambito cristiano chiediamo a Dio il perdono e alle nostre sorelle e ai nostri fratelli ebrei il dono della riconciliazione. È urgente e necessario far prendere coscienza, nell'annuncio e nell'insegnamento, nella dottrina e nella vita delle nostre Chiese, del profondo legame esistente tra la fede cristiana e l'ebraismo e sostenere la collaborazione tra cristiani ed ebrei. Ci impegniamo
- a contrastare tutte le forme di antisemitismo ed antigiudaismo nella Chiesa e nella società;
- a cercare ed intensificare a tutti i livelli il dialogo con le nostre sorelle e i nostri fratelli ebrei.

11. Curare le relazioni con l'Islam
Da secoli musulmani vivono in Europa. In alcuni paesi essi rappresentano forti minoranze. Per questo motivo ci sono stati e ci sono molti contatti positivi e buoni rapporti di vicinato tra musulmani e cristiani, ma anche, da entrambe le parti, grossolane riserve e pregiudizi, che risalgono a dolorose esperienze vissute nel corso della storia e nel recente passato.
Vogliamo intensificare a tutti i livelli l'incontro tra cristiani e musulmani ed il dialogo cristiano-islamico. Raccomandiamo in particolare di riflettere insieme sul tema della fede nel Dio unico e di chiarire la comprensione dei diritti umani.
Ci impegniamo
- ad incontrare i musulmani con un atteggiamento di stima;
- ad operare insieme ai musulmani su temi di comune interesse.

12. L'incontro con altre religioni e visioni del mondo
La pluralità di convinzioni religiose, di visioni del mondo e di forme di vita è divenuta un tratto caratterizzante la cultura europea. Si diffondono religioni orientali e nuove comunità religiose, suscitando anche l'interesse di molti cristiani. Ci sono inoltre sempre più uomini e donne che rigettano la fede cristiana, si rapportano ad essa con indifferenza o seguono altre visioni del mondo.
Vogliamo prendere sul serio le questioni critiche che ci vengono rivolte, e sforzarci di instaurare un confronto leale. Occorre in proposito discernere le comunità con le quali si devono ricercare dialoghi ed incontri da quelle di fronte alle quali, in un'ottica cristiana, occorre invece cautelarsi.
Ci impegniamo
- a riconoscere la libertà religiosa e di coscienza delle persone e delle comunità ed a fare in modo che esse, individualmente e comunitariamente, in privato ed in pubblico, possano praticare la propria religione o visione del mondo, nel rispetto del diritto vigente;
- ad essere aperti al dialogo con tutte le persone di buona volontà, a perseguire con esse scopi comuni ed a testimoniare loro la fede cristiana.

*****

Gesù Cristo, Signore della Chiesa "una", è la nostra più grande speranza di riconciliazione e di pace. Nel suo nome vogliamo proseguire in Europa il nostro cammino insieme. Dio ci assista con il suo Santo Spirito!
"Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo" (Rm 15,13)

*****

In qualità di Presidenti della Conferenze delle Chiese europee (KEK) e del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (CCEE) noi raccomandiamo questa Charta Oecumenica quale testo base per tutte le Chiese e Conferenze episcopali d'Europa affinché venga recepita ed adeguata allo specifico contesto di ciascuna di esse. Con questa raccomandazione sottoscriviamo la Charta Oecumenica nel contesto dell'Incontro ecumenico europeo, che si svolge la prima domenica dopo la Pasqua comune dell'anno 2001.

Strasburgo, 22 aprile 2001

 

 

Metropolita Jeremias Presidente, presidente della Conferenza delle Chiese d'Europa (KEK)

Card. Miloslav Vlk, presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE)

 

(sommario)

 


 

EUROPA DELLE CHIESE, SCUOLA DI COMUNIONE

 

Cardinal Miloslav Vlk

1. Il 23-24 marzo 1971 a Roma, con la presidenza dell'arcivescovo di Marsiglia Roger Etchegara', 17 rappresentanti delle Conferenze Episcopali d'Europa (tra cui Polonia, Ungheria e Jugoslavia - quello della Cecoslovacchia non aveva ricevuto il visto) costituiscono ufficialmente il Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE), con uno statuto ad experimentum. In realtà questo nuovo organismo aveva le sue radici nell'esperienza e nell'eccle-siologia di comunione del Concilio Vaticano II. Fin dagli inizi il CCEE rivela chiaramente la propria vocazione di essere un organismo di comunione aldilà delle divisioni politiche che spezzavano drammaticamente l'Europa. Il CCEE è una delle rarissime organizzazioni che fin dal nascere hanno inglobato tutta l'Europa, dall'Islanda alla Turchia, dal Portogallo alla Lettonia. Tuttavia non possiamo dimenticare che i regimi spesso impedivano ai delegati dell'est di partecipare agli incontri del CCEE. A 30 anni di distanza le Conferenze che fanno parte del CCEE sono divenute 34, il muro che divideva l'Europa è crollato e le ideologie hanno mostrato il loro volto inumano ed i loro piedi d'argilla.
Il 15 aprile 1993 a Roma viene eletta l'attuale Presidenza del CCEE. Non si trattava di un'elezione facile: l'Europa stava vivendo il travaglio tipico delle nuove pagine della storia, con l'euforia della libertà ritrovata, ma anche con i primi segnali che non stavamo entrando direttamente nella terra promessa: stavamo iniziando il cammino di liberazione, ma ci avrebbero attesi ancora lunghi anni di deserto. Nel 1991 era stato convocato il primo sinodo speciale per l'Eu-ropa chefra l'altro, aveva portato alla riforma del CCEE: il Consiglio sarebbe stato formato non più da vescovi delegati, ma dai presidenti stessi delle Conferenze Episcopali. In questo modo il apa donava al nostro organismo un'auto-revolezza ed un ruolo speciali. Come presidente era stato scelto - un po' a sorpresa - un vescovo dell'est europeo che cinque anni prima era ancora lavavetri nelle strade di Praga per la proibizione di esercitare il ministero sacerdotale. Come vice presidenti erano stati eletti ancora un altro vescovo dell'est, mons. Istvan Seregél' ed uno "sperimentato" vescovo teologo dell'ovest, mons. Karl Lehmann. Ricordo di avere accettato questo incarico con timore, consapevole della mia mancanza di esperienza e dei miei limiti, ma tanti mi avevano garantito il loro aiuto e mi sono fidato!
Tale presidenza è confermata per un secondo mandato di 5 anni nella plenaria del 30 maggio-2 giugno 1996 di Mariazell/Austria.
In questa plenaria di Strasburgo festeggiamo il 30° compleanno del CCEE e votiamo una nuova presidenza. Il fatto di realizzare questa plenaria nel contesto di un incontro ecumenico europeo sottolinea un'altra vocazione che è nelle radici del CCEE fin dal 1971: il servizio alla riconciliazione tra i cristiani, soprattutto attraverso la collaborazione con la Conferenza delle Chiese d'Europa (KEK) che attualmente riunisce 126 Chiese e comunità ecclesiali dell'ambito dell'Ortodossia e della Riforma.

