Il macroecumenismo

Il volto diverso di Dio nella comunione delle culture

Marcelo Barros

Publichiamo un bellissimo contributo di dom Marcelo Barros -teologo e scrittore brasiliano- sul macroecumenismo; la traduzione è del diacono Marco Di Tomassi.

Documenti Il Dialogo Home Page Scrivici

Tra tutte le questioni democratiche nessuna è arrivata al XXI secolo in modo tanto mal risolto quanto il razzismo. Essa si manifesta in forme nuove di discriminazione sociale e di protezione delle società ricche contro l’onda dell’ "invasione dei barbari", che minaccia le isole di prosperità del primo mondo. Per lo stato americano non sembra aver importanza la quantità di poveri latino-americani assassinati dalla polizia, o uccisi dall’inclemente deserto quando tentano di attraversare la frontiera dal Messico agli Stati Uniti. Ogni giorno sorgono nel primo mondo nuove denunce di schiavitù mascherata ed esplodono ovunque conflitti etnici nei quali, oltre alle questioni economiche e sociali, è l’odio razziale a costituire un importante fattore di violenza.

In questi giorni l’ONU comincerà a Durban, nell’Africa del Sud la Conferenza Mondiale contro il Razzismo, la Discriminazione Razziale, la Xenofobia e l’Intolleranza che ne deriva. L’incontro vedrà la presenza di 15 mila persone del mondo intero, tra delegati, attivisti, curiosi e giornalisti. Alain Jenkins, uno degli organizzatori, dichiara: "Il nostro obiettivo è contribuire a sradicare tutte le forme di razzismo nel mondo".

Poiché le leggi internazionali e la coscienza sociale dell’umanità, in quest’inizio di XXI secolo, non accettano più il razzismo, questo assume un volto nuovo, più mascherato. La principale barriera continua ad essere l’economia e l’accesso al mercato. Una rivista ha fatto un sondaggio in un grande Shopping-center a Rio de Janeiro su quante persone di colore siano state assunte come funzionari dai 350 negozi del gran centro commerciale. La percentuale di negri/e assunti nei negozi non arrivava al 10 %.

L’IPEA (Istituto di Ricerca Economica Applicata) ha pubblicato che il Brasile dei bianchi è 2,5 volte più ricco del Brasile dei negri. Nell’istruzione un bianco di 25 anni ha, in media, il doppio degli anni di studio di un negro della stessa età. La ricerca mostra che circa il 34 % della popolazione vive in condizioni di povertà e il 14 % in situazione d’indigenza. I negri costituiscono il 64 % dei poveri e il 69 % degli indigenti. Nel 1999, il tasso di disoccupazione è stato dell’8,9 % tra i bianchi e del 10,6 % tra i negri.

Un ministro brasiliano è stato interrogato sul perché il sistema penale e la giustizia criminale brasiliana abbiano una "predilezione" per i negri e trattino la popolazione negra in modo diverso. Il ministro ha risposto che, di fatto, la legge può evitare che si violino i diritti di qualcuno, ma non ha il potere di obbligare il bianco ad amare il negro.

Non so se nella Conferenza di Durban qualcuno tratterà il tema della relazione tra religioni e culture, ma mi propongo di discutere con voi alcuni elementi riguardo al modo in cui il Dialogo Inter-religioso possa collaborare a suscitare questo rispetto e amore che la legge, in quanto tale, è incapace di creare. Penso che tutti concordino su un fatto: se le comunità negre e indigene hanno resistito a secoli di persecuzione e, oggi, rappresentano per noi segnali di vitalità e alcuni popoli indigeni rappresentano segnali di risurrezione, uno dei motivi più forti è costituito dal fatto che, nonostante tutti gli attacchi e le minacce, hanno saputo mantenere vive le proprie culture e religioni. Affronterò specificamente la relazione tra Cristianesimo e Religioni Negre e Indigene latino-americane. So che il Consiglio Ecumenico delle Chiese ha un’ esperienza lunga e molto feconda di opposizione al razzismo, a partire dalla nostra opzione di fede. In un incontro come questo, con persone altamente specializzate ed esperte dell’argomento, quale contributo posso dare, se non condividere con voi qualcosa della mia esperienza personale e di come vivo questo problema insieme ai miei fratelli del Monastero di Goiás e sul nostro modo di cercare il volto di Dio nel dialogo con il diverso. Desidero anche condividere non conclusioni ma domande e questioni che colgo nei gruppi che hanno fatto la scelta del Macro-ecumenismo. Soprattutto desidererei che discutessimo sul come approfondire il Dialogo Inter-religioso e specialmente la comunione con le culture negre e indigene in mezzo a gruppi cristiani che, attuando una lettura fondamentalista della Bibbia, continuano a considerare le religioni popolari come idolatriche e demoniache.

