Chiesa, emigrazione e minoranze evangeliche

del prof. Francesco Barra

Tratto dall'opera CHIESA E SOCIETÀ IN IRPINIA DALL'UNITÀ AL FASCISMO, Capitolo ottavo

Le Chiese Evangeliche in Irpinia Documenti Il Dialogo Home Page Scrivici

    Il profondo malessere economico - sociale dell'Irpinia, esauritosi il grande moto del brigantaggio post-unitario, si espresse nell'emigrazione transoceanica di vaste masse popolari. Il movimento migratorio, avviatosi lentamente sul finire degli anni '70, ingrossò rapidamente negli anni '80 per raggiungere poi proporzioni da esodo in massa nell'ultimo decennio del secolo e sino alla vigilia della prima guerra mondiale, in stretta correlazione con la grande crisi che investì e travolse in quegli anni le strutture agrarie del Mezzogiorno. Tra il 1876 ed il 1915 abbandonarono l'Irpinia 284.881 persone(1) , e nell'eloquenza stessa di questa cifra sta già tutta la drammaticità del fenomeno, che sconvolse in profondità la vecchia società provinciale. Se la pacifica rivoluzione costituita dall'emigrazione elevò notevolmente il tenore di vita delle masse rurali, determinando una rilevante accumulazione di risparmi grazie alle rimesse degli emigrati, provocando una sensibile lievitazione dei salari - a cui corrispose un autentico crollo dei canoni di affitto delle terre - e riducendo il peso dell'usura, essa non valse, però, ad innescare un processo di rinnovamento delle strutture produttive della provincia. La vastità e l'impetuosità della corrente migratoria non poterono, com'è intuibile, non coinvolgere profondamente la Chiesa, ma quali posizioni essa assunse di fronte al fenomeno dell'emigrazione di massa, come ad esso reagì e quali ne furono le conseguenze ed i contraccolpi sulle strutture ecclesiastiche? V'è da rilevare, innanzitutto, che il fascino dell'emigrazione non risparmiò larghe fasce del clero, specie quello di estrazione contadina ed economicamente più disagiato, che, al seguito dei propri fedeli, non esitò ad abbandonare le chiese di montagna per cercare un migliore avvenire in America. Il fenomeno - che fu certo assai vasto, anche se ancora poco noto - non mancò di suscitare vivissime preoccupazioni nei vescovi e nella stessa S. Sede. Con una severa disposizione della Congregazione del Concilio, indirizzata agli ordinari diocesani d'Italia e d'America, del 27 luglio 1890, si cercò infatti di porre un freno all'emigrazione clericale. Si proibì, pertanto, ai vescovi italiani di concedere permessi di emigrazione, senza eccezione alcuna, mentre per i sacerdoti dimoranti in America che si fossero rifiutati di far ritorno in patria si sarebbe proceduto a norma del diritto canonico(2). E che tra i sacerdoti emigrati vi fossero anche elementi di valore, spinti a varcare l'oceano non soltanto da irrequietezza e da malsano senso di avventura, è dimostrato, ad esempio, dal caso del sacerdote nuscano Raffaele Ressa (1878-1958), che sarebbe stato più tardi annoverato tra i fondatori dell'Università cattolica di Milano. Dalla curia vescovile di Nusco così scriveva al Ressa il canonico Angelo Teta, il 18 luglio 1906: "Carissimo Raffaele, non puoi immaginarti quanta e quale afflizione hanno destate le tue lettere nell'animo di questi Ill.mo Monsignor Vescovo [Pirone] e Monsignor Vicario [Del Sordo], i quali, ponderate tutte le tue ragioni e compassionando lo stato in cui ti trovi, sono costretti a fare violenza sul loro cuore per mantenere ferma la risoluzione da loro presa circa la grazia del liceat celebrare, da te domandata. Perciò per mio mezzo ti fanno sapere che in nessun modo e per qualunque ragione possono abilitarti e nè rivolgersi a tale scopo alla S.Congregazione del Concilio dopo la protesta fatta presso la medesima di non volere permettere più per l'avvenire che alcun sacerdote di questa diocesi potesse emigrare in America anche ad tempus. Nè ciò devi credere crudeltà, perchè essi non debbono mettersi in condizioni tali da far scapito di quella autorità, che alcuni non hanno curato, lasciando insubordinatamente questa residenza, e nè da essere angustiati nella loro coscienza da continui rimorsi di mancata giustizia. tanto più che molti, reduci dall'America, assicurano l'acquistata guarigione di tua madre, la quale solamente qui in Nusco potrà godere dei vantaggi del cambiamento di aria prescritto. Io ho pure implorato la grazia, ma mi è riuscito inutile ogni sforzo e raccomandazione per i motivi sopra esposti. Quindi ti consiglio di rassegnarti alla decisione dei superiori, e, procurati i mezzi di viaggio per te e per tua madre, far ritorno nella propria residenza. Non ti dico infine la negativa data a tante istanze fatte da Iuliano e Martucci [altri sacerdoti emigrati] ed altri servendosi di persone pur autorevoli"(3).