2. In questo mio intervento non desidero fare bilanci né dei 30 anni del CCEE, né dei 9 anni dell'attuale presidenza, perché sono convinto che per le realtà della Chiesa è meglio lasciare a Dio i bilanci. Tuttavia, desidero comunicarvi qualche frutto della mia esperienza europea di questi anni e condividere alcune riflessioni sui futuri passi del CCEE.
In sintesi direi che questi anni con il CCEE sono stati "una casa ed una scuola di comunione", secondo l'espressione usata dal papa nella Novo millennio ineunte (n.43). Per l'incontro ecumenico europeo di questo inizio millennio abbiamo scelto un titolo cristologico e pasquale che mi attira particolarmente: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). Sono sempre più impressionato dal fatto che quella Chiesa "una, santa, cattolica, apostolica" che lungo i secoli abbiamo sempre professato nel Credo - e che è anche il titolo della prima parte della Charta Oecumenica per l'Europa -, è costituita nella storia dalla presenza - dall'essere con noi - dello Spirito del Risorto. Questa verità mi ha guidato sempre più chiaramente nella vita, a cominciare dagli anni dell'oppressione comunista.
Un regime poteva toglierci i permessi, le strutture, la libertà fisica, ma non poteva toglierci la possibilità di vivere la realtà della presenza di Dio fra noi. E se penso al CCEE, non posso fare a meno di riconoscere che la sua vocazione prima è il servizio a questa presenza del Signore fra noi. È inutile, come Chiesa, realizzare strutture, consigli, incontri, progetti, se essi non sono a servizio di quella comunione, di quella collegialità, di quell'amore fraterno, di quell'unità che sono la condizione fondamentale per la presenza del Signore tra i suoi.
In questi anni ho visto l'opera dello Spirito del Risorto nella crescita della comunione tra le Conferenze Episcopali della nostra Europa. Penso innanzitutto alle nostre assemblee plenarie. Non abbiamo tanto cercato di essere un organismo forte, con ampie strutture e con una grande visibilità sulla scena politica e sociale, ma abbiamo percorso una via più discreta, in sintonia, credo, con lo stile del Vangelo. Abbiamo cercato di rendere le nostre plenarie prima di tutto un luogo di preghiera, di incontro, di amicizia, di dialogo, di scambio di esperienze, di fiducia, di informazione, di discussione su problemi comuni, di rapporti personali Questo ha avuto conseguenze importanti: ci ha aiutato a sentirci un'unica Chiesa cattolica, ad avere rispetto per la diversità di situazioni, a portare i pesi gli uni degli altri, a intensificare progetti di collaborazione e di aiuto, a metterci nella logica dello scambio dei doni e non tanto dell'essere maestri gli uni degli altri. Inoltre l'accresciuta comunione fra noi ci ha portato a prendere posizioni comuni sulle grandi tematiche europee, a sentirci concretamente solidali con le grandi situazioni di dolore come quella dei Balcani ed a considerare insieme tante urgenze della nostra storia che sarebbe perdente affrontare da soli.
Non sono certo se abbiamo fatto abbastanza, forse dovevamo essere più coraggiosi in qualche situazione, specie davanti alle tragedie della violenza esplosa, ma credo che siamo andati in questa direzione della collegialità.
Mi viene in mente l'incontro a Roma del marzo 1998, con circa 120 "giovani vescovi", nominati negli ultimi anni in Europa. Per quasi un settimana abbiamo affrontato nel dialogo i diversi aspetti del servizio episcopale. Dopo l'in-contro abbiamo ricevuto molte lettere dai partecipanti: alcuni hanno affermato che vivere questa dimensione europea, sentire l'esperienza degli altri, era fondamentale per evitare il rischio di chiudersi, perdersi nei propri problemi e obliare la dimensione universale della Chiesa. Durante l'incontro, spontaneamente, i vescovi hanno deciso di realizzare una condivisione di soldi con i confratelli che venivano da Paesi in particolari difficoltà economiche. Un vescovo alla partenza ci ha chiesto i soldi per il taxi, perché aveva dato tutto quello che aveva!

Un laboratorio di comunione particolarmente bello per me è stata la realtà della Presidenza del CCEE: nonostante la mole di impegni che spesso sembra togliere il respiro, abbiamo sfruttato tutte le occasioni per incontrarci, anche usando le possibilità delle nuove tecnologie nel campo della comunicazione come le conferenze telefoniche, sempre ottimamente preparate dal segretario generale. In questo modo è stata possibile una notevole regolarità nel confronto fra noi. Sono molto grato ai carissimi confratelli della presidenza ed al segretario generale, per l'amicizia, per la fiducia avuta nei miei confronti e - non per ultimo - anche per la gioia con cui abbiamo lavorato insieme: i nostri incontri infatti, nonostante la stanchezza che poteva sorprenderci, sono sempre stati caratterizzati dalla letizia.
Questa casa e scuola di comunione che è il CCEE può concretamente funzionare anche grazie al segretariato che ha la sua sede a St Gallen. Le collaboratrici ed i collaboratori lavorano in un costante e leale rapporto con la presidenza e questo dà la garanzia che i nostri progetti e le nostre iniziative abbiano il sigillo della comunione e quindi rientrino nei piani misteriosi di Dio. Mi ha fatto molto piacere il constatare che lo stile di lavoro del segretariato ha creato in Europa una rete di simpatia e di stima a cominciare da noi Presidenti, ma anche tra i segretari generali delle Conferenze e le tante persone con cui si collabora.
Per noi è anche del tutto chiaro che la Chiesa non sarebbe casa di comunione senza il servizio all'unità del successore di Pietro. Il CCEE ha naturalmente una sua autonomia ed un suo ruolo specifico, ma comprende il suo servizio in rapporto da un lato con il magistero della Chiesa universale che è proprio del papa e dei suoi collaboratori a Roma e dall'altra con le singole Conferenze Episcopali dell'Europa. Questo in un'ottica di scambio dei doni. La Segreteria di Stato del Vaticano e la Congregazione dei vescovi sono regolarmente consultate e informate su tutte le attività del CCEE e con diversi Dicasteri vaticani c'è una concreta collaborazione per gli ambiti pastorali che affrontiamo: ecumenismo, religioni, migrazioni, vocazioni. In questi anni è cresciuto un clima di fiducia e di stima. La presenza del Cardinal Moreira Neves, allora Prefetto delle Congregazione dei vescovi, alla nostra plenaria di Atene del 1999 e l'interesse che il Cardinal Re, attuale Prefetto della Congregazione dei vescovi, ha già mostrato per i nostri lavori, sono anche un'espressione di questa fiducia. Ho potuto spesso constatare personalmente il riguardo e l'affetto con cui il Papa ed i suoi diretti collaboratori considerano il CCEE.

3. Un frutto di questa "comunione europea" che io ritengo storico e provvidenziale è il contributo dato dal CCEE per il superamento di quel tragico muro che si era innalzato tra l'Europa dell'Occidente e quella dell'Oriente. Probabilmente il rapporto tra l'Est e l'Ovest è stato in questo periodo ed è ancora, la grande sfida per l'Europa. Dobbiamo riconoscere che all'inizio il rapporto fra noi non era sempre facile ed alle volte si temeva un vero e proprio scontro tra l'Est e l'Ovest, ma proprio qui ho visto e vedo la forza della comunione "cattolica". Nel 1994 il CCEE ha organizzato a Varsavia un incontro per i rappresentanti delle Conferenze Episcopali dei Paesi ex-comunisti, con la presenza di delegati dell'Occidente: era la prima volta che potevamo trovarci tutti insieme e raccontarci delle nostre carceri, dei lavori forzati, delle lotte, della liberazione, della fede, delle paure, dei rischi che ricominciavamo a vedere all'orizzonte. Al termine sentivamo nostre le parole del salmo: "Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion ci sembrava di sognare" (Ps 126). Qualche giorno fa un vescovo di un Paese dell'Est durante un nostro incontro diceva: un muro ci aveva relegati tra i Paesi oltrecortina ed ancora oggi davanti al processo di unificazione europea siamo dei candidati sotto analisi e ci sentiamo di serie B; solo nella Chiesa, nel CCEE, siamo stati subito accolti come protagonisti alla pari. Come ho già detto, anche a livello della Chiesa cattolica la comunione fra Est ed ovest non è stata né facile, né immediata! Ricordo che ancora all'inizio della mia presidenza tra noi serpeggiavano paure e sospetti che scaturivano dalle nostre evidenti diversità di storie, di tradizioni e di culture. Si sentivano spesso queste domande: cosa ne sarà della fedeltà alla tradizione, della testimonianza del martirio e della ricchezza spirituale proprie dell'Oriente a contatto con i processi di secolarizzazione, di democrazia e di pluralismo con cui si sono coinvolte le Chiese dell'Occidente? Quale contributo potranno portare all'Europa Chiese che per decenni sono state oppresse da un'ideologia, non hanno potuto curare una intensa preparazione teologica e pastorale, sono prive di personale preparato, di strutture efficaci e mancano anche di mezzi finanziari? Significativa è stata la genesi del simposio CCEE dei vescovi europei del 1996, dedicato al tema: "Religione: fatto privato e realtà pubblica. La Chiesa nella società pluralista". Alla fine dei lavori dell'incontro di Varsavia per i Paesi ex-comunisti del 1994 noi dell'Est eravamo concordi su questo punto: il comunismo ha nazionalizzato, "collettivizzato" tutto il resto, ma ha privatizzato la religione. Si è alzato un vescovo dell'Occidente ed ha affermato: anche da noi la religione è privatizzata, anche se per altri motivi. Era chiaro che il problema era serio e dovevamo studiarlo a livello europeo.
Oggi, le nostre diversità, mi sembra, non ci fanno più paura, perché abbiamo sperimentato che possono diventare dei contributi per realizzare una creazione comune, per costruire la realtà di una Chiesa una: non esiste una Chiesa dell'Est ed un'altra dell'Ovest. Per questo, al nostro livello di Chiesa cattolica, direi che lo schema Est-Ovest in Europa non è più attuale e va velocemente abbandonato, anche nei nostri discorsi. Come esempio particolarmente significativo vorrei ancora citare la realtà della presenza della Chiesa greco-cattolica. In Occidente fino a pochi anni fa si sapeva appena della sua esistenza ed io mi ricordo della sorpresa di tante persone dell'Ovest, anche di vescovi, di trovarsi per la prima volta, insieme a vescovi o fedeli greco-cattolici e così venire a contatto con una tradizione, una liturgia, un diritto, diversi, ma altrettanto "cattolici"! Oggi le Chiese greco-cattoliche sono pienamente e normalmente protagoniste di ogni iniziativa del CCEE.