1 – Radici di un ecumenismo radicale latino-americano

Nell’America Latina, le Chiese hanno una lunga storia d’intolleranza e persecuzione delle religioni popolari. Nel corso dei secoli il colonialismo impose ai popoli oppressi la religione cristiana cattolica insieme ad una cultura europea posta come unico riferimento di civiltà e convivenza sociale. Obbligati ad essere cattolici con la forza delle armi, o con il potere dei signori schiavisti, protetti dal Dio cristiano, negri e indigeni impararono a coniugare, nella loro vita e nella loro spiritualità, accanto ad un sentimento d’appartenenza alla cattolicità anche una mistica indigena o negra. La maggior parte della popolazione oppressa nell’America Latina ha vissuto, nel corso dei secoli, una certa forma di "doppia appartenenza", che per loro non significava per nulla doppiezza o incoerenza, se non per il fatto che la cosa era proibita dalla Chiesa. In Brasile, solo durante il decennio degli anni ’60, le religioni negre hanno potuto celebrare i propri culti senza essere clandestini e senza correre il rischio che la polizia distruggesse i simboli sacri e incarcerasse i capi. Precedentemente la polizia agiva così non solo per una naturale tendenza a percuotere i negri, ma anche a causa di pressioni da parte della gerarchia cattolica.

Peggiore della clandestinità dei "terreiros" di Candomblé ed Umbanda nelle città brasiliane era la situazione di molte persone che vivevano un forte impegno nelle associazioni e movimenti cattolici, ma che non potevano rinunciare alla loro appartenenza al Candomblé o Umbanda. Nel marzo del 2000 tenni un corso per 170 capi indigeni delle Ande su "Come leggere la Bibbia a partire dalle tradizioni indigene". Ascoltando le testimonianze dei vari fratelli e sorelle indios, riscontrai storie somiglianti. La maggioranza era di cattolici, ma conobbi anche una ragazza battista e due presbiteriani. Tutti vivevano l’ostilità della propria Chiesa nei confronti della cultura d’origine india o negra, con il dolore di sentirsi come figli/e di genitori separati in conflitto.

Da Dom Hélder Camara, con il quale ho lavorato otto anni, ho imparato un profondo rispetto e dialogo amichevole con persone di altre religioni ed in particolare di culti afro-brasiliani, ma quello era per me qualcosa di esterno. Non faceva parte della mia fede. Era più legato alla mia comprensione della vita umana, della civiltà e del rispetto nei confronti del diverso.

È stato nel 1992, di fronte all’arroganza dei media ufficiali della Chiesa che decisero di festeggiare i 500 anni di evangelizzazione, senza considerare le popolazioni vittime di questo processo, che io avvertii la necessità di coinvolgermi maggiormente. Gruppi d’indigeni e negri chiedevano che si desse alle commemorazioni del 5° Centenario un carattere di revisione storica. Tale proposta non fu accettata. Sono stato assessore dei vescovi brasiliani nella Conferenza dell’Episcopato Latino-americano a Santo Domingo. Il 12 ottobre del 1992, vidi il papa inaugurare a Santo Domingo il famigerato Faro di Colombo… A Santa Maria, in Brasile, durante il 9° incontro nazionale delle Cebs (Comunità ecclesiali di base), vidi il vescovo cattolico rifiutarsi di ricevere sul palco i sacerdoti e i rappresentanti delle religioni indigene e negre presenti. In quel momento piansi, chiesi perdono a Dio per la complicità della mia Chiesa con le ingiustizie di questi 500 anni e decisi di consacrarmi a questo dialogo di comunione e ad una nuova relazione di giustizia tra le Chiese e le religioni degli oppressi.

