ELEZIONI AMMINISTRATIVE DEL 31 MAGGIO 2015
TEST ELETTORALE E RETE DEL NUOVO MUNICIPIO

POTERE DEL POPOLO (DEMOCRAZIA) E POTERE DI TUTTI (OMNICRAZIA)


di Raffaello Saffioti

Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio.
Sortirne tutti insieme è la politica.
Sortirne da soli è l’avarizia.
Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa
Una cosa è tendere a sostituirsi al vecchio potere
e altro è creare nuovo potere in ciascuno.
DANILO DOLCI
CRISI DELLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA E DEL SISTEMA PARTITOCRATICO
COSA DIRANNO LE PROSSIME ELEZIONI?
Le prossime elezioni saranno un test importante per verificare i rapporti che si stabiliranno tra elettori e candidati, oltre che tendenze ed orientamenti dei cittadini in una fase segnata dalla profonda crisi economica, sociale e politica.
Se si osserva il panorama elettorale che si sta manifestando, c’è da dire che il sistema partitocratico è duro a morire, ma si vanno manifestando tentativi di sperimentare nuove forme associative che si richiamano alla Carta del Nuovo Municipio e si inseriscono nella rete delle tante città italiane nelle quali si sperimentano nuove forme di partecipazione politica.
I partiti politici sono diventati “liquidi”, perdendo la loro stabilità, e di “società liquida” si parla, riecheggiando il pensiero del sociologo polacco Zygmunt Bauman che ha adottato il termine “liquido” come chiave ermeneutica della realtà contemporanea.
E non c’è da fidarsi, nel fare previsioni, dei sondaggi elettorali, come dimostrano i casi recenti delle elezioni in Israele e Gran Bretagna.
Ma intanto è utile riprendere la riflessione già fatta in precedenti elezioni, per poi aggiornarla.
E’ ancora attuale quanto è stato scritto nel 2012 nel “Manifesto per un soggetto politico nuovo. Per un’altra politica nelle forme e nelle passioni”:
In tutto il mondo della democrazia rappresentativa i partiti politici sono guardati con crescente sfiducia, disprezzo, perfino rabbia. (…) E’ crescente l’impressione che i nostri rappresentanti rappresentino solo se stessi, i loro interessi, i loro amici e parenti”.
Chi rappresenta chi?
Le elezioni sono diventate un rito logoro della democrazia rappresentativa che non c’è più.
Il processo di degenerazione della democrazia che dura ormai da tanti anni sembra inarrestabile. I partiti politici si sono dimostrati incapaci di rinnovarsi e funzionano in ogni competizione elettorale come comitati elettorali. Hanno progressivamente perso la credibilità e non svolgono più il ruolo assegnato dalla Costituzione (art. 49).
Il numero delle liste e dei candidati non è indice di democrazia, anzi è segno proprio della sua degenerazione e della sua crisi.
Democratici tutti si professano.
Viene in mente una poesia di DANILO DOLCI (1924-1997).
Democratici, tutti si professano
ma chi ha soldi, può farsi sentire
chi ha potere:
i governanti possono
(dice «in nome del popolo»: ma chi!?)
annoiare miliardi di persone
col monotono gioco di sbranarsi
sorridendo più o meno educati;
i generali possono
(dice «in nome del popolo»: ma chi!?)
disporre della vita e della morte
facendosi sentire come vogliono.
(Il trucco ormai è vecchio e pur continua:
nelle campagne povere si compra
il voto a mille lire o a qualche pacco
di pasta, o promettendo qualcosa
a gente buona quanto credulona –
quando non si pretende a lupara;
dove si innalzano le ciminiere
i più scaltri, o per subdoli intrighi
o allo scoperto, pigliano i giornali,
si comprano le radio e le TV
intellettuali compresi:
la gente pensa poco e in ogni parte
del mondo vota credendosi libera,
dove si vota,
segnando soprattutto come i furbi
le suggeriscono –
quando non spunta qualche salvatore
che a sistemare tutto, pensa lui.)
E se un povero cristo vuole dire
a tutti gli altri cosa pensa e cosa vuole?
l’urgenza del lavoro, del conoscere,
come incontrarsi,
come può crescere una nuova forza
di idee e di organismi?
Da chi farsi sentire? I signori
hanno troppo da fare
non possono occuparsi anche di lui.
chi li ascolta?: –
non c’è posto per la loro voce.
…”.
(da DANILO DOLCI, Poema umano, Einaudi, 1974, pp. 46-47)
Trasformismo e clientelismo.
Sono i vizi che hanno corrotto e caratterizzato sia la vita politica che quella amministrativa.