La realtà dell'emigrazione si imponeva prepotentemente,quindi, all'attenzione della Chiesa per i riflessi che aveva sulle sue stesse strutture, ma non meno rilevanti erano anche le molteplici implicazioni socio-religiose dèl fenomeno sul piano più strettamente pastorale. Monsignor Pirone, vescovo di Nusco, nella sua relazione ad limina del novembre 1898, vide soprattutto nell'emigrazione - causata a suo avviso dalla povertà dell'agricoltura e dalla stessa scarsità di cibo ("vel annonae caritate, vel agrorum sterilitate") - gli effetti disgregatori esercitati sui nuclei familiari, con rovinose conseguenze per la moralità della popolazione(4). Anche monsignor Paulini, nella sua relazione ad limina del gennaio 1915, ebbe a svolgere considerazioni analoghe, osservando che "il forte contingente di emigrazione, che hanno dato e danno questi paesi, non poteva non portare molti guai dal lato morale, per il rallentarsi, in causa della lontananza di tempo e di luogo, delle relazioni colle famiglie, e per le idee, non sempre sane, con le quali parecchi emigranti ritornano"(5). Assai significative sono pure, in proposito, le posizioni assunte da alcuni vescovi attraverso le lettere pastorali. Monsignor Acquaviva, vescovo di Nusco, fu il primo, nel 1888, ad occuparsi del fenomeno. Con spirito di ampia comprensione e di sentita partecipazione alle sofferenze ed ai pericoli degli emigranti, egli cercò infatti di sostenere concretamente l'opera avviata dal vescovo di Piacenza Giovan Battista Scalabrini per l'assistenza agli emigranti(6). Se la lettera pastorale di monsignor Tommasi, vescovo di Sant'Angelo dei Lombardi-Bisaccia, del 1899, risentendo chiaramente dell'impostazione data al problema dai ceti agrari possidenti, eluse, sostanzialmente, le motivazioni profonde del fenomeno migratorio(7), assai più acuta e problematicizzata fu invece quella che monsignor Padula, vescovo di Avellino, diresse alla diocesi nel 1915. Lo stretto nesso tra problemi catechetico-pastorali ed emigrazione fu, infatti, lucidamente colto dal vescovo, che si valse efficacemente delle esperienze di un quarantennio di apostolato tra le popolazioni della Basilicata, del Sub-Appennino Dauno e dell'Irpinia, le terre classiche, cioè, dell'emigrazione meridionale. Evidente ci sembra anche l'influsso esercitato su monsignor Padula da un giovane sacerdote irpino, Giovanni Preziosi, allora in fama di modernista e di democratico-cristiano murriano, il quale, di lì a poco, dopo molteplici esperienze di vita, avrebbe definitivamente abbandonato l'abito religioso per battere le strade dell'ultra nazionalismo, del fascismo ed, infine, del razzismo filonazista. Il Preziosi, nato a Torella dei Lombardi nel 1881, fu, nei primi anni del secolo, legato a figure di primo piano del mondo cattolico, come Semeria e Genocchi, ed, attento osservatore dei problemi del Mezzogiorno, si segnalò particolarmente per i suoi studi sull'emigrazione, di cui aveva una conoscenza diretta, avendo dapprima fatto parte dell'Opera Bonomelli e poi delle organizzazioni scalabriniane nel Nord America ed in Germania. Nei suoi scritti e nella sua attività di quel periodo, ha osservato Renzo De Felice, "nulla fa pensare al futuro super-nazionalista e feroce antisemita", e infatti, "a parte talune accentuazioni più propriamente cattoliche, la sua visione del problema dell'emigrazione era in quegli