2 – Assemblea del Popolo di Dio (APD)

In quello stesso settembre del 1992, uomini e donne, cristiani e membri delle religioni popolari s’incontrarono a Quito nel primo incontro dell’Assemblea del Popolo di Dio. L’incontro scaturì da un’iniziativa di cristiani impegnati nel Servizio Pace e Giustizia e aveva l’idea di costituirsi come un’ "alternativa popolare" alla Conferenza dei Vescovi a Santo Domingo, alla quale nessuno, all’infuori del Vaticano e dei vescovi ufficialmente accreditati, poteva partecipare. Di fatto, finì per essere più di questo. Provocò il sorgere di un movimento ecumenico più ampio. Propose il "macro-ecumenismo" come cammino di spiritualità e di resistenza al sistema economico neo-liberale. Non è stato facile decidere linee d’azione. Gruppi più radicali suggerirono che l’assemblea approvasse nel documento finale una proposta di "Disenvagelizzazione" dei popoli indigeni e comunità negre. Fu difficile far comprendere che non si trattava di rompere con il Vangelo, ma con un modello di evangelizzazione colonialista e complice di oppressione.

La novità era che si partiva dall’opzione per la vita, la giustizia e la liberazione dei nostri popoli. Al dialogo e alla ricerca della comunione tra religioni si applicava l’attenzione di partire dalla valorizzazione delle culture, il riconoscimento di una presenza divina in tutte le culture oppresse e l’opzione di applicare all’ecumenismo inter-culturale e inter-religioso il cammino spirituale che, fino ad allora, era stato proposto solo per il movimento in favore dell’unità visibile delle Chiese cristiane. Il Manifesto Finale di questo primo incontro dell’APD dichiara:

"Siamo credenti appartenenti a molte confessioni cristiane (evangelici, cattolici, moravi) e membri delle religioni indigene e negre: laiche e laici, pastore, pastori, sacerdoti, religiose, religiosi e vescovi. Un’umile, allegra e promettente assemblea di sorelle e fratelli che testimoniano la stessa fede nel Dio della Vita e l’impegno in un cammino di liberazione dei nostri popoli".

Nonostante questa pluralità di partecipanti, l’iniziativa dell’incontro, la responsabilità di condurlo e il coordinamento erano nelle mani di cristiani aperti e desiderosi di coinvolgere gli altri, ma è a loro che fu affidato il compito di redigere la Dichiarazione Finale. Il documento è fortemente marcato da un linguaggio cristiano. Rappresentanti delle religioni popolari non si sarebbero espressi in questa forma, nonostante ciò, lo approvarono: "Esiste veramente un solo Dio di tutti gli uomini che è superiore a tutti. Padre e madre di tutti noi, vissuto nella diversità delle espressioni religiose delle differenti culture, incontrato nella natura, nel cuore e negli avvenimenti della storia. Questo Dio è il nostro Dio. Si è manifestato per la nostra fede e vogliamo proclamare, riconoscenti, questa scoperta. (…)

Dio ha un sogno e questo sogno coincide, dandogli compimento, con i sogni più significativi di tutte le persone e di tutti i popoli: la Vita, nel tempo e oltre la morte, la Pace della giustizia, la Libertà della diversità, l’Unità della famiglia umana in un solo mondo - senza un "primo" mondo, né un "terzo" - nella legge suprema dell’amore. Questo sogno è il nostro sogno. Nell’Incontro riaffermiamo il diritto dei nostri popoli di condividere il sogno di tale utopia, che può e deve richiamarci alla coerenza quotidiana, accendendo, contro la notte, la nostra speranza".

Il documento conclude: "Il popolo di Dio sono molti popoli. Tutte le persone, comunità e popoli che assumono questo sogno-progetto di Dio sono il popolo di Dio. Nessuna religione, nessuna chiesa può arrogarsi l’esclusività di essere questo popolo. Si escludono, questo sì, dal popolo di Dio coloro che si rifiutano di fare proprio questo sogno di Dio e del suo popolo, servendo gli idoli del capitale, dell’imperialismo, della corruzione e della violenza istituzionalizzata. In ragione di questo culto idolatrico, nella nostra America e in tutto il Terzo Mondo è sempre più grande il numero di poveri e di coloro che lo diventano.

Nel nostro continente, dopo tante condanne e prepotenze religiose, desideriamo proclamare questa realtà maggioritaria che si esprime, soprattutto, nelle religioni indigene, in quelle afro-americane e nelle diverse confessioni cristiane. Come cristiane e cristiani presenti a quest’incontro, ci sentiamo profondamente chiamati alla conversione. Pubblicamente, in nome di milioni di fratelli e sorelle che hanno i nostri stessi sentimenti, e per supplire, forse, all’omissione ufficiale delle nostre chiese, chiediamo perdono ai popoli indigeni e ai popoli negri della nostra stessa terra, tante volte condannati come idolatri e per secoli sottoposti al genocidio e alla dominazione".