4. Una grande e difficile sfida alla comunione che occupa e preoccupa noi tutti è il cammino ecumenico. Anche sulla scena ecumenica europea è in atto un forte cambiamento. Un paio di settimane prima della assemblea ecumenica di Graz del giugno 1997, ci siamo ritrovati la presidenza del CCEE e la Presidenza della KEK, all'aeroporto di Zurigo, per alcune ore di lavoro, solo per riflettere sul modo di affrontare - specie davanti ai media - le emergenze ed i punti caldi che immaginavamo sarebbero emersi durante l'assemblea di Graz: il ministero ordinato femminile, l'omosessualità, la condivisione eucaristica, il magistero. Arrivati a Graz abbiamo subito percepito che l'atmosfera era un'altra, soprattutto per la forte presenza di partecipanti dell'Europa orientale, specie di membri della Chiesa ortodossa, ma anche di Paesi del Sud Europa. Quei temi che pensavamo "brucianti" per il cammino ecumenico, ovviamente, non sono spariti, ma sono diventati secondari, perché estranei alla tradizione dell'Est europeo ed in parte anche al Sud Europa. I discorsi "difficili" di Graz sono stati piuttosto quelli riguardanti il proselitismo o la preghiera ecumenica comune o il rapporto tra Chiesa e nazione. Con la decisa entrata sulla scena ecumenica dell'Est e del Sud Europa è cambiata la geografia ecumenica e questo ha innescato una serie di domande anche nei riguardi degli organismi ecumenici come il Consiglio mondiale delle Chiese ed in parte anche la KEK. Ogni nostra Conferenza episcopale è oggi chiamata ad assumersi la responsabilità di tutto il discorso ecumenico e non solo di quello del proprio Paese. Inoltre l'ecumenismo non può più limitarsi a rapporti bilaterali, che restano pur sempre importanti, ma sempre più deve divenire una confronto, fatto insieme allo stesso tavolo, di tutte le famiglie confessionali: cattolica, protestante ed ortodossa. Vedo che questo processo è già in corso, grazie soprattutto alla crescita di quel "popolo ecumenico", che è stata un po' la sorpresa di Graz, proveniente non più solo da gruppi "specializzati" sull'ecumenismo, ma da diocesi, parrocchie e nuovi movimenti ecclesiali spesso radicati in una forte ed essenziale spiritualità evangelica.
Trovo particolarmente indicativo il coinvolgimento nel cammino ecumenico che ho notato in questi anni da parte del Sud Europa. Ancora qualche anno fa l'ecumenismo appariva una questione che interessava poco questi Paesi a gran maggioranza cattolica. Oggi il Sud Europa è protagonista sulla scena dell'ecumenismo, perché è diventato chiaro che ogni Chiesa locale è chiamata ad assumersi ogni realtà e preoccupazione della Chiesa universale.
Il processo di preparazione dell'assemblea di Graz, con le difficoltà che avevamo incontrato, aveva convinto noi del CCEE sulla utilità si elaborare una sorta di regolamento per la collaborazione ecumenica in Europa. Da questa idea sono nati due testi: un primo è quello delle Linee guida per la collaborazione tra CCEE e KEK, un regolamento interno per i nostri due organismi che abbiamo firmato nel 2000 a Praga. Il secondo testo è quello della Charta Oecumenica per la collaborazione tra le Chiese e le comunità ecclesiali dell'Europa.

5. Voglio accennare ad un ultimo capitolo che vedo strettamente legato al discorso della casa della comunione: il contributo della Chiesa per la costruzione della "casa" europea. La nostra plenaria a Lovanio/Bruxelles dell'anno scorso è stata in gran parte dedicata a questo tema. Da una parte i rappresentanti delle istituzioni ci tengono a ribadire in ogni occasione la dimensione laica (alle volte laicista) delle istituzioni, ma dall'altra non perdono neppure occasione per chiedere aiuto alle Chiese soprattutto per dare all'Europa quell'anima, quell'idea, quella visione di cui c'è urgente bisogno e che il mondo politico ed economico non sembra in grado di dare. Penso soprattutto all'urgenza di dare alla costruzione europea quel riferimento alla trascendenza e quella base etica necessari per affrontare decisive questioni come l'ingegneria genetica, la difesa della famiglia, la violenza nei confronti di bambini e donne, ma anche la questione del senso che è tornata fortemente alla ribalta. Per questi temi il CCEE collabora con la Comece ed è in corso una riflessione per approfondire questa collaborazione tra noi, per rendere sempre più efficace ed autorevole il nostro contributo per l'Europa.

6. Alla luce di questa esperienza, mi permetto ora di esprimere qualche idea sintetica sul cammino futuro del CCEE. Si tratta di tre piste di riflessione che fanno tutte riferimento alla Novo millennio ineunte che - come testo programmatico di inizio millennio per la Chiesa universale - è da assumersi anche come punto di riferimento determinante per i prossimi sentieri del CCEE.

' Innanzitutto il servizio del CCEE riguarda la fede. La sua prima preoccupazione è che gli europei credano in Dio e abbiano occasione di incontrarsi con Gesù Cristo. Come vescovi siamo chiamati ad essere i primi credenti. Non dobbiamo cadere nella trappola di dare più importanza alle strutture, alle logiche temporali, politiche, diplomatiche, all'efficacia organizzativa, alla ricerca di un influsso in ambito pubblico ed al successo storico (tutti strumenti che hanno certo una loro utilità), piuttosto che all'annuncio ed alla testimonianza del vangelo. Non dobbiamo dimenticare che i primi apostoli sono stati invitati da Gesù a seguirlo verso Gerusalemme, verso il calvario: questo vale anche per i successori degli apostoli! Uno sguardo di fede sulla realtà ci permette di vedere che c'è una "storia fatta dalla fede" - normalmente non visibile - che è realizzata proprio dai credenti: penso al Papa che solo per fede "rischia" viaggi come quello in Grecia o in Ucraina, ma penso a tutti i cristiani delle nostre parrocchie e diocesi, ai sacerdoti, ai religiosi, ai laici, che vivono quotidianamente con serietà la loro fede ed in questo modo sono protagonisti di questa storia che è più vera di quella che normalmente vediamo. E' la storia "vera" che Dio vede con i suoi occhi. Pensando ancora in particolare alla nostra esperienza sotto il comunismo, tante volte mi viene in mente l'espressione del salmo: "Se il Signore non costruisce la casa, invano faticano i costruttori" (Ps 127). Sono convinto che l'Europa abbia innanzitutto bisogno di una grande onda spirituale e che ogni nostro contributo è originale solo se è pensato e realizzato esplicitamente con la luce del vangelo. Penso che il CCEE in questi anni dovrebbe, per esempio, affrontare alcuni nodi molto complicati che avrebbero bisogno assoluto di essere illuminati dalla novità del vangelo: il rapporto tra identità nazionale e nazionalismi; l'atteggiamento della Chiesa danti alle situazioni di conflitto o guerra; la questione della ingegneria genetica; il rapporto tra verità e dialogo, soprattutto in riferimento all'incontro con le altre religioni... Per questo mi auguro che tutte le persone che sono chiamate in modi diversi a collaborare con il CCEE abbiano quella luce che nasce da una profondità spirituale.