anni molto vicina a quella di F.S. Nitti e, in genere, dei radicali, dei socialisti e dei tecnici politicamente più avanzati"(8). Riprendendo l'impostazione del Preziosi, monsignor Padula riteneva "follia" il "cercare di arrestare l'emigrazione", come alcuni ancora si illudevano di poter fare, perché essa era la manifestazione incoercibile di "un popolo che, appassionato al lavoro e paziente sotto la durezza più grave della fatica, sospira, con criterio equo, maggiori conquiste di progresso e di civiltà"(9). "L'emigrazione - scriveva infatti il vescovo - presso di noi non è elemento sporadico, non è un fenomeno raro, non è un accenno trascurabile di un novello atteggiamento di vita sociale: essa è così larga, è così intensa, è così influente da attirare, nella sua orbita, il pensiero, il sentimento, la fiducia, la speranza, le gioie, i palpiti, i dolori, la vita delle famiglie e delle popolazioni dei nostri comuni. E' proprio così. Lo abbiamo notato bene noi, questo, specialmente nelle nostre visite pastorali alle nostre parrocchie, e lo notiamo sempre nel governo della nostra Diocesi. No, non è semplicemente un bisogno del cuore il pensiero verso gli emigrati: esso è un fatto che ha riguardo con tutti i problemi della vita religiosa, morale, economica, commerciale, civile, sociale, delle nostre regioni. I nostri parroci, specialmente quelli che reggono parrocchie meno grandi, sanno bene come assottigliate siano addivenute lì, nelle loro cure, le famiglie dei loro filiani a causa della emigrazione, e come in ogni momento della vita cittadina, negli affari privati, nelle cose pubbliche, nelle conversazioni, nell'aumento e miglioramento di proprietà, nelle opere di pubblico interesse, nelle feste religiose ecc., entri direttamente o indirettamente il riflesso dell'emigrazione. Ed è naturale che la cosa vada così, perché della maggior parte delle famiglie stanno all'estero i capi (il marito, il padre) o i figli maggiori, nei quali sono, senza dubbio, riposte le speranze più grandi della vita delle famiglie e, quindi, di un popolo. E se la fisionomia di un popolo bisogna che sia desunta, in modo speciale, dalle energie di pensiero, di cuore, di volontà, di azione della parte migliore e maggiore del popolo istesso, ne viene per conseguenza che non possiamo prescindere, occupandoci di un popolo, dall'emigrazione quando sappiamo che le maggiori giovanili energie di quel popolo si esplicano all'estero"(10). Ma riconoscere questa realtà non poteva e non doveva significare rinunzia ad impedire le degenerazioni del fenomeno, soprattutto tutelando la vita religiosa e morale degli emigranti ed assistendone le famiglie. Neppure bisognava, inoltre, sottovalutare i non pochi "pericoli religiosi e morali" a cui gli emigranti andavano incontro. Particolarmente insidiose apparivano a monsignor Padula le suggestioni all'indifferentismo religioso ed allo scivolamento verso il protestantesimo che venivano dalla società nordamericana agli emigrati, privi in genere di una solida formazione religiosa. Monsignor Padula ritornava, quindi, su uno dei temi più ardui e spinosi della vita religiosa meridionale, quello dell'insegnamento catechistico, che avrebbe dovuto sempre più costituire la "base indiscutibile della missione sacerdotale" e "dovere gravissimo, specialissimo" di tutti i sacerdoti in genere e dei parroci in particolare"