A partire da questa base si è formulata la proposta del Macro-ecumenismo.

 

3 – Un ecumenismo più ampio dell’ "ecumenismo" vigente

Il termine è improprio. Ogni Ecumenismo è completo. Deve essere universale. Non avrebbe senso parlare di "macro-ecumenismo" come se esistesse un "micro-ecumenismo", o come se qualcuno potesse essere più o meno ecumenico. Frattanto, poiché i settori ufficiali delle Chiese restringevano il movimento ecumenico alla ricerca dell’unità tra le Chiese e rigettavano le religioni popolari come superficiali e sincretistiche, è stato importante che l’APD proponesse il termine "macro-ecumenismo". Il documento specifica: "Oltre a potenziare sempre più l’ecumenismo tra le Chiese, vogliamo aprirci al Macro-ecumenismo. Un termine nuovo per esprimere una realtà e una coscienza nuove, filo conduttore di tutto l’incontro, nel tema centrale dei dibattiti, dei processi di convergenza, delle tensioni, delle ricerche e delle speranze. È un ecumenismo con le stesse dimensioni universali del popolo di Dio. Con questa scoperta cominciamo a spogliarci dei nostri preconcetti e ad abbracciare con molte più braccia e cuori il Dio Unico e Più Grande, testimoniato e celebrato nelle lingue, nei canti, nei simboli, nei gesti – con le anime e i corpi in danza e in adorazione".

(…) "In questo incontro, per il fatto di riconoscerci popolo di Dio in questa Abaya-Yala, la nostra Patria Comune, rinnoviamo il nostro impegno in tutte le lotte del continente: nel progetto popolare per la conquista della terra e per una vita degna per tutti, senza oligarchie privilegiate e senza maggioranze emarginate; nella lotta organizzata, non solamente dei nostri popoli, ma anche degli altri popoli del Terzo Mondo, e nella inter-solidarietà con altri fratelli e sorelle del Primo Mondo, contro l’ordine mondiale del capitalismo neoliberalista e del suo mercato totale; nella creatività alternativa dei processi con i quali i nostri popoli stanno costruendo l’ "altra democrazia", quella delle figlie e figli di Dio, affratellati fra loro". (…) Con il Popol Vuh, libro sacro dei Maya, gridiamo: "Che tutti si alzino, che tutti siano invitati, che nessuno rimanga indietro. Che spunti già l’alba".

In tutta l’America Latina, la bandiera macro-ecumenica ha contribuito a vincere le discriminazioni razziali e sociali. Vi sono stati già tre incontri continentali sulla Teologia India. Abbiamo anche approfondito la conoscenza delle culture negre e cercato ciò che Dio ci dice, a partire da questo cammino spirituale. In Brasile il lavoro della Pastorale della Terra insieme alle comunità negre, i discendenti dei Quilombos, oltre a farli rimanere nelle terre degli antenati, ha aggiunto anche l’elemento religioso e non solo l’unità nel perseguire l’obiettivo sociale.

Alcuni anni prima un gruppo di capi del Candomblé della Bahia aveva pubblicato un documento affermando che era la religione degli Orixás che perdeva sempre terreno nei confronti del sincretismo, naturalmente praticato dai fedeli nelle Chiese e nei terreiros. Decisero, allora, di condannare la duplice appartenenza e di evitare contatti con una Chiesa che esigeva sempre l’ultima parola e aveva sempre la meglio in qualsiasi confronto.

Nel corso degli anni questa situazione fece sì che molta gente negra e povera soffrisse ancora di più. Oltre ad essere discriminati dal prete in parrocchia, erano anche incompresi e discriminati a causa della Mãe de Santo e delle autorità della religione negra. Sono stato uno dei primi in Brasile a dialogare con le sacerdotesse del culto degli Orixás come la Mãe Stella. Di fatto, vi è un sincretismo che produce confusione e che non aiuta nessuno e queste fanno bene a condannarlo. Ma vi è anche un sincretismo basato sulla sintesi culturale e spirituale che nasce nella coscienza delle persone ed è il modo culturale in cui molta gente riesce ad integrare sia il Candomblé, sia il Cristianesimo. Dobbiamo rispettare questa situazione. Ogni religione nacque da un certo sincretismo culturale e religioso. Nel caso del cristianesimo, tra giudaismo e paganesimo romano. In quello della religione degli Orixás, tra i diversi culti negri e il cristianesimo come lo comprendevano gli afro-brasiliani. Fin d’allora, il dialogo e la collaborazione si sono approfonditi. Mães de santo, che da alcuni anni semplicemente condannavano qualsiasi avvicinamento ad altre religioni, oggi partecipano a lavori con i cristiani ed organizzano conferenze sul Macro-ecumenismo nel CESEP a San Paolo e in altri organismi ecumenici.

