LA SCUOLA BUONA (E QUELLA CATTIVA)

RILEGGENDO LA “LETTERA A UNA PROFESSORESSA”


di Raffaello Saffioti

Spesso gli amici mi chiedono come faccio a fare scuola
e come faccio a averla piena.
Insistono perché io scriva per loro un metodo,
che io precisi i programmi, le materie, la tecnica didattica.
Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare
per fare scuola, ma di come bisogna essere per poter far scuola”.
DON LORENZO MILANI, Esperienze pastorali
QUALE RIFORMA DELLA SCUOLA?
Il tema della scuola è tornato d’attualità, mentre in Parlamento è in discussione il disegno di legge di riforma che sembra mettere in pericolo la stabilità del Governo. Siamo al punto che, nel passaggio del testo dalla Commissione all’aula del Senato, viene ipotizzato il ricorso al voto di fiducia. E’ l’ennesimo (ambizioso, velleitario?) tentativo di riformare la scuola, nella storia della Repubblica, dal progetto Gonella in poi, fino ai tentativi più recenti di Luigi Berlinguer, Letizia Moratti e Mariastella Gelmini.
Perché è difficile riformare la scuola?
Ma è da porre un’altra domanda: si può riformare la scuola, senza riformare la società?
L’espressione “scuola buona” è ricorrente nel dibattito in corso, proprio in questi giorni nei quali si ripete stancamente il tradizionale rito degli esami di maturità. Ma non è molto alto il livello del dibattito, concentrato prevalentemente sul tema dei poteri del preside manager e sul tema dell’assunzione degli insegnanti precari. Si è fatto notare che tutto il disegno di legge è espressione di una concezione della scuola, suggerita dalla Confindustria.
L’espressione “scuola buona” mi ha fatto tornare in mente la famosa “Lettera ai Giudici”, di Don Lorenzo Milani.
Ormai Don Milani è considerato uno dei profeti del ventesimo secolo, che ha lasciato una traccia profonda nella storia civile e religiosa.
Quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario, appunto, della “Lettera ai Giudici” (del 18 ottobre 1965) che Don Milani, gravemente malato, accusato di apologia di reato, inviò nel processo intentato dai Cappellani militari, per avere egli difeso gli obiettori di coscienza al servizio militare. Don Milani fu assolto nel processo di primo grado, ma il contenuto della Lettera fu condannato in appello, dopo che il Priore di Barbiana era morto il 26 giugno 1967.
La Lettera ai Cappellani militari e la Lettera ai Giudici dovrebbero essere considerati dei classici per il loro valore educativo e sono di straordinaria attualità. Dovrebbero essere studiati in tutte le scuole e far parte anche dei programmi di educazione alla pace.
Ormai a Don Milani spetta un posto come maestro nella storia dell’educazione, per aver fondato la ormai famosa Scuola di Barbiana. Barbiana è da considerare una esperienza unica ed irripetibile.
DON MILANI, BUONO O CATTIVO MAESTRO?
E’ stato già detto per altri maestri che la storia non si fa con le sentenze dei giudici. Basti ricordare, per non fare altri esempi, il precedente di Socrate, che bevve la cicuta, condannato a morte dal tribunale di Atene come “corruttore di giovani”. Come dire, perché “cattivo maestro”.
Ma Socrate ora si studia nelle scuole superiori come maestro nella storia del pensiero e dell’educazione.
Leggiamo cosa scrisse Don Milani nella “Lettera ai Giudici”:
Il motivo profondo”
che cos’è la scuola”
A questo punto mi occorre spiegare il problema di fondo di ogni vera scuola.
E siamo giunti, io penso, alla chiave di questo processo perché io maestro sono accusato di apologia di reato cioè di scuola cattiva. Bisognerà dunque accordarci su ciò che è scuola buona.”
l’arte delicata”
La scuola è diversa dall’aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo ciò che è legge stabilita.
La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi.
E’ l’arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo somiglia alla vostra funzione), dall’altro la volontà di leggi migliori cioè il senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione).
[…]
il maestro”
E allora il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i «segni dei tempi», indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso”.
[…]
la Costituzione nella scuola”
L’Assemblea Costituente ci ha invitati a dar posto nella scuola alla Carta Costituzionale «al fine di rendere consapevole la nuova generazione delle raggiunte conquiste morali e sociali».
(ordine del giorno approvato all’unanimità nella seduta dell’11 Dicembre 1947).”
l’Italia ripudia”
Una di queste conquiste morali e sociali è l’articolo 11: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli».”.