' La seconda prospettiva è già chiaramente contenuta nel racconto precedente della mia esperienza: il CCEE è un organismo di collegialità e comunione. Rileggo ancora con voi alcune espressioni della Novo Millennio Ineunte: "Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo. Che cosa significa questo in concreto? Anche qui il discorso potrebbe farsi immediatamente operativo, ma sarebbe sbagliato assecondare simile impulso. Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione.il nuovo secolo dovrà vederci impegnati più che mai a valorizzare e sviluppare quegli ambiti e strumenti che, secondo le grandi direttive del Concilio Vaticano II, servono ad assicurare e garantire la comunione. Gli spazi della comunione vanno coltivati e dilatati giorno per giorno, ad ogni livello."(nn. 43-45). Il CCEE si sente pienamente a proprio agio davanti a queste parole così lucide ed autorevoli. Anche le sfide storiche con cui siamo confrontati ci testimoniano che è l'ora della comunione: affrontare individualisticamente i grandi temi come l'evangelizzazione, il confronto con la cultura europea, l'ecumenismo, l'incontro con le altre religioni, ma anche temi pastorali come le migrazioni, l'ambiente, i media, appare oggi come un combattere contro i mulini a vento!
Credo che dobbiamo continuare a credere alla comunione fra noi, a "perdere tempo" per fare del CCEE sempre più un laboratorio intelligente di collegialità.
Per il discorso ecumenico vorrei solo ribadire il fatto che per i prossimi anni abbiamo una pista aperta dalla Charta Oecumenica. Abbiamo sempre sottolineato come essa più che un testo scritto è un processo. Esso non è stato e non sarà facile, ma è qualcosa di originale nel cammino ecumenico europeo, come è stato anche ribadito più volte dal Pontificio Consiglio per l'unità dei cristiani. Il suo successo dipende dalla ricezione e dal nostro impegno di adattarla e metterla in pratica a livello locale, quindi dipende anche molto da noi. Lascio a voi il pensare a quando sarà il momento per un terza assemblea ecumenica europea!

' Un terzo sentiero per il futuro del CCEE: aiutare l'Europa a riscoprire la sua vocazione. Da un lato mi sembra che l'Europa riscoprirà il suo compito se si considererà in rapporto con gli altri continenti e regioni della terra, se cercherà di capirsi attraverso lo sguardo delle altre culture e gli altri popoli; d'altro lato essa ritroverà la sua vocazione se tornerà alle proprie radici. Il nostro continente è stato il primo a vivere la grande impresa dell'accoglienza del vangelo e dell'inculturazione del vangelo nelle nostre culture. Sono gli europei che hanno quindi portato il vangelo agli altri continenti. Ricordate come durante il sinodo speciale per l'Europa del 1999 tutti i rappresentanti degli altri continenti hanno iniziato il loro intervento ringraziando l'Europa per aver portato loro il cristianesimo. Sono persuaso che la vocazione dell'Europa sia ancora quella che è già inscritta nelle proprie radici: rivivere all'inizio del nuovo millennio una nuova inculturazione del cristianesimo nella nostra cultura, attraverso quell'evangelizzazione di nuova qualità di cui parliamo da anni e di cui si sono occupati diversi simposi del CCEE. Quindi continuare a donare alle altre regioni della terra il metodo ed i frutti di questo lavoro. È ovvio che le altre culture dovranno pensare in proprio ed a casa loro questo incontro tra cristianesimo e cultura, ma mi sembra che l'Europa abbia questa vocazione "culturale" in modo singolare. Forse proprio perché la nostra cultura ha vissuto e forse sta ancora vivendo una sorta di "notte oscura epocale", come ha detto qualche anno fa il papa in Spagna, attraverso fenomeni come ateismo, nichilismo, indifferenza, relativismo etico, essa ha il compito di accogliere quella luce speciale di Dio che non è assente nelle notte oscure dei mistici, anzi è talmente viva che acceca e mostrare al mondo che dopo la notte sta sorgendo l'alba, anzi che nella notte è già presente l'alba. Questo è il mistero straordinario che viviamo in questi giorni pasquali: l'ora in cui il Figlio fu inchiodato sulla croce e visse l'abbandono, l'ora in cui si fece buio su tutta la terra è stata anche l'ora della salvezza, l'ora della gloria e della luce della Risurrezione.
Questa è la buona notizia per l'Europa e per il mondo.

 

Strasburgo, 18 aprile 2001

(sommario)

 


 

"LE CHIESE SIANO SORELLE, NON CONCORRENTI"

 

Elisabeth Parmentier, pastora

Matteo 28,1-10 e 16-20
"Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo"