Fino ad oggi vi sono molti pregiudizi e barriere contro le religioni popolari. Nelle periferie urbane molta gente associa questi culti all’alcolismo, alla promiscuità morale e finanche alla violenza. In fondo, il giudizio su queste religioni esprime il concetto che si ha della cultura e dei popoli che le praticano. La discriminazione religiosa è unicamente espressione della discriminazione razziale e dell’etnocentrismo culturale. Il fatto che un prete o un monaco frequenti un terriero o un tempio del Candomblé o dell’Umbanda è un segnale di giustizia. Si tenta un poco di pagare il debito morale che la Chiesa Cattolica ha nei confronti di questi culti prima perseguitati e calunniati. Entrando in contatto con questo evento, scoprii i segnali di una forte presenza dello Spirito di Dio che mi chiamava ad approfondire questo inserimento spirituale, così che ho cercato di essere fedele a questo appello. Interiormente decisi di essere iniziato e di appartenere ad una comunità della religione degli Orixás. È un processo lento e ancora non l’ho ancora realizzato nel modo più serio e impegnato possibile. Il mio sogno è quello che ci vedrà vivere, con le religioni dell’America Latina, quell’inserimento d’amore che monaci benedettini di altri decenni come Henri le Saux, Bede Griffts e Cornélius Tollens vissero negli ashrans in India.

4 – L’APD, processo in diaspora

L’APD ha tenuto tre incontri continentali e, da alcuni anni a questa parte, ha difficoltà ad organizzarsi. Economicamente, non ha ricevuto contributi per gli incontri continentali che richiedono un minimo d’infrastruttura. I vertici ecclesiastici non la riconoscono e pochi organi di comunicazione danno qualche notizia su questo processo. Le persone più impegnate sono proprio le più emarginate nelle loro Chiese. Per questo, l’APD ha una grandissima difficoltà di comunicazione con la base ed a costituirsi come un cammino delle comunità popolari. La stessa comunicazione è tagliata e l’ultimo incontro nella Repubblica Domenicana ebbe la sua data rinviata. Quando l’incontro fu realizzato, nessuno dal Brasile ha potuto parteciparvi.

Oltre a ciò, a persone di religioni negre ed indigene non piace il nome ancora troppo ancorato ad una concezione cristiana: "Assemblea del Popolo di Dio". E molta gente si chiede: "In un mondo nel quale, ogni volta, aumenta sempre più il numero di coloro che reagiscono al neo-liberismo, qual è il contributo proprio di un organismo ecumenico come quello dell’APD?".

Noi del Monastero di Goiás comprendiamo che l’originalità ed il contributo proprio dell’APD è la Spiritualità Ecumenica come elemento di resistenza e di forza contro il neo-liberismo. Lo comprendiamo così e lo viviamo nel quotidiano. Il primo incontro dell’APD in Brasile proclamò il Monastero dell’Annunciazione in Goiás come "santuario del macro-ecumenismo", evento che comprendiamo come un compito da realizzare. Abbiamo proseguito in questo cammino, integrando quest’impegno nella nostra preghiera giornaliera e nell’abituale attività dei fratelli e delle sorelle che vivono nel Monastero.

Tanto sul piano personale come nell’espressione liturgica e comunitaria, ci siamo impegnati ad un lavoro esigente e delicato: rivedere il linguaggio violento ed escludente che riveste certi testi biblici e, senza avere la pretesa di modificare la Bibbia o di parafrasare dei testi sacri, tradurlo in maniera tale che testimoni meglio la rivelazione progressiva di Dio come Amore e Inclusione e ci educhi a vedere l’altro e il diverso come segno della presenza divina e non come concorrente o servitore del diavolo. Questo lavoro costituisce per me e per gli altri fratelli un’ascesi spirituale permanente che ci spinge a correggere qualsiasi linguaggio religioso arrogante, qualsiasi affermazione teologicamente riduttrice dell’altro e meno rispettosa ed amorevole nei confronti del diverso.