LA LETTERA A UNA PROFESSORESSA
La Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana fu pubblicata a maggio del 1967 e colse di sorpresa la pedagogia italiana. Essa, nata dopo un lungo periodo di gestazione, ebbe origine dalla bocciatura di due ragazzi di Barbiana che, volendo dedicarsi all’insegnamento, dopo la licenza media andarono a Firenze per sostenere l’esame come privatisti.
Dopo una seconda bocciatura dei due ragazzi, Don Milani medita come reagire.
Le lettere che il Priore scrive ai ragazzi che si trovano all’estero, documentano la preparazione della Lettera dal 1966 in poi.
SANDRA GESUALDI scrisse per l’edizione straordinaria di Lettera a una professoressa, nel 2007, in occasione del suo quarantesimo anniversario:
“Ma la prima volta che don Lorenzo accenna alla stesura della Lettera a una professoressa, è scrivendo il 14 luglio 1966 ad alcuni suoi ragazzi che si trovavano all’estero durante l’estate, per perfezionarsi nella lingua studiata.
… Scriveva il 14 luglio: «Stiamo lavorando a una grande lettera come quella ai giudici. Questa è contro le professoresse. Enrico è lanciato e appassionato a scriverla».
E ancora, alcuni giorni dopo, il 18 luglio 1966: «La grande lettera è, se ancora non lo sai una lettera a una professoressa che bocciò il Biondo e Enrico lo scorso anno. Viene un’opera grandiosa. Forse un libretto».
Questo libro, che ho letto appena dopo la sua pubblicazione, mi ha segnato profondamente, ispirandomi ed orientandomi nella mia esperienza professionale, vissuta come docente nella scuola superiore.
In questi giorni, in occasione del dibattito sul disegno di legge di riforma della scuola, ho avvertito il bisogno di riprenderlo e rileggerlo al fine di estrarre dei passi per una Appendice a questo articolo. Titolo dell’Appendice che segue è “SCUOLA POLITICA E COSTITUZIONE”, il sottotitolo “PER EDUCARE A DIVENIRE CITTADINI SOVRANI”.
Sono trascorsi quasi cinquant’anni, nei quali il mondo è profondamente cambiato.
Fino a che punto è cambiata la scuola?
Quanti insegnanti, tra quanti scesi in piazza per protestare contro il progetto governativo di riforma, conoscono la Lettera ai Giudici e la Lettera a una professoressa?
Cosa direbbe oggi Don Milani?
La scuola è cambiata e la selezione feroce nella scuola dell’obbligo, denunciata da Lettera a una professoressa, ha cambiato volto.
Le tre riforme proposte dalla Scuola di Barbiana non hanno oggi la stessa attualità.
Le ricordiamo:
Le riforme che proponiamo”
Perché il sogno dell’eguaglianza non resti un sogno vi proponiamo tre riforme.
I – Non bocciare.
II – A quelli che sembrano cretini dargli la scuola a pieno tempo.
III – Agli svogliati basta dargli uno scopo.”
La Lettera a una professoressa merita di essere riletta e va riproposta perché rimangono di attualità i suoi valori portanti. Rimane di attualità, soprattutto, il sogno dell’eguaglianza. La rilettura che propongo con l’Appendice, senza commento, è fatta dal punto di vista politico e della Costituzione. E’ quella che, a mio giudizio, fa cogliere il vero senso dell’opera.
DA DON MILANI A DANILO DOLCI
La mia esperienza professionale è stata segnata, oltre che da Don Milani, da Danilo Dolci.
Ho avuto la ventura di incontrarlo proprio a Barbiana nell’estate del 1986, in un campo di educatori amici della nonviolenza. Da quell’incontro è nato un rapporto personale che ha portato Dolci in Calabria, partendo dalla mia scuola, l’Istituto Magistrale Statale “C. Alvaro”.
Tracce che documentano il rapporto con la mia scuola e, soprattutto, l’intensa attività svolta da Dolci in Calabria, si trovano in varie sue opere.
Nel campo di Barbiana Dolci propose alla discussione il suo libro Palpitare di nessi, pubblicato dall’editore Armando nell’anno precedente. Quest’opera sull’educare creativo ha avuto una nuova edizione nel 2012 (Ed. Mesogea, Messina).
Leggiamo:
“Educare: lo scienziato appura quanto ignora di questo verbo.