L'ecumenismo avrebbe bisogno dell'angelo del mattino di Pasqua, che sa far spostare le pietre. Aprirebbe un passaggio degli uni verso gli altri, smuovendo tutti i tipi di pietra che segnano i nostri limiti e le nostre resistenze. Coloro che credono di dover conservare le loro Chiese come dei mausolei tremeranno per questo, e a ragione! Le pietre spostate svelerebbero che ci sono più passaggi aperti tra le nostre Chiese di quanto non supponiamo, perché il Risorto è già passato di là. Ma ai nostri giorni l'angelo non ci parla più con terremoti, ed è alla semplice parola biblica che noi affidiamo il compito di mettere in moto l'ecumenismo.
Nella storia che precede l'invio dei discepoli in missione, lo stesso messaggio è già stato ripetuto, in tutto tre volte: dall'angelo alle donne, dal Cristo alle donne e dal Cristo ai discepoli, è lo stesso ordine: "Andate' andate a dire' andate a testimoniare' andate a fare nazioni di discepoli". E stasera mi ritrovo incaricata di questo messaggio come una delle donne di Pasqua che devono andare a parlare, tutte tremanti, ai discepoli, ai capi della Chiesa, e dire loro: "raggiungete Cristo in Galilea".
Questa predicazione stasera, contrariamente alle abitudini, non è destinata in primo luogo al popolo della Chiesa ma a quelli che ne portano la responsabilità spirituale e che orientano il suo avvenire. È a voi, patriarchi, vescovi, presidenti di Chiesa, a voi delegati e giovani che io devo annunciare che la pietra spostata di Pasqua sposta anche il movimento ecumenico dalla testimonianza separata delle Chiese verso quella di tutta la Chiesa per tutte le nazioni. Il Cristo è già la nostra riconciliazione e questo sconvolge le nostre frontiere confessionali malgrado noi, malgrado esse! Le Chiese sono chiamate a seguire lo spostamento di Pasqua.
Ma dove andare insieme? Dov'è la nostra "Galilea"? Oggi, dov'è che il Cristo ci precede? Nelle realtà diverse dell'Europa e delle sue Chiese le situazioni non si possono paragonare e talvolta districare. Ci sarebbe una Galilea come spazio ecumenico condivisibile? La Galilea nel Vangelo di Matteo fu il luogo della tentazione e della trasfigurazione, tutto un programma per le Chiese in cammino, in tentazione e trasfigurazione! Ma la Galilea è stata soprattutto il luogo in cui i discepoli accettarono di riunirsi insieme, per ritrovarvi il loro Maestro. Dove potremmo oggi ritrovarci insieme, in quale ambito, su quale terreno? Noi non disponiamo della stessa mappa per questa "terra incognita" che è il viaggio delle Chiese le une verso le altre. E noi non abbiamo più l'innocenza e l'entusiasmo dei primi scopritori di orizzonti. Noi pendiamo di più dalla parte della tentazione di chiuderci, tanto abbiamo paura di tradire la nostra tradizione e di perderci o di essere schiacciati dagli altri.
Tuttavia abbiamo una mappa comune, che è quella dell'origine. Sappiamo da dove veniamo e quale disegno divino ha tracciato i primi contorni della nostra storia. Veniamo dal mattino di Pasqua in cui risorge colui che con la sua croce ha capovolto il muro di odio tra gli uomini. E andiamo verso colui che ha promesso che ormai non si sposterà più da in mezzo a noi. Noi andiamo verso il nostro centro, quali che siano le strade umane delle nostre peregrinazioni. La Galilea è il nostro riorientamento permanente verso il Cristo in mezzo a noi.
Tuttavia, non basta dire questo. Perché se sulla nostra mappa cristiana noi abbiamo indicatori di strada come le Scritture, i sacramenti, le tradizioni della Chiesa, ci vorrebbe una mappa più precisa per le relazioni quotidiane con i fratelli e le sorelle delle altre Chiese. Per fare strada comune, ci vorrebbe una mappa che riportasse lo scontro delle situazioni concrete, sul terreno, che sono le situazioni test con le quali l'ecumenismo o tiene o cade! E oggi si può disegnare una carta di Chiese che riconoscono tra di loro lo stesso appello del Risorto, la stessa speranza? Chiese che non siano concorrenti ma osino chiamarsi sorelle, che si rispettino a prescindere dalla loro situazione, maggioritaria o minoritaria? Chiese segni di grazia per le nazioni, segni del fatto che si può superare la fatalità dell'opposizione e della rivalità? Ci vorrebbe una mappa-conversione, una mappa-impegno, perché non una "charta"? Una "charta" è già un po' la trasfigurazione della mappa, perché si orienta prima di tutto sull'essere umano, e vede in lui un "prossimo". La "carta ecumenica" prenderà vita dove essa ci permetterà di dare un volto a dei prossimi, di accettare il dialogo con coloro che sono altri, e di riconoscerci reciprocamente come cristiani nel senso più pieno del termine. La Charta è l'impegno comune su un cammino verso il centro, verso il Cristo presente in mezzo a noi. È perché il Cristo è tra noi che potremo senza timore considerarci come fratello e sorella.
Non siamo solo noi a scrivere la nostra cartina stradale. È l'opera dello Spirito di Dio a spingerci senza sosta gli uni verso gli altri alla ricerca di Cristo. Non sono le nostre virtù, la nostra carità o il nostro ideale cristiano a dettare i nostri passi ecumenici ma l'imperiosa spinta dello Spirito che non ci lascia nei nostri rifugi! E c'è nella Bibbia una tappa del viaggio che mi sembra raccontata proprio per le fatiche dell'ecumenismo, una tappa che mostra che non c'è cammino così remoto che Cristo non possa percorrere con noi. È la tappa di Emmaus, proprio dopo Pasqua. Due discepoli camminano, sconvolti dalla crocifissione che ha messo fine alle loro speranze. Lasciano Gerusalemme e non hanno riconosciuto lo straniero che si unisce a loro, e che è proprio colui che vogliono fuggire! Ascolta la loro pena e reinterpreta positivamente il cammino già percorso: non è una sconfitta, ma il compimento delle Scritture ed un altro inizio. Coloro che sono abituati al movimento ecumenico vi si riconosceranno: ci sono tappe talmente scoraggianti che non si pensa che a fuggire dopo l'immensa delusione delle improvvise tempeste che arrivano quando non ce lo si aspetta! Ma il Cristo ci riacciuffa e, se continuiamo, non è proprio per il nostro ideale ma perché lui sa ridarci coraggio. Egli interpreta il cammino restato oscuro come colui che malgrado tutto giunge al suo fine. Si rivela maestro sulle oscurità che non dominiamo, risponde alla nostra inquietudine e ci permette, nella preghiera, di lasciare le nostre paure per il futuro: "Resta con noi, perché si fa sera". Alla fine, questi compagni di viaggio verso Emmaus si scoprono discepoli malgrado essi stessi, riacciuffati dal Cristo! Nessuna strada della Chiesa andrà verso la sconfitta perché Cristo ha promesso di accompagnarci tutti i giorni. Questa promessa ci libera da ogni inquietudine rispetto alla nostra sorte.
La tappa di Emmaus non è ancora arrivata al suo termine. Siamo lontani dalla locanda, lontani dal poter condividere tutti insieme la tavola della comunione con il Risorto. Il viaggio è tanto più difficile perché sappiamo che la tappa è ancora inaccessibile.
Ma voi, responsabili delle Chiese, delegati di questa assemblea, potete fare in modo che Strasburgo sia una tappa primordiale per la charta oecumenica, una tappa tra il mattino di Pasqua e la locanda di Emmaus. Una tappa modesta in sé e tuttavia ricca di conseguenze. Sarete gli ambasciatori della charta nei vostri Paesi e nelle vostre Chiese. Sarete gli avvocati del popolo della Chiesa che aspira a vivere un'unità più concreta, più visibile, più fiduciosa. Voi giovani, sarete gli iniziatori di una generazione che deve prestare attenzione al dialogo con coloro che sono altri. Voi tutti sapete introdurre una nuova dinamica. Se le Chiese non fanno i primi passi della fiducia reciproca, chi li farà? In Europa ci sono molti luoghi come Strasburgo, che portano le ferite delle lotte nazionaliste, che hanno visto le lacerazioni delle famiglie, delle amicizie, dei villaggi, delle controversie tra confessioni cristiane, delle lotte tra culture. Diciamo insieme: mai più, e cominciamo! L'Europa ha bisogno della riconciliazione delle Chiese per curare le ferite dei popoli. Ha bisogno di segni di perdono. E che possono temere i cristiani a cui il Maestro promette la sua presenza quotidiana? In nome del popolo delle Chiese, chiedo a voi che avete la cura d'anime, la cura del futuro, la cura della speranza, di impegnarci su un vero cammino di conversione, conversione al Cristo tra noi, e conversione delle Chiese le une alle altre.
Noi facciamo fatica, come i pellegrini di Emmaus, a riconoscere il Cristo davvero presente nelle altre Chiese. Ma tuttavia, non è già come un fuoco nei nostri cuori? Spero che quando alla fine dei secoli condivideremo tutti insieme il Banchetto del Regno, e ci ricorderemo di tutte le tappe percorse fin lì, ci diremo: c'era già un fuoco nel nostro cuore, quando eravamo in cammino! Forse allora qualcuno aggiungerà: "Sì, mi ricordo, questo fuoco nel nostro cuore, era a Strasburgo".

(sommario)

 


 

 

FUORI DAI CIRCOLI ECCLESIASTICI PER ABBRACCIARE L'UMANITÀ INTERA

Anastasios, arcivescovo ortodosso

1. Mi ricordo di un giovane ecclesiastico che, circa 37 anni fa, era nell'isola di Patmos in un lungo ritiro. Seduto di fronte all'immensità del mare, si trovava ad affrontare un dilemma difficile: restare nel suo bel Paese in Europa, in un ambiente che amava e dove era amato, o osservare l'ultimo comandamento del Signore "Andate dunque...", e partire per l'Africa. Nessuna garanzia gli era offerta per questo viaggio e per quell'avvenire. Fissando, dalla sua cella ascetica, l'orizzonte dell'immenso mare, rivolse il suo sguardo dentro di sé, alla ricerca di una risposta soddisfacente per la più grande decisione che doveva prendere in relazione alla volontà di Dio.
La risposta venne sotto la forma di una domanda cruciale: "Dio conta sufficientemente per te? Se sì, allora parti. Se no, allora resta dove sei". Un'altra domanda venne a rafforzare la prima: "Ma se Dio non conta sufficientemente per te, in quale Dio credi?". Allora fu presa una decisione serena, che l'orientò su un periplo innovatore nel quadro di nuove frontiere missionarie.
Nelle ore più cupe incontrate sul suo cammino, egli ha sempre trovato una garanzia fondamentale e un conforto nell'assicurazione del Cristo resuscitato: "E io sarò con voi tutti i giorni". Nel testo originale greco: "Kai idhou eyo meth 'mon eimi pasas tas imezas" (=tutti i giorni).
37 anni più tardi, il giovane ecclesiastico in questione ha oggi l'onore di indirizzarsi a questo caro uditorio composto di rispettabili anziani - avendo avuto esperienze parallele o analoghe - e di giovani dinamici che sono seriamente impegnati, a motivo della loro vocazione, nel lavoro di proclamazione del messaggio e della speranza veicolati dal Vangelo della Resurrezione.