La medesima scelta per la quale cerchiamo di vivere la vocazione monastica in comunione con i vicini poveri della periferia di Goiás ci obbliga a rendere questo tipo di vita più comprensibile alla gioventù di oggi, ai religiosi di altre tradizioni e ad amici non credenti. Ogni qual volta ci è richiesto, accogliamo sempre in comunità persone e gruppi di altre tradizioni, specialmente delle religioni negre ed indigene. Accettiamo anche l’invito a partecipare ai loro culti e a frequentare i loro templi. Molte volte, io e altri fratelli del Monastero siamo ospiti per otto giorni di una Iaolorixá di Bahia per poter partecipare a feste importanti del Candomblé.

Nella liturgia, celebriamo la memoria dei santi della nostra Chiesa, così come ricordiamo il martirio dei cristiani non cattolici come Martin Luther King e il pastore Dietrich Bonhöeffer. Facciamo anche memoria della vita di Ramashrishna, di Gandhi, di Zumbi dos Palmares e di altri uomini e donne che, nel mondo intero, nelle più diverse religioni e culture sono per noi testimoni della santità di Dio che agisce nell’umanità.

Ogni giorno dedichiamo uno degli uffici liturgici del Monastero alla comunione con una delle grandi religioni o cammini spirituali dell’umanità. Il lunedì cantiamo mantras hindù o buddisti, ascoltiamo brani di letteratura sacra del Buddismo e della Bagavadgita. Martedì, celebriamo in comunione con le religioni negre e così di seguito… Facciamo questo per ascoltare la Parola di Dio attraverso altre tradizioni e per testimoniare l’universalità dell’amore divino.

5 – Una spiritualità di vita

Non so se l’APD riuscirà ad organizzare altri incontri continentali o se deve mantenere lo stesso stile e nome. Frattanto, ringrazio Dio per la sua eredità più importante, l’approfondimento di una spiritualità macro-ecumenica. Questo cammino si è rivelato più chiaro nel 2° Incontro Intercontinentale. Il documento finale suona come una bella e rivoluzionaria professione di fede:

"Crediamo nel Dio della Vita e difendiamo la vita dei nostri popoli! Davanti alla mondializzazione dell’idolo della morte che il sistema neoliberista preconizza, proclamiamo la mondializzazione del Dio della Vita e la sua presenza creatrice nell’universo. Confessato in mille nomi, rivelandosi a noi in mille volti, attraverso, soprattutto, la fede cristiana e le religioni indigene e afro-amerindie, Dio è sempre più grande di tutte le nostre confessioni, più bello delle nostre immagini, unico nei più diversi incontri. (…) Dio ci vuole vivi e liberi, plurali e uniti, felici, in questo momento, in questa casa comune della Terra Pachamama e sotto il tetto luminoso del Sole, della Luna e delle stelle.

Per lui e con lui diciamo no al fatalismo di una supposta fine della Storia. Lottiamo contro tutte le forme di esclusione, prepotenza, timore e morte. Celebriamo il Dio della Vita difendendo la vita dei nostri popoli, attraverso i settori sociali e le pratiche di liberazione come le lotte delle nazioni indigene, delle comunità afro-americane, delle donne, giovani e bambini, così come del settore rurale, di quello urbano popolare e di quello teologico-pastorale. Analizziamo le diverse sfide che stanno sorgendo, sempre a partire dal vissuto del Macro-ecumenismo, nella difesa e promozione della vita dei nostri popoli e in comunione con le forze vive della fede religiosa e della militanza politico-sociale".

La costruzione del sogno della pace e di una società giusta e veramente democratica passa attraverso una necessaria rivoluzione sociale, culturale e spirituale. In termini sociali, il superamento di tutti i tipi di pregiudizi e discriminazioni è il punto di partenza per la costruzione delle relazioni nelle quali le persone si arricchiscono con i diversi e le diversità. Abbiamo qui un lungo cammino da percorrere e il cristianesimo, che nel passato ha discriminato, oggi ha un ruolo fondamentale: testimoniare che lo Spirito di Dio agisce nelle culture indigene e negre.

La ricchezza culturale dei popoli indigeni e delle comunità negre indica quanto le nostre società hanno perso fino ad ora e quanto potranno crescere a partire dal riconoscimento del loro valore, del loro diritto di esistere in autonomia, perché possano attuare una libera comunicazione di sé con i più. È necessario lavorare perché le società di ogni paese e le relazioni continentali americane possano contare effettivamente sui valori millenari presenti in queste culture, fino ad oggi ancora disprezzate, violentate e considerate folkloristiche. Ma, per questo, è fondamentale riconoscere il diritto inalienabile di questi gruppi ad un territorio che garantisca loro l’esistenza e lo sviluppo etnico, culturale e religioso. Lavorare per quest’obiettivo è una questione ecumenica e spirituale.