Un aspetto quantitativamente marginale, ma pastoralmente rilevante e significativo, del fenomeno migratorio era rappresentato, inoltre, dalla formazione di nuclei e comunità evangeliche, costituite da emigrati rientrati in patria dopo essersi convertiti alla nuova fede negli Stati Uniti. Non vi era in Irpinia, ed in genere nel Mezzogiorno, una tradizione evangelica risalente al Risorgimento, e particolarmente refrattario si mostrò l'ambiente locale ai primi tentativi di penetrazione protestante, agli inizi degli anni '90. Dopo il fallimento fatto registrare ad Avellino, nel 1885, con la mancata istituzione di una scuola valdese(12), miglior successo ebbe il proselitismo evangelico a Trevico ed a Calitri, in Alta Irpinia. A Trevico, infatti, fu aperto al culto un tempio protestante, che riscosse un qualche seguito di massa, nei confronti del quale si appuntò l'impegno pastorale del vescovo di Lacedonia monsignor Falconio, che, alla fine del 1895, riuscì a ricondurre alla fede cattolica tutti coloro che se ne erano allontanati (13). Anche a Calitri, nel 1892, un pastore battista "propagò l'eresia", trovando una trentina di neofiti, che l'opera dell'arcivescovo di Conza monsignor Nappi valse a contenere di numero, ma non a ricondurre alla Chiesa(14). In effetti, la comunità evangelica di Calitri era destinata a divenire una delle più vitali e consistenti dell'Alta Irpinia. Non a caso, infatti, furono calitrani alcuni tra i maggiori propagatori del credo battista in Alta Irpinia, come l'ex calzolaio Michele Creanza, Giovanni Berio ed Oreste Ciambellotti, oltre al sacerdote cattolico apostata di Lioni Luigi Palmieri(15). Nel 1900, una comunità battista aprì i battenti anche ad Avellino, ma i tratti più caratteristici del movimento evangelico sono comunque maggiormente rinvenibili nei gruppi che vennero rapidamente sorgendo sullo scorcio del nuovo secolo in Alta Irpinia e nell'Arianese. Più che altrove, infatti, erano lì visibili i segni della profonda crisi delle strutture sociali e religiose che colse Stato e Chiesa dopo l'Unità. In quella vasta area, caratterizzata dalla coltura estensiva, plebi miserabili, abbrutite dalla fatica, perennemente affamate di terra, premevano intorno agli ancora vasti demani comunali, in sempre più larga misura usurpati e privatizzati da una borghesia agraria povera di capitali e di energie, monopolizzatrice delle cariche pubbliche come di quelle ecclesiastiche, che all'insufficiente reddito della terra non sapeva opporre che la continua espansione della coltura estensiva ed il rifugio nell'usura, nell'affarismo politico e nel parassitismo sociale.