2. Riflettendo sulle parole del Signore: "E io sarò con voi", bisogna situare questa garanzia fornita dal Cristo nel suo contesto biblico. Con questa garanzia, il Cristo ci dà un'assicurazione e un comandamento. Questi tre punti - l'assicurazione, il comandamento e la garanzia - formano un'unica catena di tre anelli. L'assicurazione del Signore resuscitato è questa: "Mi è stato donato ogni potere sul cielo e sulla terra" (Mt 28,18), e il comandamento che segue immediatamente dopo: "Andate dunque e fate discepoli in ogni nazione". Se la frase "E io sarò con voi tutti i giorni" è presa isolatamente, perde di logica e dinamismo. Ma in relazione con gli altri due legami (la congiunzione "e" l'esige), la stessa frase getta una luce unica di responsabilità su tutti gli aspetti della nostra vita ecclesiastica, nell'immediato e a lungo termine.
Innanzitutto, bisogna prendere coscienza che la conseguenza della stupefacente vittoria riportata da Cristo con la sua resurrezione non si limita a un cerchio ristretto di persone o di nazioni, ma riguarda tutti gli uomini. Cristo "resuscitato dai morti" riceve il potere di liberare l'umanità dalle potenze demoniache e di trasformare ogni forma di vita, comprese le relazioni e gli sviluppi relativi all'Ecumene. Le parole emozionanti di san Paolo cominciano ad esprimere l'Onore, la Gloria e il Potere messo in opera nel Figlio resuscitato dai morti, insistendo sul fatto che egli è stato elevato al di sopra di tutto, "ta panta" (Ef 1,21, Col 1,16-21, Fil 2,9-11); dunque non solo quello che concerne il regno umano, ma anche tutta la creazione.
Gli undici e i loro successori, al momento di essere inviati nel mondo, sanno che hanno dietro Colui che è dotato di ogni potere universale. Perché "ogni potere" è stato dato al Cristo, e di là discende la missione universale della Chiesa.

3. Il Signore dell'universo promette di essere al nostro fianco. Prestiamo un'attenzione particolare alla prima parola, la congiunzione "e". L'assicurazione della presenza continua del Risorto non è una garanzia astratta. Il Cristo non ha dato quest'assicurazione ai discepoli affinché essi si accontentassero di restare nel seno di una comunità chiusa. Questa promessa non è dissociabile dalla nozione di missione dei discepoli, il loro cammino all'esterno, nel mondo. Essa sarà fonte di speranza nelle ore di pericolo e di incertezza che dovranno affrontare come stranieri negli ambienti in cui si recheranno. Essa è intrinsecamente legata all'"Andate dunque".
Nel passato, numerosi europei hanno dato a questo comandamento del Signore una connotazione geografica: ai confini dell'Africa o dell'Asia, in Paesi non ancora evangelizzati. Devo confessare che io stesso non avevo mai immaginato che l'estremità del mondo potesse essere vicina geograficamente, nella stessa Europa... in Albania. E invece, in questo Paese, il Cristo è stato di nuovo crocifisso e sepolto, segno di una fede sradicata durante 23 anni.
Allo stesso tempo, prendiamo coscienza di qualcosa che può talvolta presentare un pericolo ancora più grande della persecuzione religiosa: sto parlando dell'indifferenza di certi Paesi europei, all'ovest come all'est, che, consciamente o inconsciamente, sono al seguito di idoli che hanno per nome denaro, conforto, desiderio e potere. Di fronte a tutte queste situazioni che il nostro continente deve affrontare a causa di atteggiamenti religiosi negativi, il comandamento del Signore resuscitato reclama una nuova dinamica fuori dal tempo: "Andate dunque: fate discepoli in ogni nazione", comprese le nazioni d'Europa. Nazioni che hanno duramente perseguitato Cristo durante decenni, nazioni che l'hanno respinto con arroganza e indifferenza. Il discorso riguarda anche certe nazioni che considerano Cristo come loro proprietà esclusiva, un po' come un dio domestico o una vecchia deità nazionale.
Quando osiamo prendere nuove iniziative, lasciando coraggiosamente i luoghi tradizionali e confortevoli per raggiungere nuovi contesti geografici, sociali, ideologici e culturali, unicamente per proclamare il messaggio della crocifissione e della resurrezione, allora è in quel momento preciso che queste parole, "E io sarò con voi", acquistano tutto il loro senso. Sicuramente, se rimaniamo fedeli all'ultimo comandamento, non possiamo lasciarci interamente assorbire dai "problemi europei". Ma, ancora una volta, quale problema mondiale non è anche un problema europeo!
Così come siamo obbligati a far fronte ai bisogni delle Chiese europee, noi, cristiani d'Europa, non abbiamo il diritto di dimenticare il nostro dovere verso le popolazioni di altri continenti, soprattutto quando sono ancora in sviluppo e alla ricerca di nuove possibilità. Queste popolazioni aspirano non solo ad uno sviluppo finanziario e tecnologico, ma anche alla dignità, al risveglio spirituale e all'amore disinteressato che solo la fede cristiana può offrire. Se noi, le Chiese europee, ci fermiamo su noi stesse, non preoccupandoci che dei nostri soli fedeli, lasciando a entità laiche, finanziarie e politiche il compito di prendere iniziative e di assumere responsabilità nella mondializzazione in cammino, rischiamo alla fine di tradire il Vangelo.
Un passo della Bibbia mette in guardia contro la polarizzazione dell'Europa e del mondo: è di san Luca, negli Atti degli Apostoli. Le parole del Signore si indirizzano ai discepoli in questo modo: "Sarete allora miei testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa, fino agli estremi confini della terra" (At 1,8). Una parafrasi attualizzata potrebbe aggiungere: "a Strasburgo e in tutta la Francia, in Europa e nel mondo intero".

4. Questa apertura del nostro orizzonte ci permette di guardare in faccia la questione essenziale della mondializzazione, in relazione alla presenza di Cristo resuscitato? Nella luce pasquale possiamo considerare ogni cosa con ottimismo e con pensiero creativo - anche la mondializzazione - e agire, intervenire con determinazione e lottare senza scoraggiarci per vincere la violenza, l'ingiustizia e la privazione della libertà, cominciando dal nostro ambiente vicino, dalla nostra famiglia, dalla nostra parrocchia, dalla nostra città, dal nostro Paese e in Europa.
La nostra fede e la nostra devozione non si limitino al nostro contesto, al nostro Paese o all'Europa, ma ci chiamino ad abbracciare l'umanità intera e ogni cosa, "ta panta", con speranza e amore. La crocifissione e la resurrezione di Cristo hanno aperto la prospettiva e la possibilità di una forma diversa di mondializzazione, superando l'egocentrismo personale e collettivo e coltivando l'amore a livello locale e planetario.
Grazie alla resurrezione di Cristo, evolviamo in una sfera a scala planetaria. Quando siamo tentati di confinarci nei nostri piccoli egoismi - personali, locali, nazionali o europei - la crocifissione e la resurrezione ci mettono di fronte alla nostra responsabilità rispetto all'Ecumene. Ricordiamoci che la Chiesa non può essere una società chiusa, di felici eletti che gioiscono in modo esclusivo dei doni di Dio reclamando conforto, privilegi e poteri. No, la Chiesa è al contrario la comunità eucaristica dei fedeli, che conosce e celebra l'esperienza del Signore resuscitato, che ha trionfato sulla morte. Forte di questa verità, essa dà vita e trasforma anche la vita di tutta l'umanità, nella libertà e nell'amore, perché in definitiva noi sappiamo che "ogni potere... sul cielo e sulla terra" è stato dato a Lui, ipostasia dell'amore.