La spiritualità macro-ecumenica s’inserisce anche nel processo di conquista e di riconoscimento della donna nelle nostre società. Fa parte del nostro cammino macro- ecumenico il convivio giusto ed ugualitario tra uomini e donne. Tutte le persone, specialmente gli uomini, hanno bisogno di rinnovarsi per vivere le nuove relazioni, effettivamente liberi, nelle quali vi sia la costruzione di relazioni di uguaglianza e complementarità, in tutti i campi della vita.

Queste nuove relazioni sociali e culturali diverranno effettive e durature se saranno ispirate, alimentate e rafforzate da una rivoluzione spirituale permanente. Tocca alle diverse tradizioni religiose assumere una pratica di dialogo e di dinamismo della vita nel continente, favorendo relazioni ecumeniche e macroecumeniche. Al cristianesimo, specialmente, è affidata una responsabilità enorme nella costruzione del sogno possibile nel continente americano, poiché esso è presente e ha marcato profondamente la sua vita negli ultimi cinque secoli. È fondamentale che le diverse chiese riprendano effettivamente Gesù Cristo come loro ispirazione, aprendosi alla costruzione del Regno nel dialogo con tutti gli uomini e tutte le donne che hanno sentimenti di umanità.

Per noi il Macro-ecumenismo è una spiritualità che suscita un atteggiamento nuovo, una nuova visione, una logica alternativa ed arricchente. Riconosciamo che non sempre questa spiritualità è compresa, perché esige il superamento delle barriere delle proprie confessioni con l’audacia e la creatività di una fede macro-ecumenica, coniugando dialetticamente l’identità, il pluralismo e la complementarità".

Nell’America Latina il processo di spiritualità macro-ecumenica ha integrato gruppi consacrati alla Pace ed alla non violenza. Si è concretizzato in importanti lavori in difesa della creazione e in una spiritualità eco-femminista, oggi, vera profezia di un tempo nuovo per l’umanità.

6 – Sfide e questioni

Il dialogo e la comunione, per essere profondi, suppongono uguaglianza tra pari. Il Macro-ecumenismo fa propria la proposta del Dialogo Inter-religioso e inter-culturale, in quattro tappe o dimensioni, come insegnano alcuni documenti ecclesiali. Ma desidera andare oltre: costruire, di fatto, una testimonianza di unità e di superamento di frontiere, le quali chiudono ogni religione in se stessa. Penso che questo lavoro si caratterizza per lo sforzo di superare qualsiasi tentazione di Dogmatismo e di Autoritarismo. Il cammino del Macro-ecumenismo non si realizza attraverso incontri di vertici ecclesiastici o commissioni di alto livello, ma nelle basi e nelle relazioni comunitarie. Comincia con l’assumere quella relazione d’integrazione che già esiste in mezzo al popolo povero delle persone che, nelle proprie famiglie e comunità di base, soffre a causa delle discriminazioni e tensioni risultanti da esse. Ora ciò fa in modo che il processo si avvii attraverso lavori sociali e lotte popolari e, all’interno di questo quadro, la relazione di ricerca dell’altro e la valorizzazione del tradizione "altra" si realizzino più che altro a partire dai laici e dai più poveri e non tanto dalle alte gerarchie. È naturale che si concretizzi molte volte nell’espressione cultuale, che, per gli ambienti "ufficiali" che praticano il Dialogo Inter-religioso, dovrebbe costituire l’ultima tappa e non la prima. Frattanto, è quella che il popolo vive e, insieme al servizio sociale, è quella nella quale tutti possono meglio partecipare con la loro propria dignità.