Sarebbe di notevole interesse indagare approfonditamente la composizione sociale delle prime comunità evangeliche, ma le fonti non ce lo consentono appieno. Non mancano tuttavia indicazioni generali, su base regionale, che, insieme ad altri elementi, inducono ad affermare, riteniamo fondatamente, che il proselitismo protestante fece breccia, più che in una determinata classe, in alcuni strati sociali, tutti di matrice popolare, ma non completamente niconducibili al vero e proprio proletariato(16). Si trattava, soprattutto, di piccoli proprietari contadini, di artigiani e di piccola borghesia commerciale ed impiegatizia, tutti direttamente od indirettamente influenzati dalla emigrazione transoceanica, che avevano raggiunto un sia pur elementare livello di cultura, rompendo quindi coll'atavico analfabetismo del vecchio mondo contadino. Questa fu, sostanzialmente, la base sociale su cui si sviluppò il movimento protestante.

Fenomeno solo apparentemente singolare, alla continua e capillare opera di proselitismo degli evangelici in Alta Irpinia, non corrispose, almeno inizialmente, un'adeguata reazione del clero cattolico. Si consumava allora, in realtà, l'estrema crisi di quel clero ricettizio, impreparato alla predicazione ed alla discussione teologica, indifferente al problema dell'istruzione religiosa, tutto chiuso ed assorbito nel ristretto e meschino ambito delle beghe paesane e della cura puntigliosa dei propri interessi materiali, oltre che nella gestione, sciatta e formalistica, del culto. Sulle condizioni del clero meridionale tra il cadere dell'800 e gli inizii del nuovo secolo, sempre valida ed efficace rimane una cruda ed amara pagina di don Giuseppe De Luca. "Tranne l'uno e l'altro prete, veramente insigne di pietà, venerato e venerando - scriveva infatti il sacerdote e studioso lucano - la massa dei vecchi valeva pochino, così d'animo come d'ingegno, come d'educazione così d'istruzione. Poveri esseri, in gran parte, sacrificati alle ambizioni familiari, e che nell'ozio marcivano letteralmente. Il prete era colui che avrebbe dovuto sostenere, come lo stollo una capanna, la famiglia; era la vittima del clan familiare e il suo totem[...] Nonostante il prete, la vita cristiana nella moltitudine persisteva, e in men poche anime pareva ed era eroica con una osservanza tenacissima e gioiosa. Restavano in piedi accanto alle costumanze esteriori della vita religiosa paesana le abitudini di laboriosità, di parsimonia, di penitenza, di continua preghiera, di frequenza alla chiesa, di pratica dei sacramenti, di soccorso agli umili. L'anima popolare era tuttora cristiana integralmente, quantunque nel paese ormai da tutte le parti filtrasse infedeltà, come la pioggia e l'umidità in una capanna sconnessa. La lotta del Risorgimento, gl'impiegati del nuovo comune e del nuovo regno, i maestri, i medici, i reduci dal servizio militare turbavano lo spirito paesano, avviandolo verso una incredulità di tipo borghese, presto sopraggiunta da una incredulità di tipo socialistico. E intanto [...] non si risolveva nessuno dei grossi problemi nuovi; gli emigranti si centuplicavano, e la miseria cresceva. Ci si dibatteva tra un mondo in agonia e un altro che stentava a nascere e dava soltanto dolore". Tale situazione non sfuggiva alla gerarchia ed alle punte più avanzate dello stesso clero. Notava, ad esempio, il canonico avellinese Francesco Greco, battagliero direttore del periodico cattolico "La gazzetta popolare", che il proselitismo protestante riusciva a penetrare in Alta Irpinia proprio "per la indolenza, per l'inerzia, per la neghittosità del nostro benedetto clero"(18). "Noi non diciamo al clero - proseguiva il Greco - suscitate tumulti ed aizzate gli animi del pubblico contro i protestanti. No, no e no. Noi vogliamo soltanto che il clero faccia il suo dovere, e cioè educare il popolo e lo prevenisse (sic) e lo tenesse salvaguardato contro tutte le balordaggini dei protestanti. Questo deve fare il clero, e, non facendolo, si rende gravemente colpevole al cospetto di Dio e degli uomini"(19). Per far fronte all'insidioso proselitismo protestante, ai vescovi, dato lo scarso ausilio del clero secolare, non restò che far leva, soprattutto, sui padri passionisti e redentoristi, moltiplicandone le missioni, la cui predicazione era tutta impostata su temi antisocialisti ed antiprotestanti20. Spesso, in occasione delle missioni, si accesero pertanto tumulti tra evangelici e cattolici, come accadde a Bisaccia nel maggio del 1910, quando i pastori battisti Giovanni Berio e Michele Creanza, accusati di aver ostentatamente offeso i sentimenti cattolici della popolazione, vennero sottratti a stento all'ira della folla(21). Pochi mesi più tardi, tuttavia, l'ex sacerdote cattolico Luigi Palmieri, ora divenuto pastore battista, riuscì ad aprire a Bisaccia una scuola protestante, frequentata da una trentina di ragazzi(22). Una delle armi più efficaci di penetrazione di cui disponevano gli evangelici, e di cui essi fecero largo uso, fu infatti quella delle scuole confessionali, favoriti in questo dalle gravissime carenze della scuola pubblica e dall'incapacità da parte cattolica di opporre alcunché di analogo.