Educare un mondo congruo a vivere, in cui l’umano uno senta necessario scoprire e attuare un’unità più complessa, forse significa:
imparando a guardare e osservare (dai miei occhi escono radici e cordoni ombelicali nel mondo, dalle mie orecchie, dalla pelle, da tutta la mia persona), favorire in ognuno l’iniziarsi dalla naturale curiosità allo scoprire esprimendosi, al sapere rapportare comunicando;
contribuire a svegliare, scoprire e ampliare l’ interesse profondo – il bisogno di essere tra, di essere dentro: poiché ognuno percepisce, esprime, reagisce e cresce diversamente, segnato dalla sua preistoria, esercitare la scienza-arte della levatrice rispettando i valori genetico-potenziali;
formare laboratori maieutici in cui, valorizzando anche tempi e spazi diversi, ognuno possa risultare levatrice ad ognuno: in cui la struttura ambientale condizioni in modo organicamente liberatorio dalle diverse forme di chiusura, oppressione, ignoranza, ansia, paura, attraverso la continua ricerca;
contribuire a sviluppare metodi di apprendimento, attiva responsabilizzazione, arte di vivere (la levatrice non cela come opera ma non detta a chi impara «si fa così»), rispettando l’esigenza del maturarsi e la comune natura cosmopolita: considerando traguardi comuni i programmi;
…”. 1
Anche DOLCI, uno dei padri della nonviolenza moderna, è ormai annoverato tra i profeti del ventesimo secolo. Con Don Milani ha ormai posto nella storia dell’educazione.
PER CONCLUDERE: QUANDO DICIAMO SCUOLA
Nella storia dell’educazione e della scuola Dolci, educatore rivoluzionario nonviolento, ha visto scontrarsi due fronti:
“l’uno guidato dai dominatori (ove manca l’educatore autentico), l’altro promosso dai liberatori valorizza l’esperienza di ognuno. La cultura è potere quando autonoma, critica e creativa”2.
Leggiamo, in una delle sue ultime opere:
Per uno Stato non è certo un crimine, ad esempio, costruire e diffondere scuole. Ma quali scuole? Una serie di piccole galere? Criminale è spegnere nell’immane inerzia la naturale curiosità dei bambini e dei giovani, invece di potenziarla coorganizzandola; criminale è progettare di fatto lo spegnimento sistematico della creatività individuale e collettiva, alimentando così nei giovani e nei precettori la paura, e l’odio, per lo studio; criminale è insistere nel mantenere in situazioni insane miliardi di creature, malgrado le denunce rigorose ormai secolari, anche di medici. (Basti pensare a Decroly e alla Montessori).”3
Quanti gli autentici educatori al mondo, nelle scuole e altrove? Non è vero che tutti sono venduti, ducetti soddisfatti delle loro cattedre, impotenti ad ascoltare, irrecuperabili al fronte del cambiamento democratico. E quanti giovani sono disponibili a crescere liberandosi? Decine, centinaia di milioni. Ma agli uni e agli altri in crisi, occorre incontrare occasioni per imparare a comunicare, laboratori di continuativa liberazione”. 4
Roma, 24 giugno 2015
Raffaello Saffioti
Centro Gandhi
Associazione Florense per lo Sviluppo Creativo
raffaello.saffioti@gmail.com

 

APPENDICE
SCUOLA, POLITICA E COSTITUZIONE
L’EDUCARE A DIVENIRE CITTADINI SOVRANI
RILETTURA DI
LETTERA A UNA PROFESSORESSA 5
I
politica o avarizia
Poi insegnando imparavo tante cose.
Per esempio ho imparato che il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia. (p. 14)
II
«Tutti i cittadini sono eguali senza distinzione di lingua». L’ha detto la Costituzione pensando a lui.
Ma voi avete più in onore la grammatica che la Costituzione. (p. 19)
III
Ero tornato deciso a imparare lingue a tutto spiano. Molte lingue male piuttosto che una bene. Pur di poter comunicare con tutti, conoscere uomini e problemi nuovi, ridere dei sacri confini delle patrie. (p. 22)
IV
Ma politica e cronaca cioè le sofferenze degli altri valgono più di voi e di noi stessi.
la Costituzione
Quella professoressa s’era fermata alla prima guerra mondiale. Esattamente al punto dove la scuola poteva riallacciarsi con la vita. E in tutto l’anno non aveva mai letto un giornale in classe.
Dovevano esserle rimasti negli occhi i cartelli fascisti «Qui non si parla di politica».
Una volta la mamma di Giampiero le disse: «Eppure mi pare che il bambino da che va al doposcuola comunale sia migliorato tanto. La sera a casa lo vedo leggere». «Leggere? Sa cosa legge? La COSTITUZIONE! L’anno scorso aveva per il capo le ragazzine, quest’anno la Costituzione».