Trasformisti, vecchi e nuovi, si presentano senza neppure avvertire vergogna.
Sappiamo bene cos’è il “trasformismo” e chi è il “trasformista”, secondo la definizione del Grande Dizionario della Lingua italiana, di Salvatore Battaglia (UTET):
Trasformismo: tendenza a mutare spesso e con superficialità le proprie idee e opinioni, ad assumere atteggiamenti incoerenti, adeguandosi, per opportunismo, di volta in volta, alle circostanze”.
Trasformista: chi tende al compromesso, a intrecciare accordi e alleanze per ragioni particolaristiche estranee ad alcuna coerenza ideologica; che è incline a mutare partito o coalizione politica, adattandosi per interessi personali di volta in volta alle circostanze”.
Come funziona il “sistema clientelare”?
Lo spiegò, nel lontano 1967, Danilo Dolci che scrisse:
Soffermandoci ad analizzare con un minimo di attenzione il sistema clientelare, notiamo che le figure essenziali sono:
  • i «clienti» grandi elettori, che contribuiscono in modo essenziale a determinare il prestigio e la potenza del loro politico (clientes – dice il vocabolario – nell’antica Roma erano le persone che, pur godendo dello status libertatis, non essendo cioè giuridicamente schiavi, si trovavano in rapporto di dipendenza dal patronus che assicurava loro la sua protezione: premessa concettuale cioè della clientela è la sostanziale differenza tra il forte, il padrone – al quale ci si dà in fede -, e chi si concede);
  • quegli uomini della strada che, non sapendo riconoscere i propri fondamentali interessi, si lasciano illudere dal «politico» e dai suoi «clienti», prestando col proprio voto prestigio e potenza spesso nella direzione opposta ai propri interessi.
Alcune caratteristiche evidenti di questo tipo di gruppo, al limite estremo sono:
  • non si mira alla valorizzazione di ogni individuo;
  • l’abile «politico», centro pubblico di potenza del gruppo;
  • il rapporto tra il «politico» e il «cliente» grande elettore, come tra il «cliente grande elettore» ed il suo «cliente» (e così via in una vera e propria catena clientelare), consiste in un sistematico tentativo di sfruttamento reciproco:«tu dai una cosa a me e io do una cosa a te», «tu dai un posto a me e io procuro dei voti per te»;
  • si riesce spesso a contrabbandare questo sistema sotto le sembianze di un sistema democratico”.
Se poi si considera la presenza della criminalità organizzata e l’esistenza di una vasta “zona grigia”, il sistema clientelare diviene clientelare-mafioso.
Mentre si diffonde il malcostume della corruzione, nell’intreccio perverso tra corrotti e corruttori, la corruzione del sistema partitocratico pone alla coscienza del cittadino elettore una questione morale.
Ormai appare chiaro che il sistema corrotto dei partiti è incapace di riformarsi dal suo interno.
Stiamo assistendo all’agonia, se non alla morte, di questo sistema.
Nel libro di GIUSEPPE MARANINI (1962-1969) Il tiranno senza volto (Bompiani, 1963) leggiamo parole che appaiono profetiche:
Tante tirannie sono cadute, e anche la tirannia partitocratica cadrà. Cadrà il giorno nel quale tutto il paese sarà diventato consapevole della natura del male e della sua tragica gravità. Cadrà il giorno nel quale tutti sentiranno l’illegittimità di un’autorità fondata solo sulla frode e le rifiuteranno ossequio; cadrà il giorno nel quale ciascuno si renderà conto del rapporto di causalità che intercede fra i mille problemi particolari che angustiano la sua vita privata d’ogni giorno e questa cancrena della vita pubblica. Solo un moto di opinione d’irresistibile forza, potrà imporre quelle forme legislative che strapperanno il potere dalle mani dei suoi illegittimi detentori (di ogni partito). Ma quel moto sicuramente si produrrà”.
LA CITTA’ NELLA RETE DEL NUOVO MUNICIPIO
Lo scritto “LA CITTA’ NELLA RETE DEL NUOVO MUNICIPIO”, pubblicato come editoriale sul giornale on line “il dialogo” il 12 aprile scorso ha esaminato il caso della lista civica “CambiAmo Vibo”, espressa dal Comitato del Forum delle Associazioni Vibonesi per considerarlo esempio e segno di una tendenza alla rigenerazione della vita politica nel tempo della degenerazione e del disfacimento dei partiti.
Questo nuovo testo completa quello prima richiamato.