Mentre i battisti predominavano ad Avellino ed in Alta Irpinia, ad Ariano - il secondò centro della provincia - l'Esercito della Salvezza impiantò, nei primi anni del '900, un suo avamposto, che, politicamente, fu assai vicino alle posizioni del movimento radical-socialista capeggiato da Oreste Franza, vivacemente impegnato in aspre polemiche col vescovo D'Agostino ed in contrapposizione alle forze cattolico-moderate per il controllo del potere locale(23). Ad Orsara di Puglia - grosso centro agricolo del Sub-Appennino Dauno che, dal 1861 al 1927, fece parte della provincia di Avellino - si affermò invece una vigorosa comunità valdese. Ad Orsara, le masse contadine lottavano duramente da decenni per la conquista di vasti latifondi nobiliari semi-incolti. Per stroncare le lotte contadine, nel 1909 il paese dovè essere assoggettato per parecchi mesi ad una vera e propria occupazione militare, ma la complessa e controversa questione era destinata a ripresentarsi, in tutta la sua drammaticità, all'indomani della grande guerra(24). Ma, se aspro era ad Orsara lo scontro sociale, trascurata era la vita religiosa, se nel 1908 il nuovo arciprete, Teodorico Boscia, poteva affermare di aver trovato "il vero regno della desolazione", con la "Chiesa Matrice ridotta peggio di una cantina, nessuna istruzione catechistica, funzioni religiose trascurate, una chiesa protestante con molti proseliti ed, in generale, un certo indifferentismo religioso"(25). Il giovane e dinamico arciprete - al quale non giovava, però, un'accentuata indole polemica - si accinse subito con decisione all'ardua opera di restaurazione cattolica, impegnandosi in molteplici iniziative religiose e sociali. Lo scontro tra il forte movimento valdese e le riorganizzate forze cattoliche divenne presto, nell'incandescente clima locale, inevitabile, e spesso degenerò fino ad assumere toni, specie da parte cattolica, di aperta intolleranza. Basterà a questo proposito ricordare le massicce manifestazioni popolari, a cui parteciparono oltre mille persone, organizzate nel giugno del 1913 dall'arciprete Boscia per protesta contro lo svolgimento del congresso provinciale valdese, e gli analoghi episodi del febbraio 1914, con dimostrazioni valdesi e controdimostrazioni cattoliche in occasione della ricorrenza dell'editto di emancipazione di Carlo Alberto(26). All'eco dei tumulti e delle chiassate di Orsara tramontava in Irpinia l'età giolittiana. Presto, nuovi e ben più gravi problemi avrebbero assorbito le masse contadine in seguito all'entrata in guerra dell'Italia, col gravosissimo contributo di sangue che ad esse la guerra richiese, con la gran massa di braccia che strappò alla terra ed alle altre attività produttive, con le pesanti restrizioni alimentari che apportò. Ci mancano notizie specifiche sul movimento evangelico in Irpinia durante la prima guerra mondiale, ma è comunque significativo che i centri in cui maggiore si manifestò l'insofferenza alla guerra in genere ed alle requisizioni e restrizioni annonarie in particolare furono proprio quelli (Bisaccia, Orsara, Calitri) in cui più forte era la presenza evangelica. E ciò non certamente perché sia da attribuire agli evangelici un ruolo sovversivo, ma bensì a riprova della stretta connessione tra movimenti evangelici ed aree agricole a coltura estensiva con alta disgregazione socio-economica e forte flusso migratorio.

Un preciso bilancio quantitativo di circa un ventennio di proselitismo protestante in Irpinia è possibile trarre dai dati del censimento del 1911, da cui risulta che gli evangelici raggiungevano in tutta la provincia il numero di 854 - di cui 56 ad Avellino - che rappresentavano proporzionalmente appena lo 0,21 % della popolazione irpina. E' poi importante notare come gli evangelici fossero maggiormente presenti nei circondari di Ariano (0,38%) e di Sant'Angelo dei Lombardi (0,29%), mentre in quello di Avellino costituivano soltanto lo 0,06% della popolazione(27), il che ci sembra confermi appieno quanto sopra affermato circa la maggiore ricettività dei paesi socialmente disgregati dell'Arianese e dell'Alta Irpinia nell'accoglimento del messaggio evangelico, a spiccato carattere apocalittico e millenaristico.

NOTE AL CAPITOLO OTTAVO

(1) Cfr. Annuario statistico dell'emigrazione italiana dal 1876 al 1925, a cura del Commissariato Generale dell'emigrazione, Roma 1926, p.59.