5. Per fare emergere tutte queste nuove sfide, abbiamo bisogno di un nuovo slancio pasquale, lasciando la sicurezza dei nostri circoli ecclesiastici. È precisamente su questo cammino difficile che ci rendiamo conto di trovare sostegno e fonte di pace nell'assicurazione data dal Signore "E io sarò con voi". Il pronome personale "Io" è messo ad inizio di frase, con una particolare enfasi, insistente sul fatto che nessun altro, neanche un angelo o un'altra entità della stessa natura, unicamente il Signore resuscitato dunque, il Re dell'universo, sarà nostro protettore e nostro alleato. "Io sarò con voi", non un qualunque idolo come quelli che creiamo spesso, ma "Io", il Cristo Gesù, definito dalle mie parole e dalle mie azioni, dalle Beatitudini fino al mio sacrificio sulla croce.
Questa promessa non riguarda solo gli undici apostoli, include tutti coloro che credono e che si assumono la responsabilità di condividere con il mondo il Vangelo della resurrezione. La presenza di Cristo nella vita dei fedeli riposa su una relazione d'amore sincero e di obbedienza alla Sua volontà, a suo modo inserendo il credente nel cerchio eterno della Santa Trinità. "Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; io pregherò il Padre: egli vi donerà un altro Paracleto che resterà con voi per sempre. È Lui, lo Spirito di verità" (Gv 14,15-17). Cristo ha parlato così ai suoi discepoli prima della sua passione e dopo la sua resurrezione. E ha dato loro il comandamento seguente: "Come il Padre ha inviato me, a mia volta io invio voi". Dopo aver così parlato, ha soffiato su di essi e ha detto: "Ricevete lo Spirito Santo" (Gv 20,21-22). La presenza dello Spirito Santo è legata alla loro missione di ambasciatori di Cristo nel mondo. Il Signore resuscitato è presente nelle nostre vite attraverso lo Spirito Santo.
La frase "battezzare in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" mette in evidenza la verità secondo la quale il fare dei discepoli non si può compiere con la sola forza umana, ma unicamente grazie al potere di Dio. Tutto il dinamismo della Chiesa riposa su questa certezza e si esprime particolarmente nella Santa Eucarestia. La sua presenza è visibile in permanenza attraverso l'energia dello Spirito Santo, e questa coscienza è rinnovata in modo speciale durante la celebrazione del culto, che non dovrebbe pertanto mai divenire un rifugio di riposo emozionale per chi ha trovato la salvezza, bensì una testimonianza pasquale che supera le frontiere, un esodo continuo nelle nuove regioni che attendono di ricevere l'energia del Santo Spirito, fonte di vita.
Esiste un cantico pasquale che solitamente recitiamo nella Chiesa ortodossa dopo la Santa Comunione: "O voce divina, voce amata, voce benevola! Tu hai promesso solennemente di esser con noi fino alla fine dei tempi. Forti di questa promessa come fonte di nostra speranza, noi gioiamo".

6. L'esperienza cristiana più profonda risiede precisamente nella coscienza della presenza del Cristo, nel fatto di essere suoi compagni, di amarlo, lui che è l'amore, di vivere in libertà con lui che ha liberato ogni forma di schiavitù. "E io sarò con voi tutti i giorni" nelle ore calme, quando lo sguardo si posa sull'infinito, nel macrocosmo o nel microcosmo, negli sforzi quotidiani, nel compimento del dovere ovunque ci si trovi, al fine di trasformare il lavoro in una liturgia permanente dopo la Santa Eucarestia.
"E io sarò con voi". Questa certezza ci riempie di speranza, di gioia e di potere. Di speranza, di fronte alle crisi e alle tempeste che attraversiamo nelle nostre vite personali; di speranza, di fronte alle divisioni indiscutibili che hanno pesato sulle Chiese nel corso del secondo millennio; di speranza, di fronte ai vicoli ciechi della giustizia sociale e della violenza nelle sue più varie forme, che continuano a tormentare l'umanità.
Questa certezza ci riempie di gioia, che viene dalla presenza mistica del Ben-amato, che è amore infinito; una gioia immensa che ci aiuta a superare seriamente le prove, gli oltraggi, le stesse sconfitte. Con questa gioia immensa della resurrezione, la Chiesa avanza vittoriosamente nel mondo, e se perde questa gioia, perde il mondo.
Questa certezza ci riempie di potere, quello di sopportare il freddo della solitudine come lo stress della sofferenza e della sconfitta. Ci dà il potere della creatività nell'arena ideologica della cultura, favorendo nuove forme di coesistenza pacifica fra i popoli. Un potere al servizio di nuove iniziative ispirate dallo Spirito di Dio.

7. "E io sarò con voi, tutti i giorni". L'esperienza concreta che ho descritto all'inizio continua a risuonare nel mio cuore come una parafrasi esistenziale del verso già citato. "Dio conta sufficientemente per te?". Se sì, puoi andare avanti. Anche nelle missioni più difficili che ti affiderà. Ma se non conta sufficientemente per te, devi domandarti se veramente credi nel Cristo resuscitato che ha affermato: "E io sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo".
In questo inizio di millennio, noi cristiani d'Europa, gli anziani e i giovani, siamo chiamati ad andare avanti con un ottimismo rinnovato ed una nuova energia al servizio di una riconciliazione e di una coesistenza creativa in Europa e nel mondo intero. Dobbiamo avanzare nella certezza gioiosa che siamo gli ambasciatori di Colui che ha dichiarato "Mi è stato donato ogni potere" e continua ad affermare "E io sarò con voi".
Andate avanti con la certezza che "ogni cosa" è messa sotto l'autorità del Signore resuscitato, non solo l'umanità nel suo insieme, ma anche l'intera creazione. Invece che per la mondializzazione economica, che conduce allo sfruttamento della maggior parte degli uomini, lottiamo, ognuno secondo le proprie possibilità e opportunità, per una fraternità ecumenica che riposa sulla libertà, il rispetto dell'altro e l'amore che emana dalla croce e dalla tomba fonte di vita del Cristo resuscitato. Avanziamo con Cristo, con la resurrezione nei nostri cuori, e sulle nostre labbra questo grido "Cristo è resuscitato", nell'assicurazione permanente che il Signore resuscitato è "con noi, fino alla fine del mondo". Che questa certezza ci riempia di potere e di speranza per il presente e il futuro, per noi, per il nostro Paese, per l'Euro-pa e il mondo intero.

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E ORA ADDIO AL "SECOLO DELLA VIOLENZA"