La sfida permane, allora, nello sviluppare un pensiero teologico che approfondisca questo cammino e che aiuti le comunità a non cadere nel relativismo religioso ed avanzare verso un’apertura del cuore e della propria fede. Certe questioni che, quando si tratta di relazioni istituzionali, vengono sempre fuori, nel Macro-ecumenismo non assumono la stessa importanza. Le persone non sentono diminuire l’importanza o negare il ruolo unico di Gesù Cristo nella loro vita, perché riconoscono la presenza dello Spirito in un terriero di Candomblé o di culto indigeno. Al contrario, i cristiani, toccati dall’amore di Cristo e dall’opzione del Vangelo, sono delle persone che assumono con passione maggiore questa volontà di comunione con gli altri. Questi, abituati ad essere discriminati e stanchi di tollerare la ricerca dell’egemonia da parte della Chiesa, molte volte, sembrano meno ecumenici nei confronti dell’istituzione. Sono principalmente i cristiani dell’opzione popolare che imparano ad essere pazienti, tolleranti e umili nel riconoscere gli errori passati e presenti delle loro Chiese. Ma, allo stesso tempo, non le rappresentano. E proprio per il fatto che l’ortodossia teologica e la coerenza giuridica non sono le priorità di questo cammino, il Macro-ecumenismo soffre molte più incomprensioni e rifiuti dai media cattolici e dagli evangelici fondamentalisti.

Altro tipo diverso di sfida si verifica nel lavoro sociale concreto. Le religioni popolari non hanno lo stesso tipo di linguaggio e di coscienza storico-critica che, fin dal decennio degli anni ’60, i gruppi cristiani più aperti hanno sviluppato. In tempi e luoghi di turismo, i potenti di turno manifestano un nuovo atteggiamento di "apertura" e valorizzazione delle comunità e culti indigeni e negri. Non per motivi economici o pedagogici, ma per interessi politici o economici. Gruppi popolari, prima mai valorizzati, facilmente cadono in questa trappola e diventa difficile un lavoro sociale di carattere più critico e veramente liberatore. In alcuni casi, lo spirito ecumenico è consistito nel mantenersi con pazienza nel dialogo rispettoso e sincero e dare tempo al tempo perché le persone illuse percepiscano che nulla di profondo o nuovo è accaduto partendo dagli "aiuti ufficiali".

7 – Nuove piste per un nuovo ecumenismo

In tempi di diaspora e di lavori fatti a partire dalle basi e non dai circoli più ufficiali, non possiamo aspettarci successi né grande visibilità. Il cammino dell’Ecumenismo è il cammino della Croce e dell’accettare di perdere per rendere possibile che l’altro sia. Senza questa disposizione non possiamo parlare di "spiritualità macro-ecumenica".

Per me le piste o i suggerimenti che il cammino macro-ecumenico suscita non sono tanto per gli altri ma per noi stessi. Nel campo del pensiero avverto che abbiamo bisogno di approfondire sempre più una lettura ecumenica della Bibbia, e più precisamente una versione di testi che ci aiuti ad integrare questo cammino nella prospettiva biblica. In campo pastorale e sociale è fondamentale riprendere lo spirito dell’incarnazione di Gesù.

Nel Monastero di Goiás le relazioni con alcune Chiese evangeliche sono cresciute di qualità quando due monaci s’incorporarono, ognuno in una comunità evangelica, in sostanza attraverso una frequenza sistematica ogni domenica ed attraverso una comunione con la Chiesa Pentecostale di Cristo e la Chiesa Battista. Questa convivenza di fiducia ed alleanza spirituale certamente ha aiutato i pastori e le comunità a comprendere meglio la scelta del Monastero e, chissà, ad intendere in forma più positiva lo spirito macro-ecumenico. Desidero io stesso approfondire questo cammino, nella misura in cui la mia vita di pellegrino lo permette.

Una nuova pista per il macro-ecumenismo è svilupparlo, non tanto negli ambienti religiosi ed ecclesiastici, ma nella costruzione di un mondo nuovo, insieme a tutti i compagni e compagne della speranza che sono anche coinvolti nella lotta contro il neo-liberismo e per un mondo più umano e giusto. In questo senso, la mia proposta è che, nel 2° Incontro del Mundial Social Forum, in Porto Alegre a gennaio del 2002, si realizzi una notte di "Veglia macro-ecumenica per la Pace, la Giustizia e la Comunione con l’Universo". Sto impegnando tutti i monaci del Monastero di Goiás ad essere presenti in questo Forum come fratelli dell’umanità che cerca di costruire questo mondo alternativo e mi sto anche dando da fare per animare questa Veglia. Restiamo in pieno dialogo perché ciò divenga possibile. Invito tutti voi, leaders e rappresentanti di tante religioni e tradizioni spirituali nel mondo, ad essere là presenti e partecipare a questo sogno di un’umanità nuova. Lì offriremo veramente una testimonianza nuova di Dio e delle nostre religioni.


"Il Dialogo - Periodico di Monteforte Irpino" - Direttore Responsabile: Giovanni Sarubbi

Registrazione Tribunale di Avellino n.337 del 5.3.1996