Testi, preghiere, interventi sulla teologia della liberazione

VIVIAMO PER MORIRE O MORIAMO PER RISUSCITARE?

Anno C- 15 aprile 2001 - Domenica di Pasqua

(At 10,34.37-43; Sal 117; Col 3,1-4; Gv 20,1-9)

"Non avevano ancora compreso che egli doveva risuscitare dai morti"

Le omelie di Leonardo Boff

(teologo brasiliano)

 

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La Chiesa non annuncia mai solo la croce e non proclama mai solo la gioiosa notizia della resurrezione di Cristo. Croce e resurrezione costituiscono l'unità di uno stesso avvenimento: colui che è stato disprezzato sulla croce, è stato anche resuscitato alla gloria. Annunciare solo il martirio della croce esalterebbe il coraggio e l'abnegazione di un eroe in favore degli uomini, ma ci lascerebbe senza speranza. Annunciare solamente la resurrezione genererebbe certamente euforia ma ci lascerebbe insensibili di fronte al destino dei crocifissi della storia. Annunciando la morte e la resurrezione insieme, come fanno i vangeli, vogliamo professare la vittoria della vita sulla morte e l'irruzione della luce liberatrice a partire dalle tenebre dell'oppressione.
Possiamo comprendere a fondo il significato della resurrezione solo se prendiamo sul serio gli interrogativi radicali del cuore. Per tutti la morte è un enigma e un mistero. Che senso ha la vita, se procede inesorabilmente verso la morte? Il senso che diamo alla morte costituisce il senso che diamo alla vita. Se la morte significa dissoluzione della vita, questa perde tutto il suo valore.
Più angosciosa ancora è quest'altra questione: che senso ha la morte degli innocenti, di coloro che si sono impegnati a rendere la vita più giusta e più umana e sono stati violentemente eliminati? Chi può rendere loro giustizia? È sufficiente un minuto di silenzio per i martiri anonimi sacrificatisi per i diritti degli umiliati e degli offesi? Le rivoluzioni vittoriose non possono resuscitarli perché partecipino dei frutti del loro sacrificio. Siamo condannati a vivere per dovere alla fine morire? O al contrario, la morte e la resurrezione di Gesù ci insegnano un'altra verità, che, cioè, viviamo e moriamo per resuscitare?
Il mistero pasquale della morte e della resurrezione di Gesù risponde a tali questioni. La vita chiama la vita; la morte non distrugge la vita, apre solo alla possibilità di un'altra forma di vita più alta e piena, perché realizzata nello spazio dell'eternità. Alla fine non c'è un muro, ma una porta che si apre. La morte violenta di quanti si sono impegnati per la giustizia non è assurda. Apre l'accesso alla pienezza della vita, perché Gesù è stato condannato per il suo impegno a favore della giustizia del Regno di Dio e la sua resurrezione è venuta a legittimare questo tipo di morte. Morire così non è solo degno e santo. È ereditare la resurrezione, che significa pienezza della vita umana in Dio.
Questa vita nuova non irrompe dopo la morte. È più forte della morte, è anteriore alla morte. San Pietro, nel suo discorso negli Atti degli Apostoli, descrive, in una frase, com'era questa vita: Gesù di Nazaret, consacrato in Spirito Santo e potenza "passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo" (Atti, 10,38). Un'esistenza totalmente dedita al bene e alla liberazione degli oppressi non avrebbe potuto essere ingoiata dalla morte. Dio avrebbe smesso di essere quello che è, il Dio vivo e creatore di vita.
Il trionfo della vita di Cristo è talmente potente che coinvolge la vita di tutti coloro che assumono la sua causa: cominciano anch'essi a resuscitare (cfr Rm 6,3-13; 8,11.17).
Paolo evidenzia il fatto che siamo già stati resuscitati con Cristo (Col 3,1; Ef 2,5-6); certamente non si tratta di un fatto concluso, poiché abbiamo davanti a noi tutto il pellegrinaggio terreno, ma realmente un fatto già iniziato. È qui che risiede la fonte della gioia e della giovialità cristiane. Dopo che Cristo è resuscitato, non hanno più senso la tristezza e la paura angosciosa della morte. La morte è stata smascherata come uno spauracchio che metteva paura alla vita: "la morte è stata ingoiata per la vittoria" (1Cor 15,55).
La resurrezione è un processo di vita nuova nel quadro della vecchia. Tutto ciò che fa crescere la vita nella sua autenticità umana sta alimentando i semi di resurrezione depositati nel nostro corpo mortale. Quello che rende la vita autenticamente umana è la ricerca dell'amore disinteressato, l'impegno per la giustizia di tutti, soprattutto degli oppressi, lo sforzo di creazione di strutture di convivenza fraterna, la capacità di perdonare e di sperare contro ogni speranza.
La morte libererà la potenza di questa vita nuova e le affiderà un'espressione simile a quella di Cristo glorioso (cfr Col 3,4). La resurrezione è dono prezioso di Dio, ma anche costruzione onerosa dell'essere umano, che già comincia nel presente e maturerà fino all'eternità.

 Tratto da Adista


"Il Dialogo - Periodico di Monteforte Irpino" Direttore Responsabile: Giovanni Sarubbi

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