Quella povera donna pensò che fosse un libro sporco. La sera voleva far cazzottare Giampiero dal suo babbo. (p. 27)
V
La più accanita protestava che non aveva mai cercato e mai avuto notizie sulle famiglie dei ragazzi: «Se un compito è da quattro io gli do quattro». E non capiva, poveretta, che era proprio di questo che era accusata. Perché non c’è nulla che sia ingiusto quanto far le parti eguali fra disuguali. (p. 55)
VI
Nati diversi?
cretini e svogliati
Voi dite d’aver bocciato i cretini e gli svogliati.
Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri. Ma Dio non fa questi dispetti ai poveri. E’ più facile che i dispettosi siate voi.
difesa della razza
Alla Costituente chi sostenne la teoria delle differenze di nascita fu un fascista: «L’on. Mastroianni riferendosi alla parola obbligatorio osserva che ci sono alunni che dimostrano una insufficienza di carattere organico a frequentare le scuole».
Anche un preside di scuola media ha scritto: «La Costituzione purtroppo non può garantire a tutti i ragazzi eguale sviluppo mentale, eguale attitudine allo studio». Ma del suo figliolo non lo direbbe mai. Non gli farà finire le medie? Lo manderà a zappare? Mi han detto che queste cose succedono nella Cina di Mao. Ma sarà vero?
Anche i signori hanno i loro ragazzi difficili. Ma li mandano avanti.
i figlioli degli altri
Solo i figlioli degli altri qualche volta paiono cretini. I nostri no. Standogli accanto ci si accorge che non sono. E neppure svogliati. O per lo meno sentiamo che sarà un momento, che gli passerà, che ci deve essere un rimedio.
Allora è più onesto dire che tutti i ragazzi nascono eguali e se in seguito non lo sono più, è colpa nostra e dobbiamo rimediare.
rimuovere gli ostacoli
E’ esattamente quello che dice la Costituzione quando parla di Gianni:
«Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di razza, lingua, condizioni personali e sociali.
E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (Art. 3). (pp. 60-62)
VII
La selezione serve a qualcuno
fatalità o piano?
A questo punto ognuno se la prende con la fatalità. E’ tanto riposante leggere la storia in chiave di fatalità.
Leggerla in chiave politica è più inquietante: le mode diventano parte d’un piano ben calcolato perché Gianni resti tagliato fuori. L’insegnante apolitico diventa uno dei 411.000 utili idioti che il padrone ha armato di registro e pagella. Truppe di riserva incaricate di fermare 1.031.000 Gianni l’anno, nel caso che il gioco delle mode non bastasse a distrarli.
Un milione e 31.000 respinti l’anno. E’ un vocabolo tecnico di quella che voi chiamate scuola. Ma è anche un vocabolo di scienza militare. Respingerli prima che afferrino le leve. Non per nulla gli esami sono di origine prussiana. (pp. 67-8)
VIII
All’università certe cose si dicono. C’è solo signorini. Invece nelle scuole inferiori è proibito parlarne. Non sta bene far politica a scuola. Il padrone non vuole. (p. 68)
IX
La lotta di classe quando la fanno i signori è signorile. Non scandalizza né i preti né i professori che leggono l’Espresso. (p. 73)
X
la parte del leone
In conclusione la mamma di Pierino non è né belva né innocente. Ma sommando migliaia di piccoli egoismi come il suo si fa l’egoismo grande d’una classe che vuol per sé la parte del leone.
Una classe che non ha esitato a scatenare il fascismo, il razzismo, la guerra, la disoccupazione. Se occorresse «cambiare tutto perché non cambi nulla» non esiterà a abbracciare il comunismo.
Il meccanismo preciso non lo sa nessuno. Ma quando ogni legge sembra tagliata su misura perché giovi a Pierino e freghi noi non si può più credere nel caso. (pp. 74-5)
XI
eguaglianza
Carriera, cultura, famiglia, onore della scuola, bilancino per pesare i compiti. Son piccinerie. Troppo poco per riempire la vita d’un maestro.
Qualcuno di voi se n’è accorto e non ne sa sortire. Tutto per paura di quella benedetta parola. Eppure non c’è scelta. Quel che non è politica non riempie la vita d’un uomo d’oggi.
In Africa, in Asia, nell’America latina, nel mezzogiorno, in montagna, nei campi, perfino nelle grandi città, milioni di ragazzi aspettano d’essere fatti eguali. Timidi come me, cretini come Sandro, svogliati come Gianni. Il meglio dell’umanità. (p. 80)
XII
minimo comun denominatore
La Costituzione, nell’articolo 34, promette a tutti otto anni di scuola. Otto anni vuol dire otto classi diverse. Non quattro classi ripetute due volte ognuna. Sennò sarebbe un brutto gioco di parole indegno di una Assemblea Costituente.