(2) Cfr. Archivio vescovile di Campagna, f.monsignor Cesarano; nella disposizione vaticana veniva anche precisato di concedere licenze per viaggi in America per "motivi leciti" per periodi non superiori ad un anno, con sospensione immediata a divinis una volta superato tale termine. Una disposizione analoga per i vescovi meridionali era già stata emanata dalla Congregazione del Concilio il 28 dicembre 1886.

(3) Cfr.AVN, registro di corrispondenza, 1906. Il. Ressa, tuttavia, rimase negli Stati Uniti sino al 1929, svolgendo un'intensa attività pastorale tra la comunità italiana di Brooklyn. Nell'AVN sono registrati numerosi casi analoghi a quello del Ressa, il primo dei quali, in ordine di tempo, sembra essere stato quello di don Letizio Lauria, emigrato in Brasile nel 1883, a cui il vescovo di Nusco, monsignor Acquaviva, così scriveva il 10 giugno 1887: "Rev.mo Don Letizio, è ben noto a V.R. che il liceat discedere rilasciato a suo favore da questa Curia il 27 dicembre 1883 aveva la durata di un anno, il quale è già scorso da molto tempo. Ora passo a Sua conoscenza che la S.Congregazione del Concilio, il 28 dicembre 1886, ha ordinato ai Vescovi del Napoletano e della Sicilia di non rilasciare lettere dispensoriali a propri sacerdoti, per la qual cosa non è più in mia facoltà propagare a V.R. il liceat di assenza da questa venerabile Chiesa di Cassano, a cui Ella è incardinato, e per servizio della quale si è ordinato. Ho creduto in coscienza commettere tutto ciò in pari data al Vescovo di San Paolo, pregandolo di far noto ciò al Vescovo di San Sebastiano ove mai Ella si trovi in detta diocesi. Intanto non posso nasconderle l'animo mio di vederla tornare in patria a prestare l'opera del suo ministero a quelle anime che ne hanno diritto, perché le hanno fornito il titolo della sua ordinazione. In attesa di suo riscontro, La benedico" (AVN, registro di corrispondenza, 1884-1891).

(4) Cfr. AVN, f.monsignor Pirone, relazione ad limina, 1898.

(5) Cfr.AVN, f.monsignor Paulini, relazione ad limina, 1915.

(6) Cfr.monsignor G.Acquaviva, Lettera Pastorale al clero e fedeli della sua diocesi, Sant'Angelo dei Lombardi, 1888, pp.l8-21.

(7) Cfr. "La gazzetta popolare", 22 dicembre 1899.

(8) Cfr. R.De Felice, Giovanni Preziosi e le origini del fascismo (1917 - 1931), in "Rivista storica del socialismo", n. settembre-dicembre 1962, pp. 493-555; delle opere del Preziosi (1881-1945) attinenti al tema dell'emigrazione ricordiamo: Il problema dell'Italia d'oggi, Palermo 1907; L'emigrazione italiana e la colonizzazione agricola, Roma 1907; Gli italiani negli Stati Uniti, Milano 1909; La disoccupazione, Palermo 1912 e la conferenza L'emigrazione, tenuta ad Avellino nel 1909 a cura del comitato irpino della Dante Alighieri e quindi raccolta in opuscolo (Avellino 1909). Altro sacerdote irpino a rendersi benemerito degli emigrati negli Stati Uniti fu l'agostiniano padre Angelo Caruso (1870-1943) di Altavila Irpina, parrocco dal 1897 al 1911 della chiesa di Maria SS. del Buon Consiglio di Philadelphia, sul quale cfr. A. Caruso, Per la storia dell'emigrazione italiana negli Stati Uniti. Un benemerito irpino: p. Angelo Caruso, in "Samnium", 1970, n. 3-4.

(9-10-11) Cfr. monsignor G.Padula. L'emigrazione. Lettera pastorale al clero e al popolo della diocesi di Avellino. Avellino 1915, pp.l4-16, ed anche 18-22, 24-27 e 40-43.