Quella lista civica si è qualificata ulteriormente con la sottoscrizione di un testo di PAOLO CACCIARI col titolo “Più che i proclami servono le dimostrazioni che un altro mondo è possibile qui ed ora”.
I cittadini sono chiamati, a Vibo Valentia come altrove dove si vota, a entrare nel dibattito elettorale e a valutare liste, candidati e programmi, combattendo i tradizionali vizi della vita politica e amministrativa, il trasformismo e il clientelismo.
C’è bisogno che si faccia strada una nuova cultura politica, quella dei movimenti sociali degli ultimi anni, che hanno avuto origine nel secolo scorso, ispirata al pensiero di vari autori, noti e meno noti, ignorati dalla propaganda dei mass media (Aldo Capitini, Danilo Dolci, Franco Cassano, Stefano Rodotà, Salvatore Settis, Paolo Cacciari, Ugo Mattei, Marco Revelli, …).
E’ necessario coniugare rappresentanza e partecipazione, il locale e il globale.
E’ da notare che sono milioni i cittadini senza partito, impegnati in associazioni, movimenti, comitati, campagne e fanno quella che viene chiamata “politica diffusa”, “dal basso”, “molecolare”. Fanno politica nel senso classico del termine, tramandato per influsso della grande opera di Aristotele, intitolata, appunto, Politica. In questo senso la sfera della politica è intesa come sfera di tutto ciò che attiene alla vita della polis e include ogni specie di rapporti sociali, sì che il «politico» viene a coincidere col «sociale».
Di straordinaria attualità oggi appare un testo di ALDO CAPITINI, scritto dopo le elezioni del 18 aprile 1948:
“In una vera democrazia i partiti come formazioni chiuse, dogmatiche e quasi militari, non dovrebbero esserci; ma solo associazioni tecniche, culturali, morali, religiose e stampa libera: ogni cittadino si formerebbe autonomamente; e soltanto per le elezioni potrebbero costituirsi comitati per la designazione di persone. Bisogna fare tutto un lavoro di aggiunta al vecchio schema partiti-parlamento-governo, di un nuovo schema di una democrazia integrale che arriva fino alla periferia, e dal basso si autoeduca e si autoamministra. Soltanto una società di questo genere è sopportabile, soltanto essa realizza quell’andare oltre la politica, in nome di una liberazione infinita e una solidarietà popolare.”
(Aldo Capitini, Opposizione e liberazione, Linea d’ombra edizioni, 1991, p. 123)
Ormai dovrebbe essere chiaro che nella nostra Costituzione i partiti politici non sono l’unica forma di partecipazione alla vita democratica.
“La nostra Costituzione è costruita attorno alla pietra angolare dell’articolo 2 che, come sappiamo, «riconosce» all’uomo e alla donna una serie di diritti fondamentali non solo in quanto singoli, ma anche nelle formazioni sociali (nelle comunità o nei movimenti, diremmo oggi) in cui si realizza la sua persona. Esistono cioè «forme» e «istituzioni» sociali – non necessariamente i partiti – che vengono prima dello Stato e che la politica e la stessa democrazia debbono rispettare, tant’è vero che anche scelte politiche prese a maggioranza non potrebbero eliminarle.
Sono ben note queste formazioni sociali che la Costituzione cita espressamente: la famiglia, la scuola, il sindacato, la cooperativa,l’impresa, il comune e gli altri enti locali e così via. […] Tutte le formazioni in cui si svolge la personalità umana e che affrontano esigenze collettive – legate, dunque, alla polis – hanno piena dignità e valore costituzionale e perciò stesso debbono essere considerate”.
(Dalla Postfazione di Andrea Simoncini a Senza partito. Obbligo e diritto per una nuova pratica politica, di SIMONE WEIL, Vita-Feltrinelli, 2013, pp. 76-77)
Partecipare o non partecipare.
Il pericolo (partito) dell’astensionismo.
Contro il pericolo dell’astensionismo, è opportuno riportare una famosa pagina di ANTONIO GRAMSCI che, quasi un secolo fa, scrisse:
Odio gli indifferenti [Indifferenti]”
“Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che «vivere vuol dire essere partigiani». Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica.
L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E’ la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare.
La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell’ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un’epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell’ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente.
(…)
Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto a ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l’attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato, perché non è riuscito nel suo intento.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.
(da ANTONIO GRAMSCI, Odio gli indifferenti, Chiarelettere editore, 2011, pp. 3-6)
Palmi, 19 maggio 2015
Raffaello Saffioti
Centro Gandhi
raffaello.saffioti@gmail.com
 



Martedì 19 Maggio,2015 Ore: 19:54