Dunque oggi arrivare a terza media non è un lusso. E’ un minimo di cultura comune cui ha diritto ognuno.
Chi non l’ha tutta non è Eguale.
le attitudini
Non vi potete più trincerare dietro la teoria razzista delle attitudini.
Tutti i ragazzi sono adatti a far la terza media e tutti sono adatti a tutte le materie. (p. 81)
XIII
… la scuola che perde Gianni non è degna d’essere chiamata scuola. (p. 82)
XIV
Finora avete fatto scuola con l’ossessione della campanella, con l’incubo del programma da finire prima di giugno. Non avete potuto allargare la visuale, rispondere alle curiosità dei ragazzi, portare i discorsi fino in fondo. (p. 85)
XV
deformazione professionale
Chi ama le creature che stanno bene resta apolitico. Non vuol cambiare nulla. (p. 92)
la pressione dei poveri
Conoscere i ragazzi dei poveri e amare la politica è tutt’uno. Non si può amare creature segnate da leggi ingiuste e non volere leggi migliori. (p. 93)
XVI
fine ultimo
Il fine giusto è dedicarsi al prossimo.
E in questo secolo come vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola? Siamo sovrani. Non è più il tempo delle elemosine, ma delle scelte. Contro i classisti che siete voi, contro la fame, l’analfabetismo, il razzismo, le guerre coloniali. (p. 94)
XVII
fine immediato
Ma questo è solo il fine ultimo da ricordare ogni tanto. Quello immediato da ricordare minuto per minuto è d’intendere gli altri e farsi intendere.
E non basta certo l’italiano, che nel mondo non conta nulla. Gli uomini hanno bisogno d’amarsi anche al di là delle frontiere. Dunque bisogna studiare molte lingue e tutte vive. (pp. 94-5)
XVIII
sovrani
Perché è solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli.
… Tentiamo invece di educare i ragazzi a più ambizione. Diventare sovrani! Altro che medico o ingegnere. (p. 96)
XIX
Ventotto apolitici più 3 fascisti eguale 31 fascisti. (p. 108)
XX
Guai a chi vi tocca l’Individuo. Il Libero Sviluppo della Personalità è il vostro credo supremo. Della società e dei suoi bisogni non ve ne importa nulla.
Io sono un ragazzo influenzato dal maestro e me ne vanto. Se ne vanta anche lui. Sennò la scuola in che consiste?
La scuola è l’unica differenza che c’è tra l’uomo e gli animali. Il maestro dà al ragazzo tutto quello che crede, ama, spera. Il ragazzo crescendo ci aggiunge qualche cosa e così l’umanità va avanti.
Gli animali non vanno a scuola. Nel Libero Sviluppo della loro Personalità le rondini fanno il nido eguale da millenni. (p. 112)
XXI
educazione civica
Un’altra materia che non fate e che io saprei è educazione civica.
Qualche professore si difende dicendo che la insegna sottintesa dentro le altre materie. Se fosse vero sarebbe troppo bello. Allora se sa questo sistema, che è quello giusto, perché non fa tutte le materie così, in un edificio ben connesso dove tutto si fonde e si ritrova?
Dite piuttosto che è una materia che non conoscete. Lei il sindacato non sa bene cos’è. In casa di un operaio non ha mai cenato. Della vertenza dei trasporti pubblici non sa i termini. Sa solo che l’ingorgo del traffico ha disturbato la sua vita privata.
Non ha mai studiato queste cose perché le fanno paura. Come le fa paura andare al fondo della geografia. Nel nostro libro c’era tutto fuorché la fame, i monopoli, i sistemi politici, il razzismo. (pp. 123-4)
***
A cura di Raffaello Saffioti
Roma, 24 giugno 2015

NOTE

1 DANILO DOLCI, Palpitare di nessi, Armando, 1985, pp. 113-4.
2 DANILO DOLCI, La struttura maieutica e l’evolverci, La Nuova Italia, 1996, pp. 196-7.
3 DANILO DOLCI, Nessi fra esperienza etica e politica. Criminalità privata e criminalità di Stato nei “Tempi Moderni”, Piero Lacaita Editore, 1993, p. 72.
4 Ibidem, p. 162.
5 SCUOLA DI BARBIANA, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1967



Giovedì 25 Giugno,2015 Ore: 11:46