(12) Cfr. "La sentinella irpina", 30 agosto 1885; sull'attività della chiesa valdese in quegli anni in Campania, specie sotto l'aspetto scolastico, cfr. D. Dente, Comunità e scuole protestanti in Campania nel secolo XIX e la tradizione scolastica Valdese, Napoli 1974. Sul tema della penetrazione evangelica in Irpinia, riprendo in questa sede un mio saggio, ora opportunamente rivisto, già apparso in "Ricerche di storia sociale e religiosa", 1974, n.5-6, pp. l6 1-188, dal titolo Millenarismo, predicazione evangelica ed agitazioni contadine in Irpinia dall'età giolittiana al fascismo.

(13) Cfr. ASV,SCC, f. Laquedonen.. relazione ad limina del 25 settembre 1895; un componimento poetico per "l'espulsione della setta protestante" da Trevico, datato 10 aprile 1895, del professor Francesco Tedeschi, è riportato in C. Petrilli, Trevico nella storia e nella tradizione. Roma 1969, p. l89.

(14) Cfr. ASV,SCC, f.Compsan. et Campanien., relazione ad limina del 30 dicembre 1894.

(15) Per varie, anche se incomplete notizie di parte cattolica su questi pastori battisti, cfr. "La gazzetta popolare" di Avellino (1898-19 17), ed in specie il n. del 17 settembre 1909. Cfr. pure G. Spini, Movimenti evangelici nell'età con temporanea, in "Rivista storica italiana", a. LXXX (1968), pp.483 -484.

(16) I dati forniti dal Censimento del 1911, infatti, sono aggregati soltanto su base regionale; i 3.454 evangelici maschi di età superiore ai 15 anni della Campania si suddividevano nella maniera seguente per quanto riguarda professione e condizione sociale:

addetti all'agricoltura 725 20,99 %

condizioni non professionali 651 18,84 %

amministrazione e professioni

liberali 561 16,24 %

addetti al commercio 441 12,76 %

addetti alle industrie di trasfor-

mazione dell'agricoltura 389 11,26 %

industrie e servizi corrispondenti

a bisogni collettivi 309 8,94 %

industrie edilizie 178 5,15 %

industrie tessili 91 2,63 %

industrie metallurgiche 86 2,48 %

industrie chimiche 9 0,26 %

professioni e condizioni non

specificate 8 0,23 %

industrie estrattive 6 0,17 %

Totali 3.454 100,00 %

Fonte: nostra elaborazione dei dati MAIC, Censimento della popolazione del Regno d'Italia al 10 giugno 1911, Roma 1916, vol. VI ,tav. VIII,p.38.

(17) Cfr. G.De Luca, Prefazione al volume di monsignor Nicola Monterisi Trent'anni di Episcopato, Isola del Liri 1950, pp. VI-VI1.

(18-19) Cfr. "La gazzetta popolare", 24 luglio 1909 e 10 giugno 1911.

(20) Cfr., ad esempio, il periodico socialista "Il grido", 7-8 gennaio 1910.

(21-22) Cfr. "La gazzetta popolare", 21 maggio 1910 e 9 febbraio 1911.

(23) Sulle simpatie filo-socialiste degli evangelici arianesi, cfr. "Il nuovo corriere", 1908, n.4.

(24) Sulla complessa ed annosa questione contadina di Orsara, cfr. l'ampio rapporto del prefetto Frigerio al presidente del Consiglio Nitti del 5 agosto 1919, in ACS, dir. genPS, AGR, 1919, b.38.

(25) Cfr. "La gazzetta popolare", 26 settembre 1908.

(26) Cfr. la lettera del pastore valdese Arturo Muston al sottosegretario a-gli Interni Falcioni del 16 giugno 1913 ed il rapporto del prefetto del 22 giugno 1913, in ACS, Ufficio Riservato (1911-1915), b.56 f.143;per gli incidenti del febbraio 1914, cfr. invece i rapporti del prefetto del 6,9 e 17 marzo 1914, in ACS, Ufficio Riservato (1911-1915), b.78 f.185.

(27) Cfr. MAIC, Censimento della popolazione del Regno d'Italia al 10 giugno 1911 cit., vol.VI, tav.VIII, p.24.

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"Il Dialogo - Periodico di Monteforte Irpino" - Direttore Responsabile: Giovanni Sarubbi

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