Caro Papa, oggi negare il sacerdozio alle donne è una palese ingiustizia

di Renato Pierri

Leggo su Avvenire del 1 marzo: “«Quello che mi preoccupa è la persistenza di una certa mentalità maschilista (machista), anche nelle società più avanzate, nelle quali si consumano atti di violenza contro le donne, vittime di maltrattamenti, di tratta e lucro, così come ridotte a oggetti in alcune pubblicità o nell'industria dell'intrattenimento». Sono parole scritte dal Papa nel prologo del libro Dieci cose che Papa Francesco propone alle donne (Publicaciones Claretianas) della professoressa María Teresa Compte, direttrice del master universitario di Dottrina sociale della Chiesa presso la Pontificia Università di Salamanca (UPSA). Come riporta il Sismografo, nel testo papa Francesco riflette sul ruolo delle donne nella Chiesa e su come potrebbe migliorare: «Mi preoccupa anche - si legge ancora nel prologo del Papa - che nella Chiesa stessa, il ruolo del servizio a cui ogni cristiano è chiamato scivola, nel caso delle donne, a volte, nei ruoli più di servitù che di vero servizio»”.
Caro papa Francesco, se la sua preoccupazione riguarda anche la persistenza della mentalità maschilista nella Chiesa, c’è un solo modo per liberarsene: permettere alle donne di accedere al sacerdozio. Vedrà che tutto cambia per incanto e sarà anche un buon esempio da dare alle società dove la perniciosa mentalità persiste.
Lei sa, caro Papa, che la ragione fondamentale che induce la Chiesa ad escludere le donne dal sacerdozio è questa: “Gesù Cristo non ha chiamato alcuna donna a far parte dei dodici. Se egli ha fatto così, non è stato per conformarsi alle usanze del suo tempo, poiché l’atteggiamento, da lui assunto nei confronti delle donne, contrasta singolarmente con quello del suo ambiente e segna una rottura voluta e coraggiosa” (Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della fede, Inter Insigniores, 15 ottobre 1976, approvata da Paolo VI).
All’affermazione che Gesù non chiamò donne a far parte dei dodici, si pone l’obiezione della conformazione alle usanze del tempo, come se fosse l’unica possibile; si confuta facilmente l’obiezione stessa, e si trae la conclusione che Gesù così “ha stabilito”. Ma quante cose non dette esplicitamente o non fatte da Gesù, sono state comprese o si sono realizzate secoli dopo? E’ ovvio che non fu il timore di infrangere le regole dell’epoca, a determinare la decisione del Signore, bensì la consapevolezza che chiamare delle donne a far parte degli apostoli, sarebbe stato non solo perfettamente inutile, ma anche di serio ostacolo all’evangelizzazione del mondo, ed è questa l’obiezione seria, che la Chiesa finge d’ignorare. Il Signore sapeva perfettamente che nessuna donna avrebbe potuto sostituire gli apostoli, in quel periodo ed in quella società. Le difficoltà, già insormontabili per un uomo, sarebbero state impossibili da superare per una donna. Chi mai avrebbe dato ascolto ad una predicatrice? Chi le avrebbe mai dato benché la minima importanza? Nella Palestina al tempo di Gesù “la posizione che la società riconosceva alla donna era, da qualsiasi punto di vista, inferiore…Legalmente, la donna era considerata minorenne, e quindi irresponsabile: gli impegni che prendeva potevano essere sconfessati dal marito, e chi li aveva accettati non aveva scampo” (Henri Daniel – Rops, La vita quotidiana in Palestina al tempo di Gesù, Mondadori, pagg. 147 e 148) Come si può pensare, considerato quel tipo di società, che Gesù potesse mandare delle donne “come pecore in mezzo ai lupi” (Mt 10, 16)?
Oggi, caro Papa, le ragioni che determinarono la decisione di Gesù non sussistono più, e negare il sacerdozio alle donne è una palese ingiustizia.
Riguardo al “ruolo del servizio a cui ogni cristiano è chiamato che scivola, nel caso delle donne, a volte, nei ruoli più di servitù che di vero servizio” (trascrivo le sue parole), una domanda: non sarebbe opportuno, per ovvi motivi, che vescovi e cardinali prendessero al loro servizio frati anziché suore, uomini anziché donne?
Renato Pierri



Domenica 11 Marzo,2018 Ore: 09:58