John Arnold, decano anglicano

Stiamo dicendo addio al 20.mo secolo, definito "secolo della violenza" dai redattori dell'opera Cambridge Modern Histor'. Era un secolo fuori dall'ordinario, seguìto ad un secolo di progresso che, nella sua etica e nel suo ottimismo, ci sembra più lontano del I secolo d.C., durante il quale fu scritta l'Epistola agli Ebrei, e del VI secolo a.C. quando i profeti lanciavano le loro profezie. Infatti, nel 19.mo secolo, malgrado tutti gli errori commessi e le sciagure subite, la gente credeva veramente nel progresso. Anche i poveri e gli oppressi, senza contare i ricchi e i benestanti, tutti credevano fermamente che tutto sarebbe andato meglio secondo un processo naturale, poiché il passato aveva prodotto automaticamente un presente migliore, che a sua volta avrebbe generato un avvenire ancora più bello. Questo ottimismo non si nutriva unicamente di capitalismo animato da spirito d'impresa e d'imperialismo; i movimenti opposti del socialismo e del comunismo erano animati dalla stessa dinamica, partendo da un passato ombroso, passavano per un presente più luminoso, per sfociare in un futuro glorioso, dove il dolore e la sofferenza, la morte, la disperazione e la perdita sarebbero state spazzate via, trascinate dal torrente del progresso.
Quando le nazioni europee si apprestavano a conquistare il mondo intero, e le loro Chiese erano pronte ad evangelizzare il mondo di questa generazione, queste stesse nazioni si sono rivoltate contro se stesse, con il risultato di una seconda guerra dei 30 anni (dal 1914 al 1945) durante la quale si sono dilaniate, trascinando il resto del mondo in questo conflitto e nei suoi sconvolgimenti. Si stima che nel corso del 20.mo secolo, non sono meno di 150 milioni gli esseri umani - altrettanti figli di Dio - che sono stati uccisi avendo fatto ricorso alla violenza. Oggi, più nessuno crede veramente nel progresso, almeno non come prima.
Certamente, personalità pubbliche ne parlano con quello che il poeta russo Evtushenko definisce "l'ottimismo di colui che ha le guance ben paffute e che gonfia i suoi bicipiti"; e tuttavia sono i poeti, i pittori, gli artisti di tutti i generi, i profeti ed anche i preti che, nell'ambito del loro lavoro, i più suscettibili a farsi eco della casa d'Israele nella valle, quando essi dissero a Ezechiele "Le nostre ossa sono disseccate, la nostra speranza è scomparsa, siamo a pezzi" (Ez 37-11). Che ne è dei nostri 150 milioni di mucchi d'ossa bruciati e imbiancati? Non possono essere rivendicati dalla marcia in avanti del progresso, perché la storia non può essere corretta e i mortali non possono far resuscitare i morti. Nessun avvenire umano potrà consolarci del passato, come farebbe una madre abbracciando una bambino ferito. E pertanto dovrà esserci una speranza per il passato, dovrà esserci un avvenire per l'insieme dell'umanità dopo l'alba della storia, se il presente deve avere un senso al di là del livello della soddisfazione dei sensi. Per essere pienamente viventi, dobbiamo essere in grado di dare un senso agli orrori che abbiamo attraversato, al passato con le sue rovine e i suoi corpi spezzati. Non osiamo respingerlo per la paura di ripeterlo, così dobbiamo affrontarlo con fede in qualcosa di più forte di lui, con una convinzione ancorata più solidamente della vana credenza nel progresso.
Le Sacre Scritture dell'Antico e del Nuovo Testamento sono la fonte di questa fede, con un ribaltamento totale della prospettiva. Dicono che il passato non può essere vinto dal passato; al contrario non può essere vinto che dal futuro, sia che si tratti di un vento che soffia sulla valle e insuffla una nuova vita ai morti, o che lo si faccia per la fede nella Resurrezione di Gesù Cristo, come dice l'Epistola agli Ebrei, attraverso la via vivente che come precursore ci ha aperto, penetrando al di là del velo (ossia al di là della sua carne).
Questa frase ravviva la speranza. Significa che la discesa nell'incarnazione è stata compiuta al livello più basso della vita e della morte umana, nella sofferenza e nell'umiliazione della croce, e nell'opera redentrice di Cristo nel più profondo dell'inferno, nel passato come nel presente, nel tempo ma anche nell'eternità, nell'ascensione della vita resuscitata. Questo significa che nessuno, nessun avvenimento, nessuna tragedia, nessuna catastrofe, nulla è più forte di quello che l'autore chiama "le forze del mondo a venire" (Eb 6-5), che nessun orrore superi il raggio d'azione della fede, della speranza e dell'amore.
E per fare in modo che questo non resti un semplice ideale, se siamo incoraggiati ad avvicinarci a Dio in piena confidenza e nella fede, a restare fedeli alla confessione della nostra speranza e a suscitare l'amore verso l'altro, il nostro compito è facile, anche se è difficile essere solidali e ricercare l'incontro. Non si tratta di un dovere prescritto dalla Chiesa - anche se è così - ma di un reale impegno a restare risolutamente al fianco dei nostri fratelli cristiani nei momenti difficili.
Come proclamiamo nella Charta oecumenica ,"Gesù Cristo, il Signore della Chiesa una, è la nostra più grande speranza di riconciliazione e di pace. Nel suo nome vogliamo continuare la nostra rotta comune in Europa. Preghiamo perché Dio ci guidi con la potenza dello Spirito Santo".

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3 maggio 2001

Charta Oecumenica: una grande sfida per il futuro dell'ecumenismo

Intervista a Gianni Long, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI)

Roma (NEV), 2 maggio 2001 - Al presidente della FCEI, prof. Gianni Long, abbiamo chiesto una valutazione della Charta Oecumenica, il documento per la collaborazione tra le chiese cristiane in Europa sottoscritto il 22 aprile a Strasburgo, a conclusione del settimo Incontro ecumenico europeo organizzato congiuntamente dalla Conferenza delle chiese europee (KEK) e dal Consiglio delle conferenze episcopali in Europa (CCEE).

Prof. Long, come valuta nel complesso la Charta Oecumenica, firmata a conclusione dell'Incontro ecumenico di Strasburgo?

Si tratta di un documento certamente positivo. Si tratta del frutto di compromessi tra posizioni diverse; ma credo che rinviarlo ancora - in attesa del meglio - avrebbe significato confessare che le tre grandi "famiglie" cristiane europee non hanno nulla da dire insieme. Invece, hanno detto con la Charta Oecumenica una serie di cose importantissime: hanno riconosciuto insieme il diritto di libertà religiosa dei singoli e delle altre confessioni, anche delle cosiddette "sette"; hanno insieme ripudiato il nazionalismo e il razzismo; hanno insieme riconosciuto che uno speciale rapporto comunitario li lega agli ebrei e contemporaneamente aperto all’Islam. Si tratta di affermazioni fondamentali; e a Strasburgo ho potuto verificare che talune di queste affermazioni sono tutt’altro che pacifiche all’interno di molte chiese. Per cui la Charta è una grande sfida per il futuro e non solo la registrazione di cose su cui l'accordo c'è da tempo.

Quale "clima" si respirava a Strasburgo durante questo importante incontro ecumenico?

Ho avuto occasione di dire di recente che a Strasburgo ho respirato una boccata d’aria di ecumenismo europeo: in effetti il clima ecumenico di molti paesi europei è più avanzato di quello italiano. Non è un caso che il testo base della Charta Oecumenica sia stato redatto in tedesco. La Germania - e la Svizzera dove hanno sede sia la KEK sia il Consiglio delle conferenze episcopali cattoliche - sono il centro dell’ecumenismo europeo, paesi in cui non esistono maggioranze religiose, ma dove tutte le chiese sono minoranze, più o meno consistenti. Ciò spinge a confrontarsi continuamente con l’altro a tutti i livelli. I paesi dove esiste una confessione dominante (cattolica al sud, protestante al nord, ortodossa all’est) sono molto meno interessati all’incontro di persone, ma semmai ad una "diplomazia" di alti vertici delle chiese. Strasburgo non è stato un incontro di massa, come Basilea o Graz. E’ stata una occasione per incontrare molte figure autorevoli del cristianesimo europeo (in particolare dell’episcopato cattolico, data la coincidenza con la riunione plenaria del Consiglio delle conferenze episcopali). Ma la presenza di un buon numero di giovani ha un po’ sconvolto lo schema "verticistico". Anche i giovani erano espressione di organizzazioni ecclesiastiche; ma la loro presenza a tutti i tavoli di discussione non ha permesso un sistema di bilanciamenti che talora congela gli incontri ecumenici.

E in Italia? Quali sono le prospettive del dialogo ecumenico?

L’Italia è certo uno di quei paesi in cui l’ecumenismo non è l’interesse fondamentale delle chiese. La chiesa cattolica – ce lo siamo sentiti ribadire anche in coincidenza con l’incontro di Strasburgo – continua a ritenere di rappresentare più del 99 per cento dei cittadini italiani e che quindi il dialogo con le altre chiese cristiane conti poco. E le altre chiese cristiane italiane hanno un naturale atteggiamento difensivo: è importante non "appiattirsi" sulla chiesa maggioritaria. Io spero che la Carta ecumenica possa importare in Italia un clima più europeo. L’Europa unita non ha una religione dominante: è in questo senso come la Svizzera o la Germania. Credo che parlare in tutte le sedi della Carta Ecumenica possa essere un buon contributo al dialogo tra le chiese italiane, ma anche a rendere più europei tutti i nostri concittadini, anche quelli che non si riconoscono in nessuna chiesa cristiana.

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"Il Dialogo - Periodico di Monteforte Irpino" - Direttore Responsabile: Giovanni Sarubbi

Registrazione Tribunale di Avellino n.337 del 5.3.1996